Angela Langrell

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L'espressione del direttore dell'ospedale al-Wafa l'avrebbe fatta ridere di gusto se la situazione e l'argomento di discussione non fossero stati tanto seri.

«Mi scusi, miss Langrell, ma temo di non aver compreso ciò che ha detto...»

«Ha capito perfettamente, invece. - rispose Angela Langrell, i cui occhi color nocciola confermavano la risolutezza del tono della voce - Noi ci offriamo volontari come scudi umani.»

«Ma Angie, questa è follia. Così non otterremo altro che farci ammazzare. Non è questo il modo di dare una mano ai feriti.» protestò Peter Harris, sbarrando gli occhi scandalizzato.

Angela sbuffò. C'erano alcune categorie di persone che non riusciva a sopportare. Gli stupidi, per esempio, ma anche i codardi.

E quelli che la chiamavano Angie.

«Allora tu avrai sicuramente una proposta migliore, giusto? Ah, semmai l'avessi dimenticato, la telefonata dell'esercito israeliano ci consigliava di sgomberare entro dieci minuti. Ne hai ancora poco più di sette per illustrarci un'alternativa sensata.» gli disse come se stesse parlando con lo studente più tonto mai avuto.

«Beh, io... proviamo a evacuare i pazienti. Se agiamo subito potremmo farcela... direttore? Anche lei non è d'accordo con la soluzione degli scudi umani, mi sembra.»

Chiamatro in causa dall'attivita americano, l'uomo serrò le labbra sotto i folti baffi neri. Sollevò lo sguardo sul medico accanto a lui, un vichingo di MSF che aveva già operato in altri ospedali, il quale strinse le palpebre, ma non disse nulla.

Il direttore si massaggiò il mento, pensieroso. Sembrava stesse cercando di decidere quale delle due tesi appoggiare, valutando pro e contro di entrambe. Poi scrollò le spalle, come per arrendersi all'opinione che era scaturita da quel combattuto dibattito interiore.

«Per i feriti, soprattutto per coloro che si trovano in terapia intensiva, un trasferimento equivarrebbe a una condanna a morte. Sotto le bombe o meno, perirebbero comunque, quindi saranno lasciati dove sono. Io, come buona parte del personale, non mi muoverò da qui. Mister Harris, devo purtroppo convenire con miss Langrell. Con voi al nostro fianco, abbiamo almeno una possibilità che gli israeliani annullino l'attacco.»

Peter era diventato bianco sotto l'abbronzatura, perdendo quell'aria spavalda da americano tutto d'un pezzo.

Tentò un ultimo, disperato affondo «Cosa volete che importi all'aviazione israeliana se noi siamo qui? Chi siamo per avere tutto questo potere?»

Sebbene in pensione da qualche tempo, Angela aveva insegnato letteratura per oltre trent'anni. Era abituata alle domande sciocche di qualche studente distratto, ma Harris li stava battendo tutti.

"Noi abbiamo un potere straordinario: i nostri passaporti! L'IDF ci penserà due volte, prima di attaccare l'edificio, sapendo che siamo dentro anche noi. E faremo in modo che ne vengano a conoscenza.»

Un silenzio pesante e carico di incertezza calò sui presenti.

Angela non si sarebbe arresa, a costo di restare solo lei in aiuto dei pazienti. Non era giunta dalla Nuova Zelanda per fare dietrofront; era un'idealista, e, soprattutto su certi aspetti, non era disposta a scendere a compromessi.

Quando, da ragazza, le sue amiche si riempivano la bocca con belle frasi legate alle loro intenzioni di cambiare il mondo, lei non aveva fatto proclami. Si era dedicata a quella che riteneva l'unica via ragionevole per rendere il nostro pianeta un posto migliore: l’insegnamento.

Solo formando giovani consapevoli del proprio ruolo nella società, attraverso la condivisione di principi di rispetto e tolleranza, le cose sarebbero veramente cambiate.

Non serviva a nulla scendere in piazza a protestare. Bisognava fare qualcosa di costruttivo, di concreto.

Le sarebbe piaciuto restare a Gaza per riprendere il ruolo di docente, perché riteneva che la via per la pace passasse dalla crescita di una nuova generazione sotto valori differenti.

Ma questa nuova generazione, da un lato e dall'altro del muro, per poter dialogare non doveva aver vissuto in prima persona i bombardamenti, le esplosioni, il terrore.

Lei era lì per quello. Per dare una possibilità, nel suo piccolo, agli uomini del futuro di affrancarsi dall'odio.

Una voce bassa ma sicura ruppe il silenzio «Io sto con miss Langrell. Se non siamo disposti a fare ciò che va fatto, allora siamo nel posto sbagliato.»

Angela rivolse col capo un cenno cortese all'uomo che aveva parlato, il quale rispose allo stesso modo, come a sottolineare che fosse lei che andava ringraziata.

Non aveva mai parlato col francese che era intervenuto in suo aiuto. Sapeva solo che teneva un blog in cui pubblicava tutti i giorni una sorta di resoconto sulla vita dei profughi.

Il suo fisico - era piccolo di statura e di corporatura gracile - contrastava con la determinazione di cui stava dando prova.

Glielo avevano presentato poco prima. Si chiamava Miles. Miles Voisin.

Rinfrancata dall'appoggio dell'uomo, guardando negli occhi uno a uno gli altri sette attivisti presenti, tutti provenienti dall'Europa o dal continente americano, riprese «Ci sono dodici pazienti in terapia intensiva che non possono essere trasportati. Donne come Zarya, che non è in grado di muoversi né parlare, ma i cui occhi spaventati, quando sente i bombardamenti, urlano di terrore. O bimbi come Khaled, in coma da due settimane, che iniziano a mostrare lievi segni di miglioramento; sua mamma resterà dal capezzale del figlio, e io non ho intenzione di lasciarla sola. Quindi, voi potete prendere la vostra decisione. Io l'ho già fatto.»

Quel giorno, otto tra uomini e donne, sfidando la morte insieme a medici e infermieri, restarono all'al-Wafa hospital, consapevoli del rischio che correvano.

Quel giorno, in una guerra di cui non si intravedeva la fine, Angela Langrell vinse la sua battaglia.

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