7°One Shot: He and no other (Parte I)

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[15 gennaio 1996]

"Caro Michael,
sono (t/n): ti ricordi di me? Poco probabilmente, rileggendo, più e più volte, il mio nome, ti verranno in mente "qualche dei mille" momenti passati assieme, oppure, come so già che succederà, si creerà, nella tua mente, un vuoto.
Non provare a chiederti neanche il motivo per cui ti ho scritto, perché, se devo essere franca, neanche io ne sono a conoscenza, purtroppo, ma una cosa che so per certo, meglio che, a breve, lascerò questa terra, piena di dolori e sofferenze, è che mi manchi, ogni anno, ogni mese, ogni settimana, ogni giorno, ogni ora, ogni minuto e ogni secondo di più: qui, in questo freddo e buio appartamento, ogni minimo oggetto mi ricorda di te, di me... di noi.
Quel "noi" che fa parte del passato, quei bei tempi: una specie di "belle époque"che, come è successo nella storia umana, è finita con la guerra: è successo anche alla nostra, di storia.
Eravamo indistruttibili, "l'esempio di amore puro" come hai affermato tu una volta, ma si sa che nulla è indistruttibile e duraturo: per esempio, un giocattolo che, all'inizio, lo tratti come qualcosa dal valore inestimabile, nessuno può e deve azzardarsi a distruggerlo, ma, quando il tempo passa, il giocattolo diventa vecchio e noioso e così, man mano, lo lasciamo da parte e poco ce ne importa se viene distrutto, pensiamo: "tanto ne troverò un altro". E poi, a lungo andare, succede che di quell'oggettino, a cui avevamo raccontato tanto di noi e trasmesso tanti sentimenti positivi, ma anche negativi, non ne rimane più un pezzo e, in questo modo, dobbiamo rassegnarci che, di tutta la magia che aveva portato nella nostra vita, non ne rimane più traccia, è tutto finito lì, e questo è quello che hai fatto tu, Michael, che, nonostante io avessi sempre cercato di lasciare un segno, un marchio, nella tua vita, hai trovato un'altra donna che, ora, ha preso il mio posto, lì accanto a te, mentre io, stupida e ancora innamorata persa di te, non l'ho mai fatto: ho sempre desiderato solo te, nessun'altro è riuscito ad accendere in me gli stessi sentimenti che mi facevi provare tu con un solo sguardo, e ti desidero ancora, sai?
Ora, mentre scrivo ciò, mi è ritornato in mente, anche se è abbastanza strano, il primo giorno che ci siamo conosciuti e mi viene da ridere... bizzarro e insolito quell'incontro, no?
Era il 22 marzo 1974 e, quel noioso giorno a scuola, mancava quell'insopportabile del professore di scienze e, dato che non erano disponibili altri docenti per sostituirlo, hanno smistato la classe e, guarda caso, sono capitata proprio nella tua, per mia sfortuna c'erano anche quelle due ragazze che si vantavano che, in sintesi, avevano un padre che equivaleva ad una miniera. La tua professoressa di lettere mi aveva detto di sedermi accanto ad un tipo che mi inquietava, mi guardava con le sopracciglia alzate, come se non avesse mai visto un soggetto femminile in vita sua, ma, come di mio solito, disobbedì e mi misi vicino a te, l'unico normale in quelle quattro mura di matti e che avevo trovato, all'istante, simpatico e accogliente. Tu, per almeno dieci minuti, non mi hai rivolto una parola: avevi la testa chianata sul quaderno a scrivere quelle cose incomprensibili che si trovavano sulla lavagna, ma provai a farti aprire bocca con tutto ciò che era in mio potere e, dopo averti "quasi" strappato i capelli, mi hai dato corda. Hai smesso di seguire la lezione e, sussurrando, abbiamo parlato di tutte le stupidaggini che si raccontano tra adolescenti e che ora non ricordo, ma era la prima volta che a scuola mi divertivo. E, dopo un quarto d'ora, siamo stati beccati da quella strega e, dopo averci fatto una ramanzina più noiosa della sua lezione, ci ha mandati fuori dall'aula e abbiamo ripreso la conversazione da dove l'avevamo lasciato in sospeso. Se devo essere sincera, all'inizio avevo pensato di troncare, sul nascere, quell'amicizia: io, il giorno seguente, non ti ho salutato nemmeno e tu sei venuto da me a chiedermi perché non l'ho fatto, per di più, con faccia offesa, e poi, da quel momento, ho pensato che farmi qualche compagno non mi nuoceva alla salute e, pian piano, sei diventato il mio migliore amico...
Poi sono passati gli anni, siamo diventati adulti e indipendenti dai nostri genitori e, in me, sono nati dei sentimenti nuovi: ho iniziato ad amarti, dapprima pensavo che si trattasse di una cotta che sarebbe poi svanita, ma, passati più di 6 mesi, ho dedotto che tu sei stato il primo a farmi perdere la testa. Ho capito di amarti quando, nell'ormai passato 1981, sono partita in Germania per trovare un po' di fortuna e, durante quell'anno, mi sentivo vuota e privata da quella poca felicità che solo tu mi sapevi trasmettere. Ma tutto è cambiato, in positivo, in quella calda mattina di primavera, 27 aprile 1981: erano quasi le 8 a.m. e dovevo alzarmi, anche se controvoglia; mi rotolai nel letto, finché non mi ritrovai sul pavimento col sedere dolorante, a ripetere non so quante volte: "ahia!". Qualcuno bussò alla porta della mia stanza del motel e, quel "qualcuno", eri tu. Ero paralizzata a causa della tua improvvisa comparsa: mi sorridevi a 32 denti e avevi le bracce spalancate; esitai qualche minuto e poi mi piombai sul tuo petto, iniziando a piangere come non avevo mai fatto prima."Odio casa, odio tutto, se non ci sei tu al mio fianco" mi hai sussurrato all'orecchio mentre, con il pollice, eri intento ad asciugarmi le lacrime. In quel momento, avrei voluto dirti tante, troppe cose: parlarti di quanto mi sei mancato, raccontarti tutte le mie esperienze fatte in Europa e poi, se ci sarei riuscita, accennarti quello che provavo, ma sapevo già che i miei tentativi sarebbero risultati vani...
Mi alzai in punta di piedi, per lasciarti un semplice affettuoso bacio fraterno sulla guancia, quando ti sei girato all'improvviso e le nostre labbra si sono scontrate le une con le altre, hai circondato con le braccia calde le mie spalle coperte dal leggero tessuto della T-shirt e mi stringevi forte forte, tanto da mischiare i nostri battiti cardiaci...
(Perdona se ho fatto o farò confusione, ma vedi, anche se non sei con me per vedere, sono"indisposta" mentalmente e il mio cervello va a puttane, ma ti prego di apprezzare l'impegno).
Ci siamo messi insieme due settimane dopo perché, forse, pensavi che quel bacio, per me, non costasse nulla, invece contava tanto... eccome se non lo faceva: quello era il bacio che aspettavo di ricevere dall'età di 5 anni, quando mia madre mi raccontava la storia di "Cenerentola" o altre della Disney. Almeno da quello che la mia mente mi dà la possibilità di ricordare, era metà maggio ed eri rimasto con me in Germania. Era il tramonto e, come sai che ho sempre adorato fare, mi sono seduta su una sedia fuori, nel balcone, e mi fumavo un sigaretta, tenevo gli occhi chiusi sia per gustarmi quel momento, che attendevo ogni giorno, come faccio tutt'ora, sia perché ero stanca morta.
《Ti vedo pensierosa questa sera... è successo qualcosa?》hai preso posto accanto a me e ti sei messo ad osservare il crepuscolo anche te.
《Il lavoro mi porta via troppo: il sonno, la socialità, la libertà e il poco tempo libero che prima avevo a disposizione》poco dopo neanche una parola riuscimmo a dirci, era calato un misterioso silenzio che, devo ammettere, mi piaceva.
Dopo circa tre quarti d'ora, la luna incombeva sulle nostre teste, buttai la seconda cicca e mi alzai, con l'intento di andarmi a fare una doccia calda e rilassante, ma mi fermasti per il polso.
《(T/n), ti ricordi quello che è successo una decina di giorni fa?》
《Il bacio?》
《Si... conta qualcosa per te?》
《Più di quello che dovrebbe》
E poi, insomma, le classiche romanticherie: tu che mi baci mentre mi accarezzi dolcemente i fianchi, mi prometti che mi amerai per sempre e, infine, mi chiedi di diventare la tua fidanzata; in un primo momento, pensavo che stessi scherzando, ma, dato il tuo sguardo serio, percepii che stavi dicendo per davvero e, allora, ho accettato, ho risposto:《se me lo chiederai tutti i giorni della mia vita, ti risponderò di sì》.
Passarono i mesi e arrivò il nostro, chiamiamolo così, anniversario, e quella stessa notte, che eravamo insieme a Parigi, abbiamo fatto l'amore, o più comunemente chiamato "sesso": quella era la mia prima volta ed ero timorosa perché, appunto, "non ero esperta" in quel campo, sotto il punto di vista pratico, e poi avevo sentito parlare che si deve stare attenti dato che si possono contrarre malattie, come l'AIDS, ma, grazie a te, tutte le mie paranoie sono svanite nel nulla e mi sono goduta il momento al meglio: ogni bacio, che fosse stato sulle labbra, sul lobo dell'orecchio, sulle clavivole, sul petto o sul ventre, mi sentivo in un estasi che non provo neanche se mi inietto 90 mg di eroina; mi hai sussurrato, quando hai lasciato che mi posassi con la testa sul tuo petto sudato,《sei la mia "lei e nessun'altra"》strinsi il tuo petto al mio, che, al suo interno conservava un cuore palpitante e felice di aver raggiunto quell'intimità con te, Michael, quella felicità che è solo un vecchio e smarrito ricordo, che, al solo pensiero, il cuore mi si potrebbe fermare, proprio ora.
Adesso, vorrei riprendere l'esempio fatto in precedenza, quello del giocattolo, e della parte del "lasciare andare e fregarsene poco": il tempo è volato, troppo velocemente a mio avviso, io e te siamo andati a vivere a Neverland, quel posto magico dove non ero più un'adulta indaffarata e stressata, ma una bambina, e, raramente, però, avvenivano quei litigi stupidi e insignificanti che, come succedevano, subito dopo poco ritornavamo a sorriderci.
Una sera, se non faccio errore, era il 25 agosto del 1991, ero uscita con la mia combriccola di amici, ma tu non lo sapevi, perché hai sempre cercato di mandarli via da me, conoscendo da che tipo di soggetti era composta, e ti ho detto che uscivo con Jacob, il mio, oramai, ex migliore amico. Si era fatto molto tardi, quasi le 2 a.m., ed eravamo noi sei seduti per terra, su delle scatole, in un vicolo privo di luce, io ero ubriaca, ma riuscivo a ragionare un minimo di più rispetto agli altri, tutti schifosamente sbronzi. Presi la mia solita sigaretta, tenuta nella tasca del giubbotto di pelle, per fumarla, ma Jim, quello che hai sempre odiato più di tutti, ha preso la cicca e l'ha buttata via e l'ho guardato male, dato che era l'unica che mi ero portata dietro.
《Che fai?》
《Guardatela: non vuole disobbedire al proprio fidanzatino, hai paura di lui?》
《Io non ho paura di nessuno》
《Allora fuma questa》disse porgendomi una canna, e sapendo come sono fatta, l'ho presa e l'ho iniziata a fumare, non per raggiungere l'estasi, ma odio quando mi si dà della persona debole; arrivai a un totale di 4 canne...
Dopo neanche un minuto, passò di lì Jacob che, sentendomi urlare e ridere come una matta in crisi, si è avvicinato e mi ha chiamato a sé (tutto quello che scriverò è in base a quello che mi avete raccontato tu e Jacob, il mattino seguente)
《Dimmi tesoro》
《Che stai facendo?》
《Me la sto spassando, vieni anche tu!》
《Io chiamo Michael...》compose il tuo numero e ti chiamò, non so cosa vi siete detti, ma dopo è venuta la tua macchina a prendermi. Mi tremavano le gambe a causa della paura, paura che mi vedessi in quello stato, e ho iniziato a piangere disperatamente sulla spalla di Jacob.
Ti vidi scendere dall'auto tutto alterato e stanco, provai a parlare, ma mi hai zittito iniziando a gridarmi contro:
《Ma sei ammattita? Io non ti riconosco più! Mi hai mentito e per cosa? Per andarti a drogare... gran bella persona, davvero, complimenti!》
《Tu mi avresti impedito di uscire》
《E avrei fatto bene... Se ti potessi guardare, ti diresti che sembri un cadavere e...》Jacob ti ha zittito perché era inutile continuare a dialogare con una che aveva il cervello staccato dal resto del corpo. Siamo entrati in macchina e siamo giunti a Neverland, mi hai accompagnato in camera da letto e poi non mi hai rivolto più la parola: mi hai lanciato sguardi disgustati e trattato come se ti avessi ucciso...
Quell'episodio fu la ,cosiddetta, "goccia che fece traboccare il vaso": non l'ho scritto in precedenza, ma, in quel periodo mi avevi completamente scartata dalla tua vita, solo perché stavi lavorando sul tuo nuovo disco, "Dangerous", e quello fu il motivo che mi spinse a dirti quella bugia, quella fottuta bugia che sta uccidendo me...
Passaroni alcuni giorni da quella notte, ma la situazione rimaneva immutabile, hai deciso di lasciarmi: mi hai lasciata da sola e per sempre, mi hai detto:
《Non ce la faccio più a vivere così, (t/n), sono stanco di tutta questa situazione, siamo arrivati al capolinea: bisogna smetterla di credere che la situazione possa migliorare, mentre l'unica cosa che può fare è peggiorare ancor di più...》
《Stai intendendo che non mi ami più?》
《No, ma i...》
《Se mi ami, non dovresti arrenderti tanto facilmente, non credi, Michael? 》
《Io non so risponderti, so solo che ho tanto lavoro per la testa》
《Hai solo quello, in quel cranio vuoto: ultimamente, ti sei mai chiesto se sto bene? O ti sei limitato a vedere che ho fumato droga?》
《Sono stanco, okay? Lavoro tutto il giorno come un forsennato, mentre tu che fai? Ti lamenti di questo e di quello》
《Bene, se per te sono una bambina lagnosa, vuol dire che ancora, dopo 17 anni, non mi conosci per davvero: sai una cosa? Me ne vado, tanto là fuori, non appena me ne sarò andata via, ci sarà un'altra donna, che, però, non riuscirà mai ad eguagliare il mio livello》e poi, come tutto è nato, è morto, il "noi" si è diviso in "me" e "te", come all'inizio eravamo.
Ti ho odiato, Michael, volevo soltanto che tu scomparissi dalla mia vita, dove continui ad essere una presenza costante, e, per "dimenticarti", mi sono buttata sull'alcol: non c'era sera in cui non fossi in una discoteca oppure in un pub a bere di tutto e di più, per poi tornare, stranamente intera, in questo appartamento, da cui ti sto scrivendo, e addormentarmi... era tutto inutile, però: eri sempre presente nei miei sogni, o incubi che è più appropriato, che mi ripetevi che non mi hai mai amato e varie altre cose che se dovessi decidere una parola con cui descrivere i miei pensieri notturni... deciderei "inferno". Poi mi venne in mente di riprovarci, dare al "noi" un'altra chance, e avevo detto "basta!" alle bevande alcoliche, ma, il 30 maggio 1994, mi arrivò la notizia che mi ha trascinato nel baratro: ti sei sposato.
Sono stata sotto shock per una settimana, con il cervello fermo a quel momento in cui mi è giunto all'orecchio la notizia e che mi hanno mostrato una vostra foto: sei riuscito a dimenticarmi di già? Ma che domande... avevi e hai tutt'ora la donna che meritavi da una vita: bella, famosa, ricca, dolce, d'accordo sempre con te ed è tutto ciò che desideri in una compagna ideale, io sono stata solo un oggetto, vero? Ma, non so neanche il perché, c'è qualcosa che mi fa credere che, in fondo in fondo, tu non mi hai dimenticato del tutto: certo, non fai come me, la mattina che, quando mi sveglio, cerco il tuo corpo con la mano e, quando realizzo che è ormai del tutto inutile, scoppio a piangere, senza tregua, per un bel po', finché il corpo non esaurisce tutte le lacrime; non guardi un oggetto che, molto probabilmente, ha avuto a che fare con la nostra vita insieme e nella mente si ripercuotono, senza sosta, una miriade di flashback; non ti stendi sul morbido letto, ti metti le mani dietro la nuca e ti metti a riflettere che fine io abbia mai fatto, se sono viva, morta, ho la febbre, ho ricevuto una grazia... niente di niente: dal '90 al '91, mi sono dovuta rimboccare le maniche e fare il mio lavoro per 2. Ritorniamo a ciò che stavo dicendo: i giornali, la televisione e, in particolar modo, la gente parlava della nuova moglie di Michael Jackson e, tutti, avevano messo da parte colei che, invece che conoscerlo da 4 mesi, gli era stata accanto dal periodo più delicato della vita di ogni essere umano e che lo ha accompagnato durante il suo debutto. Ero caduta, per la terza volta, in depressione e, dato che il gusto e l'effetto dell'alcol oramai, per me, equivalelva ad una quotidianità e non ottenevo quello che cercavo, decisi di aprire la porta ad uno dei miei più grandi timori: la droga, già lei...
All'inizio fumavo piccole quantità di marijuana al giorno, mi chiudevo in una camera e ne fumavo cinque, alla sesta il mio corpo iniziava a dare brutti segnali e, di conseguenza, dovevo fermarmi. Poi, grazie a quel poco di buono di Jim, sono riuscita ad arrivare al "nemico dell'uomo": l'eroina, quella schifezza che non riuscirò mai a togliermi di dosso e per cui morirò...
Mi faccio schifo da sola, mi odio perché mi sono lasciata tentare, sedurre, dal diavolo ed è riuscito a mettermi in trappola: sono in un vicolo cieco, un labirinto privo di uscita; sono stata, e sono tutt'ora, una codarda che non ha saputo affrontare le difficoltà della vita: "Se ti droghi ti capisco, perché il mondo ti fa schifo; se non lo fai ti ammiro, perché sei in grado di combatterlo" dice una citazione di, pace alla sua grande anima , Jim Morrison e quella era l'idea che avevo di seguire, ma non ci sono riuscita: ho lasciato che l'amore entrasse in me, mettesse le radici e che poi venisse sdradicato dall'oggi al domani, mi sono lasciata schiavizzare da un sentimento tanto bello, ma tanto doloroso, come una rosa che se l'amiamo davvero, dobbiamo accettare le spine con i petali...
Michael, questa lettera spero che, in qualche modo, ti arrivi e ti ringrazio in anticipo per averla letta, non importa fino a che punto -sia l'inizio, sia il mezzo, sia tutta-, ti ringrazio perché mi hai reso tanto e poco allo stesso momento, mi hai fatto sentire una regina, ma anche fatto cadere dal trono.
Ti sarò riconoscente per sempre, per ogni cosa che mi hai dato o di cui mi hai privato. Anche se ora sei sposato, sei l'amore della mia vita, che, pian piano, come bruciano quelle sigarette, brucia via anch'essa.
Ti amo,
Per sempre e solo tua"

Guardai ciò che avevo scritto su quel misero foglio di quaderno e poi lo ripiegai su sé stesso un paio di volte.

Avevo la testa che mi girava come le trottole con cui giocavo con mio fratello da bambina, che fine aveva fatto? Avevo perso le sue traccie, ed era meglio, almeno per lui e la mia famiglia: chi mi avrebbe mai voluto vedere in quelle condizioni? Bianca come un lenzuolo, debole come un bambino in fasce e matta come non saprei.

Lasciai la "lettera" sul letto, freddo e disordinato, la penna la gettai sul pavimento ed andai a prepararmi una canna.

"Io non ti riconosco più!" La voce di lui continuava, imperterrita, a farsi sentire, senza curarsi del fatto che, più la sentivo, più volevo morire.

Finito il tutto, l'accesi con il primo accendino che trovai ed iniziai ad aspirarne il fumo: era come bere dell'acqua, non provavo, all'inizio, lo stesso senso di rigurgito.

La pace sarebbe ritornata ad invadermi il corpo e speravo anche per sempre.






To be continued...

E Se Un Giorno Incontrassi Michael Jackson? || OSDove le storie prendono vita. Scoprilo ora