Capitolo 10

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Passarono diverse settimane, faceva parecchio freddo, stava stringendo la catenina di Rome nelle mani coperte dai guanti. I suoi occhi guardarono attentamente ogni angolo del parco, ogni panchina, ogni posto nascosto sperando di trovare Emma, ma della ragazza non c'era.

Illuminó lo schermo del cellulare, non aveva risposto a nessuna delle sue telefonate, tantomeno ai messaggi. Era come sparita del mondo, a seguito dell'uscita al cinema, non aveva più sue notizie, avevano contato i giorni, i minuti ed i secondi, ma nessun segnale. Tramite Francisco sapeva che, a quanto detto da Maria, la ragazza stava duramente studiando per gli esami.

Morse l'angolo delle labbra, all'ennesima fitta alla gamba, aveva preso una piccola botta in allenamento, niente di serio, ma doveva riposare. Nonostante questo aveva camminato con Rome per arrivare al parco, non gli importava, doveva scoprire cosa fosse successo ad Emma.

Rome piagnucoló quando lo prese in braccio, voleva restare ancora lí a correre, ma Marco aveva altro da fare. Così raggiunse velocemente casa, prese tutti i vestiti di Marina mettendoli nella stanza degli ospiti, provava in po' di dolore, ma prima o poi quella storia doveva giungere al termine e soltanto qualche giorno prima ebbe il coraggio di farlo. Non ne valeva più la pena, non c'era più quella scintilla e quella fiamma che brucia di continuo; non amava più. O forse amava Emma, non lo riusciva a capire, era tutto così confuso.

Si lanció a peso morto sul divano, Rome gli si mise accanto leccandogli il braccio, Marco si tenne la testa nelle mani, gli mancava tanto, tanto che le lacrime bagnarono di poco le ciglia degli occhi. Tanto che sentiva un vuoto nel petto, "tanto che"
non riusciva nemmeno a paragonarlo, ad esprimerlo.

Strofinó le palpebre e mise la giacca, prese l'auto e sfrecciando per le strade di Madrid arrivó fino all'abitazione di Emma. Era un palazzo colorato da un colore strano, con dei fiori alle finestre, rossi. Dall'esterno vedeva due figure muoversi all'interno, scorse la macchina di Francisco accostata al marciapiede: erano lui e Maria, forse seduti sul divano.

Il cuore tornó a correre all'impazzata notando una siluette magra e bassa, con il cellulare nelle mani, un borsone, ed il cappuccio in testa. Uscì dalla macchina bianca, ed a passo svelto, non badando al dolore della gamba, la raggiunse.

- EMMITA. - urló, forte, tanto che vide le cuffiette della ragazza cadere, insieme al cellulare.

Emma si era letteralmente ghiacciata a quel suono di voce e a quel soprannome. Aveva ingoiato la lingua e il lamento in risposta, le lacrime, e prese il telefono controllando se si fosse rotto.

Marco ne approfittó per avvicinarsi, le mise le mani suoi fianchi ed Emma sfioró il petto profumato con il mento, sentendo ogni organo abbassare le difese. Era cambiato, aveva un po' di barba ed aveva tagliato i capelli, bellissimo, come sempre. Lo stomaco si contorse dalla fame e dal sentimento, o meglio, i sentimenti.

- Non-non voglio vederti. - cercó di allontanarsi, ma la presa di Marco era troppo forte, così fu inutile

Lui sospirava, sconfitto e con affanno - Cosa? E perché non vuoi vedermi, ho fatto qualcosa? -

Emma sbuffava scuotendo la testa,
come prevedibile; Marco non si era accorto di nulla, era amicizia per lui. Non si poteva rendere conto di quanto male le facesse, quello lo capiva soltanto Maria, anche se Emma cercava di nasconderlo in tutti i modi.

- É un periodo impegnativo, se si mettono anche altri problemi io davvero esplodo, ho tante cose da fare - lo liquindó, con semplicità, fissando l'asfalto

- Da quando io sono un problema? Da quando non ti fai aiutare da me? Da quando mi eviti?
Non ci sto più capendo nulla. - fece, portando i capelli all'indietro, con le lacrime negli occhi scuri

Emma lo vide debole, ed il senso di proteggerlo si fece spazio nel petto, ma per qualche assurdo motivo restó ferma sui suoi passi. - Prova a pensare a tutto quello che è successo.
E mi dirai -

Marco fece sbattere la mascella con i denti. Tenne le mani tra di loro, aggrottando le sopracciglia.

- Il fatto é, Marco, che io sono stanca. Mi sono stancata di questa situazione, di essere la ruota di scorta, di farmi da parte quando Marina torna a casa, di non poterti abbracciare sempre, di non poterti coccolare. Perché tu non sei mio, sei mio amico, ma forse non mi basta, non lo hai mai capito abbastanza. Hai pensato a te stesso e recuperare la vostra storia d'amore, hai fatto bene, la ami, si vede.
Ma lasciami in pace ora che ci sei riuscito -

Marco aveva assistito alla sfuriata di Emma, alla classica esplosione, alla sbottata, una delle sue. Gli si erano gonfiati gli occhi e le parole di Emma bruciavano come ferite fresche. Si morde l'interno guancia, aveva ragione. Non si era comportato correttamente, non aveva avuto il coraggio di dirle la verità. Quando Emma si allontanó si sentí precipitare, così come le gambe tremavano.

- Io e... Marina non stiamo più insieme. - disse, con voce tremolante.

Ma neanche quello sembró farle cambiare idea, Emma era decisa, dietro la sua corazza però, una parte di se stessa era completamente distrutta. - Non é una giustificazione. Hai sempre preferito continuare con lei che accorgerti del mio dolore, era palese a tutti, tranne che a te -

Tenne lo sguardo basso, a corto di parole.
Emma corse nelle scale, fino ad arrivare a casa. Filó dritta in camera, crollando sulle gambe con la schiena appoggiata al bordo del letto. Ogni forza la stava abbandonando.

Marco si girava le chiavi della macchina nelle mani. Si sedette sull'asfalto lasciando che le lacrime gli bagnassero il viso.

𝒅𝒐𝒈𝒔𝒊𝒕𝒕𝒆𝒓 ✿ 𝒎𝒂𝒓𝒄𝒐 𝒂𝒔𝒆𝒏𝒔𝒊𝒐Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora