CAPITOLO 14

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Nessuno sapeva le sue origini, tanto meno chi fosse l'autore.

Nessuna traccia, un minuscolo indizio cucito sulla trama della pelle scura, sulla quale un disegno geometrico ne decorava il recto e il verso, nessuna provenienza o qualcosa di più.

Nulla.

Tutto relegato all'interno di un mistero che lo avvolgeva nel tempo, ignaro al mondo, un nastro di seta invisibile eppure percepibile.

Era silenzioso lui, come solo i libri possono essere, maestri muti e colmi di conoscenza, la quale veniva spiegata con le stesse parole, senza mai cambiarle, campi di carta libera tra fiori e steli d'inchiostro.

E tra quei simboli si celavano destini, fili imbrigliati che aspettavano solo di essere scoperti, potenzialità sovrumane e strumenti da combattimento.

Non si giudica mai un libro da una copertina, gli ripetevano spesso, e mai come allora Wayzz si rese conto che quel libro valesse molto più di una semplice facciata: un tesoro inestimabile tra le pagine curate in ogni minimo dettaglio, così come i destini di chi sarebbe venuto in possesso del libro.

Le pagine ritraevano le sette divinità.

Un capitolo specifico per ognuno di loro.

Così giovani, così coraggiosi, così... perfetti, fasciati nei loro abiti richiamanti il loro simbolo, così uguali alle statue poste all'entrata di ogni quartiere che ne annunciavano il culto, così diversi da loro, piccoli uomini che adoravano.

Loro che avevano scelto di sacrificarsi per un bene superiore, loro che avevano lasciato qualcosa oltre ad una città variopinta, loro che si erano addormentati lasciano che il tempo scorresse senza di loro.

Il libro era là, silenzioso come un volume sa essere, nella sua austera presenza seppur taciuta, perché bastava la sola presenza a ricordare che non poteva finire nelle mani sbagliate.

Non doveva accadere, altrimenti tutti sarebbero stati in un grosso pericolo.

Perché il mondo cerca equilibrio.

Così è stato e così sempre sarà.


Noroo fece scivolare lo sguardo verso le sue creature piccole e delicate, fragili e sublimi, libere e leggiadre nel loro vorticare senza meta. Lui le amava tutte, indistintamente, le sue creature, piccole esistenze aggrappate alla forza delle ali che le portavano verso l'alto, verso un fiore, verso il cielo.

E colori, colori e colori.

Le sue creature indossavano i colori, tonalità fredde e calde in uno sfarfallio verso il vuoto tra fasci di luce, provenienti dal soffitto in vetro, e piante sempreverdi: e lì, nel punto più alto del palazzo, una voliera custodiva un meraviglioso giardino, un piccolo angolo di Paradiso incorniciato dalla vegetazione: rose, gigli, tulipani, amaryllis, buddleia, lillà, fiordaliso e molte altre piante erano la sua creazione, ciò di cui andava più fiero. E tra quei fiori incantevoli, che lui stesso aveva curato una ad una, le sue creature vorticavano e libravano libere in una danza di colori che variava dalle gradazioni degli azzurri e dei gialli a quelle tendenti al marrone e al viola; ma su tutti quei colori, loro spiccavano per la loro purezza, fragili farfalle bianche che racchiudevano la gamma dei colori in uno solo.

Si dice che ad ogni colore di farfalla si associ un significato, e per quanto molti tenessero in considerazione il presagio, lui non le aveva mai viste in quel modo.

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