Capitolo 13- Viver qui

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Marinette rimase seduta sul suo banco nella nuova classe mentre tutti gli studenti uscivano per svolgere i loro altri compiti; era rimasta sola in un'enorme stanza bianca con il suo fidato quaderno dei bozzetti e il suo kwami. 

Si trovava a Londra da sei mesi e faticava ancora ad abituarsi a quell'ambiente, doveva però ammette che quella fosse stata un'occasione unica. Mesi prima che tutto il suo tormento iniziasse, aveva fatto una richiesta per una borsa di studio in una scuola londinese di moda; aveva tenuto le sue azioni all'oscuro tranne che ad Alya, di fatto era stata lei ad accompagnarla alla posta per spedire quella lettera. 

Quando era arrivata la risposta dalla scuola, lei era da poco tornata a casa con Tikki e, presa conoscenza della notizia, saltellò dalla gioia; sapeva bene che quell'opportunità evrebbe finalmente potuto staccarla dalla sua quotidianità marcita. L'unico rimpianto che aveva avuto nell'andarsene riguardava un certo gatto nero che le aveva graffiato il cuore: vederlo andar via dal suo balcone con la speranza di incontrarla il giorno dopo era stato distruttivo. Sognava quei felini occhi verdi la notte che le chiedevano di tornare, ma la sua scelta era irremovibile.

Dovette ammettere che quei primi mesi furono difficili; la società londinese era ancor più caotica di quella parigina e la sua vita era diventata complessa: vivere da sola lo era. Le maggiori difficoltà furono nell'instaurare dei buoni rapporti di amicizia, dovuto soprattutto alla sua scarsa conoscenza delle lingue ,da lei sempre odiate. Fortunatamente un angelo sceso dal cielo, anche detto Luka, l'aveva salvata da una solitaria vita da studiosa.

Il loro incontro, così casuale e speciale, aveva fatto guadagnare al ragazzo un posto di privilegio nella sua nuova vita.

Ora era su quel banco a disegnare bozzetti, con un smagliante e rinato sorriso. Tikki dai meandri della sua borsa la osservava felice, era così fiera che la sua padrona non si fosse lasciata abbattere dalle avversità.

Lo squillo del suo cellulare la riscosse in modo brusco dal disegno di un elegante vestito da cerimonia. Era tornata ai suoi adorati film mentali di un matrimonio in bianco, con fiori profumati e un vestito dallo strascico invidiabile persino a Kate Middelton.

Il nome che comparse sullo schermo la fece scattare velocemente per rispondere. La voce inconfondibile della sua migliore amica, leggermente metallica, riempì il silenzio di quella sala mentre lei sistemava le sue cose dentro allo zainetto.

-Marinette, che fai non saluti?- chiese con una certa ironia la ragazza dall'altro capo del cellulare.

-Scusami tanto Alya, mi sono persa a disegnare e ho dimenticato di andare da Luka! Mi aspettava e sono sicuramente in ritardo madornale- rispose Marinette indaffarata.

-Sempre la solita eh? Ma che dovevi fare con lui? Tu, cara mia, appena atterri a Parigi dovrai raccontarmi tante cose.-

-Oh certo, certo. Sia mai che dimentichi un dettaglio; se lo facessi tu come potresti farti film mentali su semplici amicizie- parlò portando gli occhi al cielo esasperata. Da quando aveva fatto la conoscenza del ragazzo e ne aveva accennato per caso ad Alya, la sua migliore amica era impazzita: era arrivata persino a sognare che loro due stessero assieme!

-A me non sembra sia una semplice amicizia. Almeno per lui non credo sia così.-

Nel frattempo Marinette camminò veloce per i corridoi, stando attenta a non scivolare e fare una delle sue solite figure imbarazzanti.

-Non esageriamo Alya. Neppure lo conosci!- si esasperò. Spostò il telefono nell'altro orecchio per sistemare meglio la cartella contenente i sui bozzetti.

-Non serve conoscere le persone per capire se sono innamorate. Sento odore nell'aria, non puoi ingannarmi- rispose scherzosa l'amica.

Marinette scosse la testa avvilita, nonostante tutto Alya rimaneva sempre Alya. Appena varcò il cancello trovò un ragazzo dai capelli azzurro tinti e l'aria un po' trasandata ad aspettarla. Era appoggiato contro il muretto e con gli occhi esaminava degli spartiti che teneva tra le mani, assorto anche lui com'era probabilmente non si era accorto del suo ritardo.

Mi fidavo di teDove le storie prendono vita. Scoprilo ora