Capitolo 12

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Quella strana giornata fu solo la punta dell'iceberg. Dalla mattina seguente, in realtà anche prima, cominciai a ricevere messaggi e chiamate da familiari, amici e persino conoscenti che non si facevano sentire così spesso. Era successa più o meno la stessa cosa quando con Teddy avevamo deciso di rendere pubblica la nostra relazione.

Anche quella volta non erano mancati i giudizi negativi nei miei confronti, perché Cass aveva rilasciato varie interviste in cui dichiarava che ero stata io a far lasciare lei e Teddy. Però era bastata una smentita da parte del mio ragazzo e le acque si erano calmate.

Stavolta la situazione sembrava più complessa. C'era di mezzo un bambino e io passavo come una rovinafamiglie. Sembravano aver dimenticato il fatto che Teddy non stesse più insieme ad Avril da tempo e gli articoli e i commenti sul web facevano continuamente riferimento a come io mi fossi intromessa tra di loro. Insomma, era un odioso déjà-vu, ma dieci volte peggio.

Quando poi, dopo il loro incontro, fu pubblicata una foto di Ed che sorrideva a Noah, la somiglianza tra i due convinse tutti che non fosse necessario aspettare un test di paternità. Anche Ed passò sotto processo, giudicato egoista perché non si decideva a riconoscere Noah come suo figlio, temporeggiando in attesa di fare il test.

Sapevo quanto ci stesse male Ed in quel momento, perché la sua vita privata e quella di un bambino piccolo come Noah erano sulla bocca di tutti, che sparassero malignità o meno.

Al Cupid's Daydream cominciarono ad arrivare mail e chiamate di clienti che annullavano i loro appuntamenti con me e mi fu ben presto chiaro che la perdita di lavoro dipendeva dalle notizie false e gonfiate che i media stavano diffondendo.

Bree e Sam provarono a tirarmi su durante quella settimana infernale, chiedendomi di aiutarle con i loro clienti, ma arrivammo al punto in cui dovetti rimanermene a casa. Se qualcuno mi vedeva in ufficio, infatti, prendeva e usciva senza dare spiegazioni, che in realtà erano superflue perché tutti conoscevamo il motivo per cui non avrebbero scelto il Cupid's Daydream. Come si può pensare di affidare l'organizzazione delle proprio nozze a un'agenzia che ha come dipendente una persona considerata rovinafamiglie?

Così mi ritrovai a casa, più irritata che depressa, a rileggere romanzi e navigare su internet alla ricerca di idee per le mie nozze con Teddy e per quelle di Bree con Murtagh.

Twix e Ched mi facevano compagnia con le loro immancabili fusa. I miei genitori, Bree, Sam e Ian venivano ogni tanto a farmi visita. Caleb passava spesso, avendo stretto amicizia con Sophie. Lo vedevo più sereno e ciò mi rendeva felice.

Quando uscivo di casa mi capitava di incontrare Justin in ascensore, che, a giudicare dall'orario, marinava la scuola.

Avevamo molto in comune, eravamo entrambi vittime di bullismo, anche se in maniera diversa.

Forse fu per questo che, verso la fine di quell'orrenda settimana che sembrava interminabile, mentre stavamo risalendo con l'ascensore, io di ritorno dal supermercato dove avevo comprato alcuni generi di conforto e Justin da chissà dove, l'adolescente mi rivolse la parola di sua spontanea volontà, per la prima volta.

«Come te la passi?» mi chiese, le mani affondate nelle tasche dei jeans, la sua postura preferita. Il cappuccio della felpa era calato sulla testa.

Mi strinsi nelle spalle. «Abbastanza bene.»

Lui fece un verso indistinto, a metà tra una risposta affermativa e un grugnito, poi, dopo un paio di secondi di silenzio, aggiunse: «La gente fa schifo.»

«Non proprio tutta, dai» ribattei, cercando il suo sguardo, che però continuava a rimanere inchiodato a terra. Mi ricordava troppo Teddy quando ci eravamo conosciuti e, spinta dalla volontà di aiutarlo, lo invitai: «Ho comprato un po' di cioccolato e patatine. Di solito li condivido con Ed, ma oggi sono sola. Ti va di unirti a me?»

Perfect in white || Ed SheeranDove le storie prendono vita. Scoprilo ora