Capitolo 1

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Tenne sulle spalle lo zaino pesante reggendosi ai sedili pieni, con tanto di libri pesanti nelle mani, quelli che non entravano nello zaino, le lezioni furono pesanti, dopo l'esame del giorno prima, voleva riposo ma evidentemente non era possibile.

Scese alla fermata del parco, il sole si nascose negli alberi alti e prese posto su una panchina, pensando a quanto fosse stanca e troppo distrutta per continuare a viaggiare nell'autobus, voleva rilassarsi prima di tornare a casa.

Così infilò le cuffie nelle orecchie e si stese sulla panchina chiudendo gli occhi. Amava quel parco alla periferia di Madrid, non ci andava quasi nessuno, non esistevano nemmeno giochi per bambini i così non sentiva le loro urla, si stava rilassando fissando il cielo
azzurro e le nuvole cercando di capirne la forma; come faceva da piccola, e quella fantasia, le apparteneva ancora.

Venne interrotta da un colpo sulla spalla, dovette togliere la cuffietta controvoglia e balzò quasi, vedendo il ragazzo di qualche giorno prima, il guinzaglio rosso del cane "Rome" e infine la maglietta nera.

Questa volta era senza occhiali da sole e riuscì a vedere il colore dei suoi occhi, di un marrone così scuro che quasi si confondeva con la pupilla.
I capelli ordinati, le mani strette tra loro ed il cagnolino camminava tra i prati.

- Ti serve qualcosa? - chiese con gentilezza Emma, abbozzando un sorriso.

Lui annuì portandosi i capellí all'insù - Vorrei giocare a ping pong con qualcuno, ti va?
O devi studiare? -

Fu la prima cosa che, per imbarazzo, gli venne in mente. Non sapeva nemmeno il motivo per il quale era tornato in quel posto, ogni giorno alla stessa ora sperando di trovarla, non conosceva nemmeno il suo nome. Ma puntualmente prendeva Rome e camminava dritto dritto al parco, spinto dall'istinto e da quella vocetta interiore

- Oh, sei un tipo da ping pong? -

Emma si chiese mentalmente se tirare una pallina da un lato all'altro del tavolo facesse delle braccia così belle. Poi scosse la testa, riprendendosi, lo stava fissando troppo.

Si alzó, rendendosi conto di quanto fosse bassa, arrivandogli più o meno al petto, - Solo se mi dici come ti chiami.-

Le porse la mano tenendo le labbra rosee stese in un sorriso - Sono Marco. E tu?-

Marco.
Tenne il respiro mozzato in petto, suonava così bene detto da lui, con una strana pronuncia, un nome che le ricordava la sua nazione nativa, e le riportava ricordi dei quali voleva liberarsi. Così chiuse gli occhi e sospiró.

- Io te lo dico se mi fai vincere la partita - alzó il sopracciglio, lui ne fu sorpreso.

- Quindi se perderai non mi dirai mai il tuo nome, sbaglio? - aggrottò la fronte, divertito.

- Tu, Marco, mi stai sottovalutando. -

In realtà non aveva mai giocato a ping pong in tutta la sua vita, ma lo aveva visto ai ragazzi che, spesso e volentieri, passavano del tempo a giocare lì, rilassandola con il rumore della palla.

Lui si fece scappare una risata divertita.
Emma rimase incantata da quel suono e dagli occhi che si arricciavano insieme la naso e le labbra.

- Quindi, sei pronta? - chiese giungendo al lato del tavolo, mettendola difronte.

- Prontissima - alzó le maniche della felpa verde petrolio concentrandosi

Marco inclinó la testa ridendo ancora
come non lo faceva da troppo tempo. - Sei buffa -

Schiacció la pallina sul tavolo, Emma la prese al volo lanciandola con forza dall'altro lato, attenta a non colpire la rete.

- Per fortuna non hai detto "sei bassa"
altrimenti ti sarebbe arrivata la pallina in un occhio- sorrise colpendola ancora, Marco tenne l'interno guancia con i denti

- La pallina potrebbe arrivarmi in un occhio dal momento in cui non sai giocare. - la canzonó, buttandola sul ridere, senza malizia.

- Il male va a te, non saprai mai il mio nome. - fece la linguaccia, sentí il cuore battere un po' più veloce

- É così prezioso come nome? - domandó fermando il gioco, - O sei tu che fai la preziosa?-

Emma alzó le spalle.
Colta in fragante
Era semplicemente il suo carattere, puntava sul divertimento, sul far ridere le persone, su farle sentire bene e senza saperlo con Marco ci riusciva alla grande.
Dato che il ragazzo aveva dimenticato tutti i problemi lasciandoli alle spalle, dal momento in cui aveva preso Rome colto dall'euforia di incontrarla

- Il mio nome non é nulla di che.
Ed io sono così come mi vedi. Sta a te esprimere il tuo parere -

Marco si distrasse e fissarle le labbra carnose, così Emma trovó l'angolino adatto, in modo che lui non arrivasse a prendere la pallina.

- UUUUUUH. Te l'ho detto che non dovevi sottovalutarmi. -
Rome mise una zampetta sulle orecchie accucciolandosi a terra per quanto Emma avesse urlato

- Aspettavo solo questo.
Come ti chiami?- insistette mettendo le mani sui fianchi, illuminato dai raggi del sole.

- Sono Emma. - gli strinse la mano, poi prese Rome in braccio sedendosi di nuovo sulla panchina

Le piaceva, era un bel nome.
Non propriamente spagnolo ma gli parve affrettato chiederle da dove venisse.
Così le si sedette accanto, osservando il modo in cui coccolasse il cane.
Ed un idea folle gli balenó in testa

- Vuoi un gelato, Emma? -

𝒅𝒐𝒈𝒔𝒊𝒕𝒕𝒆𝒓 ✿ 𝒎𝒂𝒓𝒄𝒐 𝒂𝒔𝒆𝒏𝒔𝒊𝒐Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora