Robert M. Napier

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Una volta di più, si chiese perché avesse scelto di fare quel lavoro.

Avrebbe potuto far fruttare in modo molto diverso la laurea in giornalismo presa alla Columbia University. Una mansione direttiva in qualche giornale di fama mondiale - perché no, anche il NY Times o il Washington Post - sarebbe stata alla sua portata se solo si fosse dimostrato più attento alle pubbliche relazioni. Gli sarebbe bastato ficcanasare un po' meno in affari che non lo riguardavano, magari aggiustare qualche articolo, seguendo la corrente che, di volta in volta, soffiava a favore di questo o quel politico, o di questa o quella multinazionale.

Si vedeva a capo di un’importante redazione mentre impartiva ordini e sorseggiava caffè che una giovane e piacente segretaria aveva il compito di non fargli mai mancare.

Sarebbe stato un sogno così irrealizzabile per le sue capacità?

In teoria no, ma in pratica non esisteva nulla di più lontano da ciò che avrebbe voluto essere.

Non sarebbe mai riuscito a mostrarsi accondiscendente con persone che non apprezzava, esaltando la mediocrità di coloro che il cosiddetto "sistema" imponeva come futuri candidati al senato degli Stati Uniti o imprenditori di successo.

Si era fatto qualche nemico, qualcuno di potente e permaloso. Qualcuno che aveva pensato di troncargli la carriera, imponendogli di scegliere tra le dimissioni e un posto di inviato a Gaza.

Non era un novellino, in quanto a esperienza sul campo. Già in Kosovo e poi in Afghanistan aveva avuto modo di familiarizzare con il rumore delle esplosioni e le vittime collaterali della guerra "giusta e pulita".

Non era mai stato un ingenuo, ma col tempo la disillusione aveva preso il sopravvento. La guerra, per come la vedeva lui, era un esclusivo problema di interessi. Se a qualcuno - molto spesso non uno dei contendenti direttamente implicati nella lotta - apportava dei vantaggi, principalmente economici, allora si potevano trovare tutte le ragioni - ma sarebbe stato più corretto dire scuse - per combatterla.

Guardò fuori dalla finestra. Il buio era sceso velocemente, e la fragile tregua di settantadue ore concessa da Israele, di notte, pareva ancor più traballante.

Il MacBook, ancora chiuso, lo sfidava a provarci un’altra volta.

Sei in grado di scrivere un grande articolo, Bob? Uno di quelli che arrivino al cuore della gente, e che sputtanino tutto il marcio che si nasconde dietro la lotta di due popoli che cercano di annientarsi a vicenda, accecati dall'odio e incapaci di vedere ciò che li accomuna?

Quel dannato computer lo stava provocando. Ma in fondo, lui, cos'aveva visto? Aveva le prove di ciò che avrebbe asserito nel suo articolo? Nient’affatto.

Certo, aveva visto con i propri occhi la distruzione portata nel cuore di Gaza. Hamas accusava il governo israeliano di uccidere indiscriminatamente i civili. Israele accusava Hamas di farsi scudo della propria gente, sfruttando le morti di innocenti per aumentare il consenso presso i palestinesi e l'indignazione degli organismi internazionali.

Anche circa i presunti preavvisi prima degli attacchi c’era discordanza tra i due contendenti, e in rete circolavano video che avrebbero dovuto sostenere una o l'altra fazione. Veri? Falsi? Era vero, come dichiarato da Israele, che i palestinesi spacciavano come propri filmati riguardanti stragi di civili che provenivano invece dalla Siria? Era vero che i combattenti di Hamas si asserragliavano in strutture civili quali scuole od ospedali? Ma come era possibile che anche edifici utilizzati dall'UNRWA per dare rifugio agli sfollati venissero bombardati?

Non era più una guerra solo sul campo. Era un conflitto che si combatteva ferocemente anche sul piano mediatico, dell'informazione e della disinformazione.

In quanto giornalista, riteneva che il suo scopo fosse cercare la verità e diffonderla.

Ma qual era, la verità?

Aprì il portatile, avviandolo. Mentre il sistema operativo si caricava, pensò che forse la verità non esiste. O ne esistono infinite, almeno una per ogni essere umano. In fondo, aveva sempre creduto che la verità stesse, come la bellezza, negli occhi di chi la osserva.

Si agganciò al wifi dell'hotel, che miracolosamente, per una volta, sembrava stabile.

La testata giornalistica per cui lavorava non avrebbe mai pubblicato ciò che stava per scrivere, ma in fondo poco importava. Ormai aveva preso la sua decisione, e si sentiva in debito della sua verità nei confronti tanto dei palestinesi quanto degli israeliani.

Molti siti web di informazione alternativa avrebbero colto con interesse il suo pezzo. Lo avrebbe diffuso sotto lo pseudonimo Kodiak, che utilizzava quando voleva pubblicare in rete qualcosa di scomodo. Ma questa volta, se la risonanza mediatica non fosse stata adeguata, avrebbe poi ripubblicato l'articolo sui propri profili social.

Volevate mandarmi qui a crepare? E invece io vi fotto!

Ci avrebbe rimesso la faccia e quel poco di carriera che gli restava. Ma se ne sarebbe andato col botto.

Le dita iniziarono a volare sui tasti, dando forma al titolo.

La mia verità su Gaza

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