- Ehi, Dominik! -
Il ragazzo trasalì nel sentirsi chiamare da quella voce, la sua stessa voce, e subito si voltò alle proprie spalle.
- Cosa ci fai qui? -
Chiese al bambino, osservandolo interdetto.
Non aveva idea di quanto tempo fosse stato privo di sensi, ma che fosse stato per un'ora o dieci minuti, ciò non cambiava il fatto che ormai l'altro sarebbe dovuto essere arrivato a casa.- Ecco, io... - Mormorò il minore, leggermente a disagio. - Ero quasi arrivato, quando ho avuto un brutto presentimento e sono tornato indietro. Piuttosto tu... Perchè non sei entrato in casa tua e fino a poco fa stavi dormendo in mezzo alla strada? -
- Ho solo avuto un capogiro. - Si affrettò a rispondere. - Mi sono dovuto stendere un attimo e... -
Nel vedere lo sguardo scettico del bambino, lentamente le parole gli morirono in gola.
Improvvisamente comprese il senso dell'espressione: "è impossibile mentire a sè stessi".- Quella non è casa tua. -
Benchè quella del bambino fosse stata una vera e propria affermazione, più che una domanda, il sedicenne si ritrovò comunque ad annuire leggermente con il capo.
Ma alla fine non era ancora detta l'ultima parola, giusto? Se anche il bambino avesse creduto che lui fosse una specie di vagabondo, non avrebbe cambiato praticamente nulla.
Ciò che il piccolo Dominik disse, però, non fu il "perché mi hai mentito?" o "se vuoi posso chiedere a mia nonna se possiamo ospitarti a casa nostra per un po'" che si era aspettato, bensì:
- Sei un fantasma, per caso? -
Silenzio.
In un primo momento il maggiore quasi credette di esserselo immaginato.
D'altronde non poteva essere altrimenti. Come diamine avrebbe fatto a capirlo?
Anche se aveva commesso diversi errori nel corso degli ultimi due giorni, nessuno di quelli avrebbe potuto portare il minore ad una conclusione del genere.
Motivo per il quale alla fine il ragazzo, convinto di aver semplicemente frainteso, si ritrovò a chiedergli:- Come, scusa? Puoi ripetere? -
A quel punto il bambino assottigliò lo sguardo e corrucciò per un istante le sottili sopracciglia castane, deluso di aver ricevuto una reazione del genere dopo aver atteso per quei dieci interminabili secondi.
- Sei un fantasma? -
Chiese per una seconda volta, alzando leggermente il tono della voce e scandendo per bene le parole.
Il fatto però che queste non fossero state accompagante da uno sguardo spaventato o irato, bensì da semplice curiosità e trepidante attesa, portò il maggiore a sospettare per una seconda volta di aver sentito male.
Non era possibile che una persona ponesse una domanda del genere con lo stesso tono di voce con il quale avrebbe potuto porre domande del tipo: "sei figlio unico?", "vivi qui vicino?", "casa fai nel fine settimana?" e via dicendo.- Perchè questa domanda? -
Si ritrovò allora a chiedere, sperando che, sentendo la risposta del bambino, sarebbe potuto arrivare a comprendere anche il senso della sua domanda di prima. Ostinato com'era nella convinzione di aver avuto le traveggole.
- Perchè prima mi sono avvicinato a te mentre stavi ancora dormendo e, per farti uno scherzo, ti ho gettato addosso un fazzoletto di carta accartocciato per svegliarti, ma... -
E nel dirlo puntò l'indice verso terra, tra i piedi del sedicenne.
Dominik chinò lo sguardo perplesso e quasi si prese un colpo nel notare che effettivamente aveva il piede destro completamente immerso in un fazzoletto appallottolato, un angolo del quale pareva quasi spuntare tra i lacci delle sue scarpe.
STAI LEGGENDO
Little Me
FantasyIn un piccolo paese nella regione di Ontario, in Canada, vive Dominik Pelletier, un sedicenne emarginato dalla società, tanto dai coetanei quanto dagli adulti, e che venne accusato, quando aveva solo dieci anni, di aver appiccato fuoco all'immensa f...