CAPITOLO 1

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" Le città sono come le persone. Hanno un nome che le distingue e pregi, difetti e particolarità che conferiscono loro un carattere preciso. Ma c'è sempre qualcosa che sfugge, labile e indefinibile, così da renderle sempre nuove e inaspettate ogni volta che le si rivede."

( Francesco Caramagna)

Un nuovo giorno cominciava.

Un nuovo giorno da vivere, da scoprire e da riempire.

Ed il sole che splendeva alto ne era testimone, regalando i suoi raggi ed il suo calore alla città di Atlis. Una città racchiusa, come un gioiello prezioso, nel cuore della vegetazione, dove i fiumi, che scorrevano tranquilli con le loro acque limpide, sono sovrastati da ponti in muratura.

Chi avrebbe mai detto che una città vera e propria potesse sorgere in mezzo alla radura?

Eppure gli abitanti vivevano con quello che la natura aveva da offrire.

E nemmeno loro sono poi così comuni.

Le loro vesti dalle tinte cangianti e colorate, il rosso, il nero, il giallo, l'arancione, il verde, il blu ed il viola creano un arcobaleno nelle vie acciottolate che racchiudono tesori di monumenti, distinguendo chiaramente i vari culti delle divinità della coccinella, del gatto nero, dell'ape, della volpe, della tartaruga, del pavone e della farfalla.

I templi, dedicati a quelle sette divinità tanto adorate dalla popolazione, si trovavano ai confini della città, delimitandone anche le zone abitative dei seguaci dei diversi culti: si dice che sette divinità, dotate di incredibili poteri, avessero combattuto, senza sosta, per sette giorni, in nome del bene dell'umanità; ma con il tempo, scoprirono che anche il loro potere non era infinito così come la loro forza vitale; così, decisero di deporre le loro armi, fondando così le sette tribù e facendo riposare così le loro anime, in quel luogo, per l'eternità.

Era questo che ricordava dai racconti di sua nonna: le gesta di uomini e di donne che avevano messo in gioco tutto quanto per un futuro che loro non avrebbero mai visto.

E nonostante fossero passati diversi anni, quella storia continuava ad appassionarla come quando era solo una bambina, e ancora una volta, la sua curiosità non riusciva a placare quella domanda che continuava a ripetersi da allora.

Anche le divinità potevano innamorarsi? O avere un loro legame basato su qualche sentimento umano, e non per il fatto di essere tutte legate ad un loro status?

Nemmeno sua nonna era riuscita mai a darle una risposta e, molto probabilmente, non l'avrebbe trovata di certo lei; sarebbe stata una delle tante domande senza risposta, una di quelle domande sospese nel tempo.

Si fermò a pochi passi dall'enorme entrata del quartiere così diverso dal suo, fissando con ammirazione la grande statua che si ergeva dinanzi a lei: un uomo, dai muscoli scolpiti, che guardava qualcosa all'orizzonte; tra le mani sorreggeva quello che era un libro pesante e nell'altra lo scudo, chiaro riferimento alla conoscenza e alla protezione.

Quella statua, rappresentante la divinità della tartaruga, le incuteva un certo timore reverenziale, così come tutte quelle ritraenti le altre divinità presenti all'entrata di ogni quartiere legato ai loro culti, chiedendosi sempre se era effettivamente questo il loro vero aspetto di quando erano in vita; superò l'uomo di pietra, ormai fermo per millenni, confondendosi tra la gente dalle vesti tendenti alle varie sfumature del verde, da quelle più chiare come l'erba a quelle più scure come la foresta, prima di fermarsi ai piedi di un edificio che lei conosceva bene.

Poggiò le sue piccole dita sulla porta di legno, spingendo contro di essa, la quale si aprì cigolando un po' prima che l'odore di piante aromatiche e spezie la investisse; abbassò il capo, salutando le varie persone che in quel momento erano assistite dal giovane che visitava una bambina.

My Lucky My LoveDove le storie prendono vita. Scoprilo ora