3. Punizione

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Corretto

Quante probabilità c'erano di essere beccata dal preside mentre, durante uno dei miei tanti giorni bui, rientravo a scuola dalla porta di servizio in orario di lezioni? In realtà molte, non sono molto brava a fare le cose di nascosto. Dovevo aspettarmi l'ennesima presa in giro da parte del mio amico destino.
Dopo averlo tamponato con forza, mi stacco da lui in un batter d'occhio e il mio viso diventa così bianco da sembrare un lenzuolo appena candeggiato. Mi viene da piangere, il cuore batte come un tamburo mentre lui mi osserva dall'alto con aria sufficiente e uno sguardo furente in volto.
«Signorina Anderson. Cosa ci fa una studentessa diligente e che non ha mai trasgredito le regole, per di più durante le ore di lezione, sulle scale che portano al tetto?» dice con tono autorevole.

«Buongiorno signor Preside, io veramente...» rispondo consapevole di essere davvero nei guai. Mi guardo intorno alla disperata ricerca di una scusa plausibile ma nulla di ciò che mi circonda sembra fare al caso mio. La pressione comincia ad attanagliarmi le tempie.

«Nel mio ufficio. Ora!» tuona la sua voce possente mentre con un dito indica la scalinata alle sue spalle. Senza alcuna via di scampo, sospiro rumorosamente, rassegnata al fatto che non la passerò liscia stavolta. Lo seguo con la testa bassa.

~~~

Una volta entrata dentro l'ufficio del preside dal mobilio super moderno, mi lascio andare svogliatamente su una delle sedie di pelle nera davanti al tavolo in vetro del preside, stracolmo di fogli ben ordinati. Passerò dei guai seri? Spero tanto di no, perché sarebbe davvero un problema dirlo a mia madre e non posso darle un'altra delusione, non quando si aspetta sempre il meglio da me.
«Signorina Anderson, sa che è severamente vietato salire sul tetto? È scritto persino nel regolamento d'istituto, se lo ricorda per caso?» dice il preside, sfilando accanto a me fino alla sua poltrona d'ufficio rigorosamente nera.

Una volta seduto di fronte a me, toglie quei granelli di polvere che, come un cielo stellato, si sono adagiati sulla giacca blu notte mentre eravamo in quella gradinata. A quel movimento, la solita camicia bianca aderente mette ancor di più in evidenza il suo addome scolpito, lasciando trasparire quelle macchie d'inchiostro che gli impregnano la pelle.

Stessa cosa fa con i capelli, infilando le dita tra le ciocche castane e scompigliandoli il necessario per far cadere gli ultimi granelli di polvere.

Se non fosse stato il preside della mia scuola, avrei sicuramente detto che è uno di quei modelli che si vedono nelle pubblicità di shampoo o di qualche profumo. In fondo è un uomo di bell'aspetto: quegli occhi color miele accompagnati da un naso perfetto e le gote ricoperte da un leggero strato di barba, hanno fatto cadere a terra la mandibola di molte studentesse della mia scuola. Questo non ha fatto altro che gonfiare il suo ego già di dimensioni sproporzionate.

Abbasso immediatamente lo sguardo per paura che possa accorgersi dei miei occhi curiosi su di lui.

«S-si, signor preside» rispondo con voce troppo tremante.

«Se lo sa, signorina Anderson, che cosa ci faceva là sopra? L'ha autorizzata qualcuno per caso?» dice, continuando il terzo grado più difficile a cui io abbia mai partecipato. Non ne posso più di farmi interrogare, così prendo coraggio, alzo lo sguardo e cerco di fornirgli qualche informazione utile a placare la sua curiosità.

«No, non mi ha autorizzato nessuno, ma ne avevo bisogno. E poi non sono nemmeno l'unica a farlo» affermo velocemente, così velocemente da non rendermi neanche conto di avere appena fatto la spia. «Molto bene signorina Anderson. Mi dica allora, chi è che ha l'abitudine di salire sul tetto?» mi chiede mentre, dopo aver scritto qualcosa sull'agenda tra le sue mani, riprende a fissarmi in attesa di qualche nome. Per quanto lei sia bello, non le dirò chi frequenta il piano di sopra, penso.

Tu ed io... La nostra salvezzaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora