20- Il mito degli ermafroditi

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È come trovarsi dentro una bolla, in cui i suoni provenienti dall'esterno giungono ovattati e le immagini distorte e con i contorni sfuocati. È come se avessi perso contatto con la realtà e ogni cellula del mio corpo fosse stata impregnata e sopraffatta dal calore rassicurante di Blake, dal suo familiare profumo di bagnoschiuma al pino, dalle sue mani grandi e salde che premono sulla mia schiena. 

Quando finalmente alzo il viso dal suo petto coperto da un pesante giubbotto nero, incrocio il suo sguardo e rivedo nei suoi occhi tutte le emozioni che sto provando io in questo momento. 

Sembra che ci sia qualcosa ad unirci, una sorta di filo invisibile che ci attrae inevitabilmente l'uno all'altra. È qualcosa di inspiegabile che va oltre il corpo e le parole, che mette in comunicazione le nostre essenze, che ci permette di percepire l'altro in un modo così istintivamente armonico da lasciar pensare che io e Blake non ci siamo incontrati per caso. Anche se ora non potessi vederlo, avvertirei la sua presenza come un flusso d'energia che mi riempie e mi rinvigorisce; se non potessi toccarlo, la sua voce solleticherebbe le corde della mia anima, come un codice che solo loro conoscono. Se non potessi sentirlo, i nostri sguardi si corteggerebbero in una danza elegante e sensuale fatta di parole non dette e pensieri non espressi.

Blake fa un passo indietro, continuando a guardarmi incredulo. Mi appoggia le mani sulle spalle, toccandomi come se non riuscisse a convincersi che mi trovo proprio qui. Apre la bocca per dire qualcosa, ma la richiude subito dopo. Una lacrima solitaria gli riga una guancia e gli inumidisce le labbra piegate in un sorriso. Si affretta ad asciugarla con il dorso della mano e tira su col naso, come se si stesse sforzando di non scoppiare a piangere davanti a me. 

- È incredibile.- sussurra, talmente piano che non sono sicura di aver capito bene. 

Ecco, dunque, le prime parole che gli sento dire. Sono due semplici parole che mi trasmettono speranza e una grande forza, tale da scuotermi da questo torpore e realizzare finalmente che mi trovo davanti a Blake. Siamo qui, nonostante l'inizio vacillante della nostra conoscenza, il litigio prima della sua partenza, la voglia di passare più tempo assieme, che però abbiamo entrambi- soprattutto io- cercato di reprimere per varie ragioni. Se i nostri sentimenti sono stati feriti dagli attacchi verbali dell'altro, le nostre anime non ne sono state minimamente scalfite. 

Guardandomi intorno, noto che intorno a noi non c'è più nessuno. Tutti sono scesi dal treno e quest'ultimo se n'è andato, proprio come il mio, che si trovava in coda. Non importa, prenderò il prossimo. 

Solo ora noto la presenza di George e Reece poco lontano da noi, tutti imbacuccati nelle loro sciarpe e appesantiti dai rispettivi zaini e dalle custodie delle chitarre. Io e Blake ci avviciniamo perché io possa scambiare due parole anche con loro, una sorta di tacito accordo che presuppone un silente chiarimento subito dopo. Li saluto con un abbraccio, felicissima di rivedere anche loro. Siamo tutti senza parole, incapaci di comunicare la gioia del nostro incontro. 

Reece dà a Blake un foglietto con l'indirizzo del loro hotel, dicendogli di raggiungere lì lui e George più tardi. Dopodiché Reece e George ci salutano e si incamminano verso la scalinata che conduce al piazzale esterno della stazione.

Blake indica con un cenno del capo una caffetteria verso l'uscita della stazione, così io e lui ci dirigiamo in religioso silenzio verso il piccolo locale. Ci compriamo due tè caldi e ci sediamo a un tavolo rotondo un po' appartato. Il silenzio che aleggia fra di noi è carico di aspettative. Il primo a interromperlo è Blake, schiarendosi la voce.

- Allora.- comincia, tenendo lo sguardo sulla sua tazza e mescolandone il contenuto con un cucchiaino. La sua voce è leggermente roca, ma per le mie orecchie è la melodia più dolce del mondo.

- Allora.- ripeto io, con lo stesso tono emozionato e teso allo stesso tempo.

Blake trae un respiro profondo, poi alza lo sguardo fino ad incrociare il mio e finalmente comincia a parlare. 

Non so di preciso per quanto tempo rimaniamo seduti qui, ma so per certo che quando ci salutiamo con la promessa di vederci domani è quasi ora di cena. 

Blake mi racconta del suo viaggio a Manchester, di come si sia quasi ritrovato coinvolto in una rissa, di quanto desiderasse tornare a Londra per Capodanno. A Manchester hanno per la prima volta suonato in un paio di locali, ma se non fosse stato per i soldi guadagnati grazie a quelle due serate avrebbero fatto la fame. Blake ha fatto leva con Reece e George sul fatto che a Londra si fanno più soldi suonando per strada, per questo hanno acconsentito a tornare qui, nonostante fossero partiti solo pochi giorni prima. Tuttavia, mi rivela Blake, il motivo principale per cui lui è voluto tornare non erano i soldi. Ero io. Trovare una persona in una metropoli è come cercare un ago in un pagliaio, ma lui sentiva che era la cosa giusta da fare. Per questo motivo, quando mi ha vista corrergli incontro per abbracciarlo poco fa non riusciva a credere ai suoi occhi, non riusciva a credere che fosse stato così semplice. 

Si scusa per gli insulti volati l'ultima volta, per non aver dato retta al suo cuore fin dal principio e per aver cercato di ostacolare in qualsiasi modo l'attrazione che provava per me.

- Sentivo che c'era qualcosa di forte ad unirci e per questo avevo paura.- ammette, abbassando la voce.- L'idea di potermi legare così tanto ad una persona ed esserne separato quasi tutto il tempo a causa della vita che conduco... be', mi ha fatto fare un passo indietro, rivalutare a malincuore la situazione. Ma voglio che tu sappia che quando ero a Manchester non c'è stato un momento in cui non mi sia sentito in colpa per quello che ti avevo detto, né per averti lasciato andare così facilmente. Non c'è stata una canzone che io non abbia suonato pensando a te, una nota che io non ti abbia dedicato, un verso che io non abbia cantato senza immaginarti in mezzo al pubblico. 

Allungo una mano sul tavolo per stringere la sua. Incrocio le mie dita con le sue, affusolate e delicate. Cerco di spiegargli che ora va tutto bene, che abbiamo sbagliato entrambi e che nonostante sia stato molto difficile per me accettare i miei sentimenti nei suoi confronti, perché più volte ho tentato di imbrigliarli nella razionalità, adesso abbiamo la possibilità di recuperare i momenti perduti. 

- Quando penso a te, ho sempre la sensazione di conoscerti già.- mi confida Blake, accarezzandomi il dorso della mano con il pollice.- È come se una parte di noi si conoscesse da sempre.

- Come nel mito degli ermafroditi.- mormoro sovrappensiero. 

Blake mi guarda con aria interrogativa, così gli spiego in breve ciò che mi ricordo grazie al mio professore di filosofia del liceo.

- È un mito greco secondo il quale in origine gli esseri umani non erano suddivisi per genere e ciascuno di essi aveva quattro braccia, quattro gambe e due teste. Col tempo gli ermafroditi cominciarono ad essere insolenti nei confronti degli dei e Zeus, per punizione, li separò in due parti, creando da ogni essere umano primordiale un uomo e una donna. Come conseguenza, ogni essere umano cerca di ritrovare la propria iniziale completezza cercando la propria metà perduta. 

Per quanto il mio inglese sia buono, ho qualche difficoltà a spiegare questo a Blake, ma lui sembra capire comunque. 

Annuisce e mi rivolge un sorriso. - Sembra proprio il nostro caso.

Au-pair Girl// Blake Richardson New Hope ClubDove le storie prendono vita. Scoprilo ora