6° One Shot: Stranger in the World

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[Mosca, 1993]

Era la solita giornata fredda per le strade della capitale della Russia, le vie erano affollate da gente in auto, in tram o che camminava a piedi, sotto l'ombrello, attenta a non metter piede in una pozzanghera.

E, quella, era anche la solita giornata triste per Michael, tutto solo nella sua camera d'albergo, seduto sul letto ben sistemato, e con la gente che, nonostante le pessime condizioni climatiche, era lì, per lui, a cantare a squarciagola, finché non le fosse rimasto neanche un fil di voce.
E nonostante tutte quelle persone erano lì per lui e gli davano tanto amore, Michael non riusciva a percepire quel sentimento, e questo accadeva già da un bel po' di tempo.

"Sono solo" pensò asciugandosi l'ennesima lacrima che abbandonava i suoi occhi scuri, con l'eye-liner sfaldato, e che raggiungeva,senza fermarsi, il suo mento.

"Perché nessuno mi comprende? Sono così complicato? Perché sono così vuoto dentro, mentre, all'infuori di quella finestra, c'è tanto amore?" erano quelle le domande che tanto lo tormentavano e a cui non riusciva a trovare una risposta; prese l'elastico dei capelli e raccolse i suoi ricci neri e ribelli in un piccolo chignon, tranne le ciocche più corte che gli ricadero sul viso, marcando ancor di più i suoi zigomi sporgenti.

Si strinse in un angolino del letto e iniziò a tremare."Mettiti sotto le coperte" gli avrebbe consigliato l'amorevole e preoccupata voce della madre, sempre più lontana e di cui sentiva una grande ed incolmabile mancanza, ma lui avrebbe rifiutato, spiegandole che il freddo che provava non proveniva dall'esterno: quel freddo gelido proveniva dal suo cuore.

Nessuno se ne rendeva conto, nessuno ci prestava attenzione: tanto se lui sorrideva era felice... beh, quello lo comprendeva la gente che si limitava a dare uno "sguardo", non notando che la maggior parte dei sorrisi era falsa, destinata a mascherare dolori e ferite da cui non si sarebbe guariti  facilmente; per Michael era orribile sorridere senza esser davvero felice, era un profondo senso di confusione e smarrimento.

Ma, all'improvviso, qualcosa, "una benedizione" la definì lui, gli arrivò dall'ignoto: si trattava di un motivetto che gli entrò in testa e non volle saperne di uscire dal suo cervello... lenta, ma meccanica: doveva essere un dono da Dio, a cui aveva chiesto, in preghiera, di ricevere un po' di pace, e che aveva accettato di dargli un'opportunità nel riaccendere il genio di Michael Jackson.

Si aggiustò il trucco e decise di "mettere in pausa", per un breve lasso di tempo, le lacrime, così avrebbe potuto pensare e vedere lucidamente. Tirò su con il naso, tanto criticato e mal visto dalla stampa scandalistica, si alzò le maniche della camicia verde pastello, l'unica che ancora non si era affrettato ad eliminare dal proprio look quotidiano, e pensò: "devo esprimermi, devo far capire alla gente il male che mi sta causando".

Riprese tra le mani penna e blocchetto, dove soleva scrivere le versioni "grezze" delle canzoni che gli venivano in mente, stringendo la prima di più e ricacciando le lacrime, come se fosse un pulsante con su scritto "premi e non piangi", e la prima strofa gli venne spontanea, naturale, ed essa descriveva a pieno la propria situazione:

"I was wondering in the rain
Mask of life, feelin' insane
Swift and sudden fall from grace
Sunny days seem far away
Kremilin's shadow belittlin me
Stalin's tomb won't let me be
On and on and on it came...
Wish the rain would just let me be"

Una lacrima cadde e bagnò il prezzo di carta sottile, lasciando un alone umido accanto al suo pollice, sfiorò la "pozza" e un'altra lacrima cadde ancora, richiamandone una terza... una quarta... una quinta... finché non ricominciò a piangere.

E Se Un Giorno Incontrassi Michael Jackson? || OSDove le storie prendono vita. Scoprilo ora