Yaniv alzò la mano. Il gesto stava a significare di fermarsi e attendere.
Il soldato Gavril Egorov restò alcuni di metri dietro al caporale, protetto da un grosso pilone di cemento parzialmente collassato a seguito dei bombardamenti.
La notte forniva loro un velo di protezione dalle rappresaglie palestinesi, ma al contempo rendeva più difficile muoversi tra le macerie del quartiere di Shejaiyah.
Gavril non aveva paura. Non più di altre volte, almeno. Ma la stanchezza cominciava a farsi sentire, e si era accorto di essere meno lucido e reattivo di quando avevano iniziato l’attività di infiltrazione in territorio nemico, qualche giorno prima.
La missione affidata al suo reparto consisteva nello scovare e distruggere i tunnel scavati da Hamas e utilizzati dai combattenti della jihad per introdursi in territorio israeliano. Per quanto fosse un militare preparato, inquadrato nella prestigiosa brigata Golani, si era presto reso conto che non esisteva addestramento in grado di insegnare a combattere in un centro abitato.
Due colpi, sparati in rapida successione, caddero poco più avanti rispetto alla sua posizione.
Chiamò il caporale, che però non rispose. Allora, sfidando i protettili che iniziarono a piovere appena si mosse, strisciò fino al nascondiglio del graduato.
L’uomo era riverso a terra, con gli occhi sbarrati. Un colpo gli aveva trapassato il collo, uccidendolo nel volgere di breve, affogato nel proprio sangue.
Gavril imprecò a denti stretti. Yaniv era tra i primi commilitoni che aveva conosciuto quando si era unito alle forze di difesa israeliane, uno di quelli che lo avevano aiutato a superare l’impatto con l’addestramento.
In effetti, non credeva che sarebbe stata così dura, quando aveva deciso di far valere l’Aliyah, che gli consentiva, in quanto ebreo, di immigrare in Israele dalla nativa San Pietroburgo.
Non avrebbe mai dimenticato il confronto col padre quando aveva comunicato ai genitori di voler rientrare in patria per arruolarsi.
«Perché?» gli aveva chiesto, semplicemente.
Gavril sapeva che i genitori erano poco propensi a lasciarlo partire per rischiare la vita in un guerra che, secondo loro, non gli apparteneva. Ma era proprio quello il problema: quel conflitto era anche suo. «Perché non esiste guerra più giusta. Il nonno, la zia Rivka, i miei cugini, vivono costantemente sotto le minacce dei razzi di Hamas, che ha utilizzato il cemento, che noi abbiamo consentito superasse i confini, invece che per costruire case, per fabbricare tunnel dai quali attaccano vigliaccamente le nostre colonie. La fortuna di vivere lontano dalla guerra non mi ha fatto dimenticare le mie origini e il debito che ho nei confronti di chi ha sacrificato tutto per garantire la libertà a me e a voi.»
Il padre e la madre, pur con ritrosia, lo avevano in qualche modo compreso, non opponendosi alla sua decisione.
Yaniv rappresentava ora uno dei componenti della nuova famiglia in cui era stato accolto e con la quale aveva condiviso le fatiche fisiche e mentali che gli avevano consentito di divenire un membro del Tsahal. Non aveva mai conosciuto un legame, che non fosse l’affetto per i parenti più stretti, così saldo come quello che si era venuto a creare con i compagni. Era un senso di fratellanza, plasmato nelle avversità dell’addestramento e battezzato nel fuoco degli scontri cui aveva partecipato pattugliando le frontiere al confine con la Siria.
Si sentiva pronto a morire per i commilitoni, come era pronto a morire per Israele, patria che aveva sempre sentito di amare profondamente, in modo istintivo.
Altri soldati risposero al fuoco, mentre una gragnola di piombo giungeva dall’alto, dando inizio a uno scambio di colpi selvaggio.
Sentì le urla di un compagno colpito, poi altre grida. Ancora feriti? Morti?
Restare inchiodati in quella posizione poteva significare essere fatti a pezzi. Preso il comando della squadra che era stata agli ordini di Yaniv, cercò di condurre quelli che ora erano i suoi uomini in un’area più sicura. Ciò che probabilmente era stato un negozio, di fronte a una vecchia auto carbonizzata, sembrava fare al caso suo. Indicò ai compagni di spostarsi in quella direzione. Gli altri annuirono, fiduciosi.
Erano ad appena un paio di metri dall’auto che un improvviso presentimento lo indusse a voltarsi. Dietro di loro, come partoriti dalla notte – ma più probabilmente balzati fuori da un tunnel – i membri di un commando della brigata al-Qassam puntavano le armi alla schiena dei suoi uomini. Non ebbe nemmeno il tempo di gridare: i proiettili fuoriuscirono dai fucili palestinesi come demoni inarrestabili pronti a strappare le anime dei suoi amici. Con orrore, vide Routh, così giovane da sembrare poco più di una bimba, crollare dopo che un pallottola le aveva quasi fatto saltar via la testa.
Il dolore che sentì quando venne colpito al petto fu meno lancinante del pensiero che per un ultimo, breve, infinito attimo, lo indusse a ritenere di aver tradito i suoi fratelli.
Di non averli saputi proteggere.
Di averli condotti alla morte.
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Gaza
Historical FictionNell'estate 2014, a seguito del rapimento e dell'uccisione di tre giovani coloni, Israele lancia l'operazione Protective Edge, destinata a rafforzare la sicurezza delle frontiere. La Striscia di Gaza diviene ancora una volta un luogo nel quale, acco...