Capitolo Dodici

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Avevamo lasciato Larisa in negozio con James... cosa succederà? Lo scoprirete in questo capitolo! Buona lettura. <3

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12.

«Ch-ch-che cosa ci f-fai tu qui?»

«Ma come, non si salutano i vecchi amici?»

«J-J-James noi non…» Non siamo amici. Non siamo più amici. Non saremo mai più amici.

«Vedo che il tuo viziaccio di balbettare non t’è ancora passato.» Deglutisco. Mi manca il fiato. Ho le gambe talmente molli che mi sembra di poter svenire da un minuto all’altro. Perché, perché Caroline se n’è andata così presto? Mi guardo febbrilmente in giro. Mi serve qualcosa, qualcosa di bello grosso con cui colpirlo in caso di aggressione. Ma che cosa? Un vaso. No, troppo distante. La spillatrice. Sì, è abbastanza pesante da far male se tirata di forza contro la testa. La afferro subito, James che stranamente mi sorride. Reprimo un brivido.

«Non ti ricordavo così magra, sai?» Non rispondo. Lui ride, ride di non so cosa e a me sale il nervosismo. Comincio a tremare violentemente. Ehi laggiù, voi passanti, ma non vedete come sto male? Venite a salvarmi, vi prego!

«Per colpa tua ho dovuto spendere un sacco di soldi spassandomela in una clinica psichiatrica.» Come se io fossi stata meglio. Bastardo! Cerco di dirmi che è tutta colpa mia, ma le parole di Landon mi trafiggono la mente: le cose si fanno sempre in due.

«E adesso eccomi qua.»

«Ch-ch-che cosa vuoi, James?» ma al mio balbettare lui si mette a ridere. Poi, d’improvviso poggia le mani sul bancone e mi fissa con quel suo sguardo terroso e spiritato, un’implicita minaccia sul viso contratto dalla rabbia.

«Voglio vendetta, Larisa. Mi hai rovinato la vita!» e sbatte il palmo sul bancone. È forte. È sempre stato forte. Ha due bicipiti che fanno paura. Per un attimo temo che il marmo possa rompersi sotto un suo secondo colpo. Ma no, James non ripicchia il bancone, James si mette nuovamente a ridere. Sguaiatamente. E a me fa paura.

«Mi dispiace» sussurro, un flebile sibilo tra le lacrime silenziose. Ma a lui non può fregar di meno. Metto le mani dietro la schiena, la spillatrice che sbatte contro le vertebre nell’indietreggiare. Quanto vorrei potermi avvicinare alla porta che dà sul retro del negozio e filarmela verso l’uscita secondaria… Peccato che James è sempre stato furbo e ha sempre capito i miei piani. Mi stupisce che non abbia provato a fermarmi quella notte.

«Vuoi filartela vero?» ringhia, i corti capelli a spazzola tinti di platino che gli stanno davvero male. «Fuggire è la tua specialità. Prima rovini le persone e poi te ne scappi. Chi vuoi rovinare stavolta, eh? La proprietaria di questo bel negozietto?»

«L-l-lascia in p-pace Stacy!»

«Oh, non preoccuparti. Non è lei che m’interessa.»

Vado a scontrarmi contro il muro, la paura che mi tiene prigioniera e m’impedisce di urlare. Tremo così tanto che a stento riesco a parlare.

«Ci sono rimasto male quando te ne sei andata, lo sai?» Deglutisco, lui che mi sorride. Sembra un bambino. Ma un bambino orribile, terrificante, agghiacciante.

«Dopo due settimane che non tornavi sai che ho fatto? Mi sono detto che morto un papa se ne fa un altro! E così mi sono messo con Jane. Bella lei, un culo da favola!» Povera Jane… Dio, ti prego, fa che non ha rovinato pure lei.

«Però quella stronzetta sai che ha fatto? Mi ha denunciato! Capisci? Mi ha denunciato! E così mi hanno sbattuto in clinica.» Sorride in maniera inquietante. Vorrei potermi ricordare di focalizzare l’attenzione su un particolare e contare, contare fino a che tutto non esista più, fino a quando quel dettaglio non mi distragga totalmente dalle mie fobie, però… però non mi ricordo come si fa a mantenere la concentrazione fissa su qualcosa. I miei occhi sembrano delle palline da flipper: volano per tutto il negozio.

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