Capitolo Due

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2.

Stesa nel mio letto saran passate circa cinque ore da quel bacio sulla guancia, un contatto che non ho ancora dimenticato. Cerco risposte sul soffitto della mia camera, ma tutto ciò che riesco a vedere è un bianco netto colorato dalle ombre della stanza. Guardo fuori dalla finestra nella speranza di capirci di più, ma quello spicchio di luna sembra un sorriso storto, un sorriso sghembo, un sorriso che mi ricorda tantissimo quello del dottor Cain. In preda ad un impeto nervoso mi tiro le lenzuola fin sopra ai capelli, Mr Bean che scende di scatto dal letto con un balzo felino ed un miagolio infastidito. Mr Bean è un trovatello. L’ho accolto in casa che era ancora cucciolo e appena vidi la macchia sull’occhio a forma di fagiolo, decisi che quel nome era più che adatto anche perché tutte le marachelle che combinava –e che combina tutt’ora- hanno un che di comico che mi ha sempre affascinata e divertita.

«Scusa Mr Bean» sussurro nell’oscurità, il mio amico che mi risponde con un altro miagolio prima di ficcarsi sotto il letto. Lì almeno, sa che non gli darò fastidio.

Sospiro, la calura estiva che comincia a sentirsi e che mi fa scostare le coperte di dosso con movimenti secchi, stizziti, sebbene ci sia da dire che sono snervata più dal pensiero del mio psicologo che dal reale caldo.

Ho conosciuto il dottor Cain circa due anni fa, dopo la rottura col mio ultimo fidanzato. James non era il tipo tranquillo che avevo sempre immaginato, anzi, dopo che decidemmo di andare a vivere insieme non passò molto tempo prima che mi mettesse le mani addosso. All’inizio gliele lasciai passare tutte, poi col tempo cominciai a comprendere che c’era qualcosa di sbagliato e di totalmente malsano in quello che faceva, tant’è che lo piantai nel cuore della notte ritornandomene a casa dei miei. Gli avevo lasciato un biglietto. Me lo ricordo ancora come fosse ieri… Avevo preso una di quelle penne che gli avevano regalato quand’era andato a fare un prestito e con quella stessa penna mal funzionante avevo scritto sul retro di una bolletta “Addio. Non cercarmi mai più o scatta la denuncia. Non scherzo”, e così me n’ero andata. Forse per la paura o forse perché di fatto non gliene fregava nulla di me, alla fine non mi ha cercato più. Sul serio.

Sospiro. Mi sento uno schifo, ma soprattutto non mi sento all’altezza di niente e nessuno. Ancora una volta mi ritrovo a pensare che probabilmente dovevo essere veramente inutile per James, una persona che per lui non aveva più importanza di un ramoscello secco e spezzato dal vento. Se ci avesse davvero tenuto a me, mi avrebbe cercato anche in capo al mondo, no? Non ci sarebbe stato nascondiglio valido per lui, perché avrebbe saputo trovarmi. Ma no, evidentemente non valevo niente. Ero soltanto una ragazzina da torturare a suo piacimento. Chissà chi gli fa compagnia adesso… No. Basta. Non devo pensare a lui in questi termini. Il documentario che ho visto ieri sera diceva chiaramente che il suo comportamento era sbagliato, che non si può fare del male a qualcuno a cui si tiene. Non si può essere brutali quando si ama, perché l’amore è tutto fuorchè violenza.

Mi giro dall’altra parte e guardando il display della sveglia mi rendo conto che sono le cinque e quarantadue minuti e che tra meno di un’ora dovrò alzarmi per andare a lavoro. Che palle. Non ho voglia. Che dirà Stacy appena mi vedrà? Non si è mai vista una fioraia con delle occhiaie come le mie.

«Che faccio Mr Bean?» domando, inclinandomi quel tanto che basta affinchè lui possa guardarmi da sotto al letto. Ma il mio gatto invece di darmi una risposta si mette a fissare i miei capelli che strusciano contro il pavimento, quel rosso naturale che si armonizza perfettamente col parquet.

«Allora? La smetti di fissarmi i capelli? Ti ho fatto una domanda!» bisbiglio, e di colpo due occhi gialli vengono puntati nei miei con asprezza.

«Che faccio, resto a casa e mi fingo moribonda?» in quella, Mr Bean si gira e dopo uno sbadiglio si accuccia per terra chiudendo gli occhietti. La sua risposta è palese, quest’idea di vedermi ciondolare per casa non lo alletta per niente. E va bene, vorrà dire che anche oggi lavorerò.

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