CAPITOLO 6

96 11 7
                                    

« Riportami quella mela, brutto ladruncolo! ».

La voce del mercante alle sue spalle si faceva sempre più lontana, scappando tra i vari vicoli col cuore che galoppava e l'aria mancargli per la corsa. Saltò agilmente su uno dei muretti, col respiro affannato e l'eco della sua risata giungergli alle orecchie, mentre i metri che lo dividevano dall'unico luogo in cui si sarebbe sentito al sicuro si accorciavano sempre più, avvicinandolo alla meta: superò l'enorme statua che indicava l'entrata del suo quartiere, scivolando tra le varie stradine, giungendo finalmente a destinazione. Con i suoi mille e più scalini di colore chiaro, il tempio della Tribù del Gatto Nero si presentava a lui in maniera trionfale, facendolo sorridere ancor di più e dando maggiore spinta alle gambe per aumentare la velocità della sua corsa.

Salì agilmente i gradini, saltandone qualcuno di tanto in tanto, arrivando finalmente alla fine e godendo della bella vista che l'edificio offriva: il quartiere del Gatto Nero e le persone che da lassù sembravano piccole figurine nere, indaffarate nella loro routine quotidiana, e se scorgeva al di là del suo quartiere, riusciva ad osservare tanti puntini colorati che si mescolavano tra loro. Quello era il centro, si ritrovò a pensare, dando un morso alla mela, stretta nella mano destra, scrutando, ancora una volta, il quartiere sotto ai suoi piedi quasi come fosse sotto il suo potere.

La notte scese insieme alla quiete che non aveva trovato posto nelle ore diurne, sentendo lo stridere dei grilli che sembravano dedicare canzoni alla pallida luna e al suo manto stellato. Plagg si sedette su uno degli scalini, ammirando come le luci all'interno delle case si accendevano una ad una. Era meraviglioso vedere quelle luci come si illuminavano perché dimostrava che in quelle abitazioni vi era una vita, forse più di una e chissà, magari un calore familiare che lui non aveva mai provato.

Non sapeva molto della sua vita, sapeva soltanto di essere stato trovato, ma non come era stato possibile, ne tantomeno i monaci erano stati tanto cortesi da dirglielo. Anzi, ora che ci pensava, erano sempre sfuggevoli, quasi preziosi, come se avessero dovuto raccontare qualcosa di scomodo perfino per loro.

Ma i suoi genitori?

Anche lui aveva una famiglia?

Forse le persone che cercava avevano acceso una di quelle luci davanti i suoi occhi e magari un giorno avrebbe visto i loro volti e, forse, porre quella domanda che lo attanagliava da molto tempo. Non era l'unico ad essere stato aiutato dai monaci; vi erano altri bambini che come lui desideravano ritornare nelle proprie case, stringendo al petto prima di addormentarsi, quasi come un tesoro prezioso, un oggetto che ancora li collegasse ai loro cari: un pendente, un fazzoletto o addirittura un fischietto di legno.

Inspirò profondamente, avvertendo l'aria frizzante della notte che solleticava le narici, celando al tempo stesso nel suo cuore la speranza che un giorno la verità sarebbe venuta fuori, ritrovandosi a pensare che, a differenza degli altri bambini, lui non possedeva niente di materiale da poter stringere la notte quando aveva gli incubi o quando si sentiva solo ed impaurito, niente che potesse aiutarlo in qualche ricerca, se non una cosa: il suo nome.

L'unica cosa che lo collegava ai suoi genitori.

Plagg.

Il nome che avevano scelto i suoi genitori per lui.

Passarono gli anni e col tempo, oltre ad essere cresciuto, divenne il migliore combattente della sua Tribù, ottenendo così il permesso di prestare le sue abilità alla stessa città che lo accoglieva: era meraviglioso camminare tranquillamente tra le vie del quartiere assegnato, facendo scivolare lo sguardo vigile verde su persone o movimenti troppo bruschi, sentendosi finalmente utile a qualcosa ed evitando qualsiasi tipo di distrazione, donne comprese.

My Lucky My LoveDove le storie prendono vita. Scoprilo ora