3° One Shot: A Smooth Criminal

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[ 7 aprile 1988; 11.37 p.m.]

Il freddo di fine inverno si faceva sentire per le strade semi-deserte, se non fosse per le poche macchine che giravano oppure per i senzatetto, e l'aria pungente penetrava anche attraverso i cappotti più pesanti.

Ero seduta ad una delle numerose panchine di una stazione ferroviaria ad aspettare la mia migliore amica, (n/t/m/a), come al solito ed in eterno ritardo, per andare a bere qualcosa ad una tavola calda del '40 che aveva sempre adorato, sia per le pietanze eccezionali e sia per l'ottimo servizio che vi si offriva: avevo fatto amicizia con tutti i dipendenti, soprattutto con una ragazza che aveva un paio di anni in più di me.

Mi guardai in giro e, come ogni volta, la stazione, a quell'ora, era quasi priva di gente, se non fosse per la presenza di un piccolo gruppo di impiegati che aspettava l'ultimo treno per ritornare a casa dalle proprie famiglie, che li attendevano con tanto amore; qualche senzatetto che dormiva sulle panchine e provava, miseratamente, a riscaldarsi con dei fogli di giornale, e per un uomo, con la spalla poggiata ad una colonna, vestito con un completo di un bianco opaco molto alla moda, una camicia azzurra con una cravatta bianca lucida, un Fedora del medesimo colore e delle scarpe eleganti bianche e neri: probabilmente doveva essere appena arrivato, dato che ogni giorno ero in quella stazione e non l'avevo mai visto, ma, in ogni caso, aveva l'aria che vivesse una vita solitaria, quando non vuoi nessuno perché nessuno vuole te, come un capo alfa, e che studiasse le persone che lo circondavano.

Infatti, lo beccai a spiarmi di sottecchi mentre aveva la mano destra infilata nella tasca della giacca, alzai un sopracciglio, come per dirgli che cosa volesse da me, e ricevetti un sorriso in risposta: un bellissimo sorriso.

Si guardò intorno con circospezione, come se volesse far ciò che aveva intenzione di fare di nascosto, si abbassò il cappello sugli occhi e si avvicinò a me camminando senza emettere alcun rumore con i piedi; prese posto accanto a me, accavallò le gambe e si mise a guardare la prima cosa che gli si presentò davanti.

-"Aspetti il tuo ragazzo?"- mi girai a guardarlo e lo trovai ad osservarmi ancora una volta, negai e mi nascosi le mani nel cappotto bianco che copriva il mio vestitino nero, che avrei voluto divenisse un caldo pigiama.

-"Allora, cosa ci fa una ragazza fragile come te fuori a quest'ora, invece che stare in casa propria e dormire tra le sue amorevoli copertine di tutti i toni del rosa?"- sorrisi nel sentirlo assumere un tono buffo della voce, mi misi una ciocca di capelli dietro l'orecchio e mi alzai dalla panchina.

-"Forse non sono poi così tanto fragile come pensi, quindi... provare per credere: che ne dici?"- lo provocai pensando che rifiutasse, ma, invece, si alzò e si mise di fianco a me e incrociò le braccia al petto.

-"Dici sul serio?"- gli feci segno di aspettare un minuto, composi il numero di (n/t/m/a) e l'avvertì di raggiungermi direttamente alla tavola calda.

Avvertita la mia migliore amica, gli presi tra le dita il nodo della cravatta e avvicinai il mio viso al suo e, solo allora, mi resi conto che possedeva due occhi stupendi e profondi, contornati da una leggera linea di eye-liner.

-"Ti dimostrerò che non sono l'angelo che credi che io sia: quando voglio, posso diventare anche un piccolo diavoletto..."- gli sussurrai a fior di labbra e potei sentire una mano mettersi su un mio fianco, deglutì e mi allontanai bruscamente da lui.

-"Ragazza: mi piaci!"- esclamò circondandomi le spalle con il braccio, lasciando penzolare la mano sopra il mio petto.

Gli dissi la meta che dovevo raggiungere e dove si trovasse, non molto lontano dalla nostra posizione, e iniziammo a camminare, venendo inghiottiti nel silenzio che incombeva tra le strade.

E Se Un Giorno Incontrassi Michael Jackson? || OSDove le storie prendono vita. Scoprilo ora