Eleazar Levin

2.7K 44 7
                                    

La telecamera montata sul drone rimandava al centro di controllo immagini e dati che per un profano sarebbero stati quasi incomprensibili.

Sebbene fosse alla prima missione operativa, per Eleazar Levin, invece, non nascondevano alcun segreto. D'altronde non poteva essere altrimenti, considerate le centinaia di ore di addestramento che aveva accumulato nella guida dei mezzi volanti senza pilota.

Corresse, con un movimento quasi impercettibile del polso, la traiettoria del velivolo, agendo sul joystick con quella sensibilità che gli aveva fatto guadagnare presso i suoi commilitoni il soprannome di "chirurgo".

Sorrise amaramente al pensiero che, da ragazzo, avesse desiderato proprio diventare un medico.

Ai tempi era stato un piccolo ingenuo sognatore, convinto di poter curare le persone, salvando delle vite e ricevendo da questo nobile gesto soddisfazione e realizzazione delle proprie aspirazioni.

Increspò le labbra in una smorfia di disgusto, considerando quanto il destino, a volte, riesce a essere crudele e beffardo.

Mentre sullo schermo scorrevano, monotone, le riprese inviate dal drone, la sua mente divagò, lasciandosi travolgere da un mare di penose e mai sopite memorie.

Riaffiorarono, con prepotenza, i ricordi di quando aveva creduto di poter vivere un'esistenza pacifica, prima che, quella maledetta sera di febbraio del 2005, il suo mondo venisse avvolto in una notte perenne.

A Tel Aviv, durante la Seconda Intifada, nonostante il rischio di saltare in aria solo perché si è deciso di prendere un autobus, o di passare una serata fuori casa, fosse concreto, la popolazione si sforzava di non cedere alla paura, continuando a frequentare con assiduità ristoranti e locali sparsi per l'area urbana. Eleazar si trovava, come altri coetanei, in giro per la città, quando era giunta la notizia dell'esplosione di una bomba in prossimità del lungomare. Seppur sconvolto per l'ennesimo attentato terroristico, non aveva compreso subito la portata di quanto realmente accaduto. Non pensò a nulla se non a infilarsi nel locale più vicino per evitare di restare coinvolto in eventuali altri attacchi.

Era stato uno stupido. Perché solo se sei uno stupido puoi stare seduto al bar mentre i soccorsi cercano di ritrovare i pezzi di tua sorella sparsi sulla strada.

Gli sembrò di avere ancora nelle orecchie le note profetiche di Left Outside Alone di Anastacia, e di sentire di nuovo l'interruzione del programma musicale che creava l'atmosfera R&B del pub. Il notiziario doveva dare gli ultimi aggiornamenti sull'episodio appena accaduto.

«La detonazione è avvenuta all'esterno dello Stage Club, - stava dicendo la speaker - dove molti giovani erano in attesa davanti all'ingresso del locale.»

Yael aveva appuntamento con Ofir e un nutrito gruppo di compagni appartenenti al miluin, il servizio di riserva, proprio in quel luogo, per un ritrovo annuale divenuto ormai una tradizione.

Poteva reagire in mille modi diversi a quella notizia, ma l'unica cosa che riuscì a fare era stato correre in bagno a vomitare.

Sei uno stupido, Eleazar.

Un breve cicalino lo informò che l'ultima fase di avvicinamento all'obiettivo era iniziata.

Avviò le manovre per portare il drone a una quota che gli consentisse di approcciarsi con la massima efficacia all'edificio da colpire.

Era venuto il momento di saldare il conto con i jihadisti. Il credito che vantava nei confronti dei terroristi non era solo la vita di sua sorella o dei tanti, troppi morti causati dal loro modo di combattere subdolo e vigliacco.

I nemici (poco importava che fossero siriani, palestinesi o libanesi) dovevano rispondere anche di coloro che, ancora in vita, erano stati menomati nell'animo, perché privati dell'affetto di una persona cara, un amico, un parente, un compagno. Persone come i suoi genitori, vivi nel corpo ma da tempo inariditi nello spirito, appassiti come fiori piantati nel deserto.

Paradossalmente, Eleazar stesso, colui che avrebbe punito i colpevoli di tanta barbarie, si considerava figlio degli assassini di sua sorella; una creatura forgiata nella disperazione e trasformata modo radicale dagli eventi. In realtà si trattava di qualcosa di più di una trasformazione, la sua. Era un'evoluzione, o peggio, una mutazione, da uomo che sognava di salvare vite di altri esseri umani a strumento di distruzione che ha il solo scopo di strapparle, quelle vite.

Il primo passaggio sull'ospedale di Al Wafa, che secondo l'intelligence veniva utilizzato da Hamas come base per il lancio di missili, lo utilizzò per rilasciare una piccola carica di avvertimento. Era il cosiddetto "roof knocking", il cui scopo era avvisare i presenti di evacuare immediatamente lo stabile.

Mantenne il drone in prossimità dell'obiettivo per tre minuti, quindi armò il missile di cui era equipaggiato; nell'istante in cui inquadrò il quarto piano dell'ospedale poggiò il pollice sul pulsante, pronto a rilasciare il razzo.

Aveva lungamente bramato quel momento. Si era immaginato la rabbia che lo avrebbe animato, e persino la frase che avrebbe detto.

Ma curiosamente, in quell'attimo, non provò nulla, se non la straniante sensazione di essere di fronte a un videogame.

Quando fu sicuro di colpire il bersaglio, fece ciò per cui si era incessantemente allenato negli ultimi nove anni della sua vita.

Premette il pulsante.

GazaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora