Racconterò di te

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14/12/18

La vita e i sogni sono come fogli dello stesso libro. Leggerli in ordine è vivere, sfogliarli a caso è sognare.

Arthur Schopenhauer

Jaemin rabbrividì davanti a quel quadro, anche se effettivamente l'aveva fatto solo per Jeno di andare a quella mostra di quell'artista mai sentito nominare. Si stava avvicinando Natale, e Jaemin aveva pensato di fare il regalo a Jeno dieci giorni in anticipo, così sapendo del suo amore per l'arte, e per Füssli, aveva acquistato due biglietti per la mostra d'arte che si stava tenendo in quelle settimane. E, vi giuro, si era pentito di non aver preso solo un biglietto. Il quadro che stava cercando di guardare senza provare ribrezzo, o paura, aveva come soggetto una figura appoggiata su una parete quasi tutta nera, a gambe incrociate, le spalle incurvate, i capelli lunghi portati in avanti a coprire il volto. Era di un color seppia leggermente sbiadito, la pennellata era grumosa. Non lo poteva definire bello, lo poteva definire solo lugubre. 

Eppure, guardando Jeno al suo fianco, osservando le sue candide mani che tremavano, gli occhi scuri che brillavano illuminandosi d'immenso, e le labbra tirate in un'espressioni di stupore, credette che ci fosse qualcosa di bello in quel quadro

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Eppure, guardando Jeno al suo fianco, osservando le sue candide mani che tremavano, gli occhi scuri che brillavano illuminandosi d'immenso, e le labbra tirate in un'espressioni di stupore, credette che ci fosse qualcosa di bello in quel quadro. Iniziò ad osservarlo, a passare lo sguardo sul bordo del vestito, delle braccia scoperte, dei capelli abbandonati, ma non vi trovò assolutamente nulla di grandioso. Così si ritrovò di nuovo a guardare Jeno, che ispezionava con occhi pieni di cure, come quasi volesse regalare una carezza al quadro, ogni angolo e ogni centimetro di quella misera figura. Mise una mano sulla spalla di Jeno per attirare la sua attenzione "J-Jeno, esattamente cosa rappresenta questo, ehm, questo.". Jeno sorrise con una luce che Jaemin non aveva mai visto nei suoi occhi. " Füssli, si definiva il pittore ufficiale del diavolo. Era un uomo da una morale assai discutibile, che però è riuscito a dare all'arte un nuovo modo di vedere. E' a Londra che nasce come pittore, ed è a Londra che inizia ad avere la sua fama. Lui qui rappresenta l'assenza del suono, non a caso si chiama 'Silenzio' questo dipinto. Una donna rannicchiata su uno sfondo nero, con la testa abbandonata in avanti sul petto con i capelli a coprire le sue angosce.  Füssli, non voleva rappresentare il sollevamento emotivo che si prova nel silenzio, voleva rappresentare la perdita della speranza, le angosce della solitudine. Ci invita a parlare dei propri problemi, è sicuramente più semplice lasciarci abbandonare al silenzio che accompagna il nostro dolore, invece che parlare ed esporsi, ma questo nostro comportamento non gioverà a noi, che rimarremo fermi, con i ricordi proiettati in una dimensione passata nella quale tutto andava bene, nella quale tutto sembrava perfetto. Nessuno verrà a cercarci, nessuno si preoccuperà di noi una volta che saremmo diventati parte del silenzio. Lui ci vuole spaventare, ci vuole invitare a a non diventare come quella figura tanto macabra quanto vera.  Immagina  Füssli che ti dice, che ti urla, di parlare, di dire quello che non avresti il coraggio di dire.". Jeno tornò a guardare quel quadro, per poi procedere avanti, uscendo da quella mostra con quadri che fino a quel momento a Jaemin non erano piaciuti, e che aveva iniziato ad apprezzare. Seguì Jeno e vedendolo felice decise che avrebbe parlato anche lui, sarebbe uscito dal silenzio. 

Jeno si strinse nel cappotto. Stava camminando per le strade della grande metropoli con Jaemin, in silenzio, mentre tremava per il freddo. Ad un certo punto si sentì prendere la mano e poi la sentì al caldo. Alzò lo sguardo spostandolo su Jaemin e vide che la sua mano era intrecciata a quella del rosa, dentro ad una delle due tasche del giubbotto. Jeno arrossì lievemente, un rosa che andò ad accentuare quello già esistenze sulle suo guance per via del freddo, facendo sorridere Jaemin. Entrarono in un piccolo bar all'angolo di una delle tante, troppe, strade della città. Vennero abbracciati dal caldo confortevole, che presto, con i cappotti addosso, gli fece sentire caldo. Si accomodarono in un tavolo per due in un posto appartato del locale. Ordinarono una cioccolata, Jeno con la panna, mentre Jaemin senza. E risero tanto, parlarono tanto, si innamorarono di più. Poi il sorriso di Jaemin si spense, vedendo fuori dalla vetrina Renjun e un ragazzo, lo stesso che aveva visto pochi giorni prima, mano nella mano, mentre guardavano sorridenti le vetrine. Gli passò davanti, per un istante lo sguardo perso e amaro di Renjun di pochi giorni fa. Aveva chiaramente sentito il suo cuore che gli urlava che era semplicemente uno stupido, che non avrebbe dovuto abbandonarlo. Ed era così geloso del ragazzo che gli teneva la mano, che lo faceva sorridere. Eppure non era una gelosia dettata dal pentimento di averlo lasciato come fidanzato, era pentito di aver mandato all'aria così tanti anni d'amicizia, un'amicizia che veramente c'era stata, che però non sarebbe più ricresciuta, sarebbe solo rimasto il ricordo di bei momenti trascorsi insieme e di una rottura grande come la faglia di Sant'Andrea in California. Jeno seguì il suo sguardo, e sentì il cuore stringersi in una morsa dolente e le lacrime ai lati degli occhi. "T-ti piace ancora, vero?". La sua voce era tutt'altro che ferma, e lasciava trasparire della speranza che venne spezzata dal silenzio prolungato di Jaemin che con sguardo perso continuava a guardare Renjun. Jeno sentiva che avrebbe potuto crollare da un momento all'altro, così con la scusa banale del dover per forza scappare, sussurrata a bassa voce, come quando si sussurra alla Luna, si mise velocemente il cappotto e solo una volta fuori dalla porta di quel bar lasciò che le sue lacrime colmassero i suoi occhi, regalandogli una foschia davanti ad essi per la quale fece fatica a camminare. Continuava a sfregarsi gli occhi, che diventavano sempre più rossi. Incontrò lo sguardo di Renjun, uno sguardo che subito si spostò andando a guardare Jaemin, che ora guardava il posto sgombro e la tazza di cioccolata mezza vuota davanti a sé. Jeno vide lo sguardo truce dell'altro ragazzo guardare Jaemin, quasi lo volesse uccidere, e subito dopo lo vide abbracciare Renjun, che nel mentre aveva iniziato, aveva notato il biondiccio, ad avere dei movimenti al petto, come degli spasmi. Chiuse gli occhi e cercò di calmarsi, tutto quello non aveva senso, così si tranquillizzò, si asciugò le lacrime residue e tornò a casa con il cuore rotto e arrabbiato, con la convinzione di non voler vedere Jaemin per un po' di tempo. Quest'ultimo, da parte sua, avrebbe voluto rincorrere Jeno e baciarlo, chiedergli scusa, e dirgli che a Renjun non ci pensava più, che l'unica persona che perennemente impegnava i suoi pensieri era lui, ma le sue gambe rimasero ferme, incollate, nella stessa posizione, in quel luogo che ora gli sembrava freddo e vuoto. 

Racconterò a mio figlio che i tuoi occhi sono grandi
Che hai colorato un senso tra i miei giorni più importanti
Che sei bella e non l'ho detto quando avevo l'occasione  

Racconterò di te, Ultimo.

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Vi giuro che nella mia testa era cento volte meglio di 'sto coso.

Jaeminismysmile

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