CAPITOLO 11

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Da quando ne aveva memoria, la Festa delle Divinità era sempre stato un evento molto sentito ad Atlis, e soprattutto era la sua Festa preferita. Le luci delle lanterne rendevano l'atmosfera quasi sospesa nel tempo e l'aria si riempiva di odori che aleggiavano in una danza lenta, insieme a quella brezza che delicatamente soffiava lungo le strade e scompigliava dolcemente i suoi capelli cremisi.

Inspirò profondamente quei profumi, gli stessi di tanti anni prima, profumi di ricordi lontani in cui aveva solo pochi anni, col vestito rosso a pois neri lungo fin sotto le ginocchia, mentre stringeva teneramente la mano più grande di lei che la conduceva in una passeggiata notturna tra le bancarelle e le luci delle lampade. Ricordava i capelli della nonna: lunghi e lucenti, raccolti spesso in una treccia, fili argentei impermeati di storia e saggezza.

Lei che aveva sempre visto tra i suoi capelli il colore delle stelle.

La nostalgia di quei ricordi, troppo lontani ormai, le arrivò nitida al cuore, scrigno di preziose memorie, e velò i suoi occhi di una realtà passata, evanescente come il fumo di una candela, che non poteva afferrare con mano, tristezza momentanea di un ricordo relegato nel tempo e che lì sarebbe rimasto, chiuso all'interno del proprio cuore.

Il chiacchiericcio della gente attorno a lei l'aveva riportata alla realtà quasi bruscamente, tirata a forza mentre ripercorreva i sentieri di Atlis e l'ombra di sé stessa: sbatté le palpebre più volte sfarfallio di ciglia imprigionate tra i fili dell'illusione e della realtà, mentre le labbra si schiudevano alla ricerca di aria. Scosse la testa più volte, osservando i sorrisi dipinti sui volti estranei, nei gesti semplici di un abbraccio o di una carezza, mentre il suo animo restava in tumulto, in balia del ricordo ancora vivido sulla pelle nivea.

Tikki rivolse lo sguardo adesso sull'uomo accanto a lei: Plagg camminava sicuro, a testa alta, non un velo di soggezione, e l'espressione che non lasciava trasparire nulla; era solito camminare da solo, senza persone attorno, senza troppi pesi ingombranti, o almeno così lui li definiva: sembrava vedesse nemici ovunque, nessuno che meritasse la sua fiducia, un randagio dall'aria diffidente pronto a tirare fuori gli artigli nel caso in cui le cose avessero preso una brutta piega. Gli unici a cui aveva permesso di avvicinarsi, escludendo le donne da avventura, erano proprio lei, Pollen e Wayzz.

Ma perché nessuno riusciva a capirlo?

Perché nessuno riusciva a capire che, al di là di quell'aspetto da duro, si celava semplicemente quel ragazzo con gli occhi spenti e privi di luce sotto la pioggia battente.

Che fosse ancora sul chi va là?

Tikki riportò l'attenzione sulla strada e, senza che Plagg se ne accorgesse, posò dolcemente la mano sulla veste, sentendo quel piccolo rigonfiamento sotto la stoffa, celante il contenuto che la fece sorridere di cuore.

Quella mattina aveva aiutato Pollen nella scelta di un abito che a primo impatto le aveva fatto storcere il naso e solo in seguito, con i gioielli giusti e la pettinatura giusta, aveva soddisfatto di gran lunga le sue aspettative, facendosi largo tra una stanza letteralmente a soqquadro e la crisi di una donna in preda alla confusione più totale.

Era uscita dal quartiere dell'Ape con tutti i buoni propositi, dirigendosi verso il centro abitativo: si portò le braccia dietro la schiena permettendo alle mani di intrecciarsi tra loro, osservando con ammirazione persone e bancarelle; in fondo Atlis era un meraviglioso quadro in cui l'artista aveva sperimentato i colori della sua tavolozza, comprese le varie gradazioni di ciascun tinta, e lei, così come tutti gli altri, era una piccola donna che viveva all'interno di un quadro voluto da entità più grandi di lei.

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