CAPITOLO 13

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Si dice che la notte porti consiglio, eppure Plagg non era riuscito a chiudere occhio: il brusìo dei festeggiamenti era ormai lontano, sempre più sordo, sempre più distante, fino a cessare del tutto. La notte parlava di sé, di diamanti incastonati nel blu, di luoghi traboccanti di passato, di storie portate dal vento, di fruscío di foglie e stridere di grilli.

Ora che lo vedeva con i propri occhi, tutto aveva una visione più vera e più grande di quanto lui avesse potuto immaginare; quel silenzio attonito, dove tutto si piegava ad una bellezza eterea, fu spezzato dal respiro cacciato fuori per impazienza, perché tutto lì sembrava essere sospeso in un tempo dove lui non era previsto.

Plagg era rimasto sveglio, cambiando posizione nel letto di tanto in tanto, sempre con l'orecchio teso verso la porta: l'aveva aspettata tra lenzuola di cotone e la frescura della sera, tra il buio della notte e la luce di una candela, con gli orecchini stretti nella mano destra e il braccio sinistro piegato e appoggiato sulla fronte; Tikki sembrava non arrivare e la mente gli ricordava quanto basso fosse sceso per infliggere un dolore intriso di conoscenza: ne portava i segni, anche se non visibili a occhio nudo, che popolavano i suoi sogni di continui abbandoni e speranze infrante.

Eppure era caduto in un tranello così goffo, quel tanto che bastava da appesantirgli l'anima e imbrattargli la coscienza dello stesso colore del buio.

La notte non era mai sembrata così lunga e, dopo le prime ore notturne, Plagg cedette alla stanchezza: rimuginare i fatti accaduti lo aveva consumato lentamente, morsi e graffi che lo avvilivano, prosciugandogli qualsiasi energia. Così si abbandonò a quel sonno ristoratore che accoglieva ogni cosa, persino le sue colpe.

Sarebbe bastato chiudere gli occhi e cancellare tutto ciò che aveva fatto?

Forse no, ma Plagg si lasciò andare con la consapevolezza che, scivolando nell'oblio, l'avrebbe ritrovata lì, a pochi passi da lui.

I primi raggi del sole filtrarono dalla finestra della sua stanza ancora in penombra, scolpendo delicatamente i lineamenti del suo viso, mentre un uccello, appollaiato sul ramo, lo svegliava con la sua voce gracchiante, facendolo borbottare non poco.

«Maledetto uccellaccio! Un giorno ci farò l'arrosto!»

Si tirò su a sedere sul letto, stirando le braccia verso l'alto, mentre i muscoli abbandonavano a poco a poco il torpore del sonno, sgranchendosi e producendo quel tipico schiocco delle articolazioni.

I monili giacevano ancora nella mano destra chiusa a pugno: li aveva stretti tutta la notte, come se fossero collegati direttamente alla sua ragazzina, proprietaria del gioiello e della casa. La aprì lentamente, facendo scivolare il proprio sguardo sugli orecchini di onice nera che giacevano proprio al centro: quella volta, Pollen lo aveva invitato presso la sua dimora, e per quanto lui avesse desiderato un approccio più intimo, lei gli aveva dato un bel due di picche specificando che era il compleanno di Tikki.

Pollen aveva organizzato una festa in grande e Wayzz aveva sicuramente inventato qualcosa per lei.

E lui?

Si era ritrovato a girare i vari quartieri di Atlis alla ricerca di qualcosa, per non essere l'unico a presentarsi a mani vuote; ma a differenza dei due, Plagg non conosceva i gusti della Coccinella ed i loro incontri, fatti di battute squallide e senso dell'umorismo fuori dal comune, di certo non aiutavano.

Coccinella e Gatto Nero.

Fortuna e Sfortuna.

L'uno l'opposto dell'altro.

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