Capitolo 1.

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"L'ultimo pensiero, risaliva a 5 anni fa. Quel pensiero tormentato da ricordi spenti. Per quanto io provassi difficoltà nel ricordare anche solo un particolare di quei ricordi, non trasparivano nelle mia mente alcune scene".

Non ero intenzionata a voler saltare giù dal letto. Ma quella notte, proprio non riuscivo a dormire.

Il pavimento ghiacciato, mi scostò un leggero brivido che percorse la gamba sinistra, fin su al braccio, non appena poggiai i piedi.

Afferrai l'accappatoio che era riposto in disordine sulla sedia, vicino il tavolino.

Decisi di vestirmi, volevo fare una passeggiata.

Mi precipitai di corsa in bagno, presi dal tiretto del mio armadio un semplice vestitino bianco, che arrivava un po' più su del ginocchio, con sottili bretelline.

Uscii dalla mia camera.

Luci spente. Tutto silenzioso.  C'era fin troppo silenzio. Dalla mia camera c'era un lunghissimo corridoio che portava ad altre camere, e una grandissima finestra nel mezzo che separava la ringhiera delle scale circonsate da due traverse, una di destra e l'altra di sinistra.

Attraverso le persiane entrava una luce giallastra, quasi tendente al dorato. Era la luce della luna.

Scesi le scale dalla direzione che portavano alla mia camera, quelle di destra.

Feci pianissimo, non volevo svegliare nessuno. Se solo si sarebbero accorti che io non c'ero, o meglio se avessero scoperto che andavo via, mi avrebbero rispedito subito nel luogo che io odiavo tanto.

Ultimo gradino, passi lenti.

Passai per la cucina, la porta era socchiusa, non immaginavo che stesse qualcuno ancora sveglio, sentii degli schiamazzi, qualche risatina e rumori di sedie spostate in avanti e indietro. 

Con molta calma aprii la porta d'ingresso. Mi voltai e lessi l'ora che dava l'orologio,  ormai illiminato dalla luce.

04: 56.

Chiusi la porta molto delicatamente e sgattaiolai fuori.

Nessuna macchina, nessun rumore di clacson, soltanto qualche campana che si udiva in lontananza.

Ero al centro della strada.

Mi era sempre piaciuta l'idea di camminare sentendomi padrona di poter mettere piede dovunque, e ora finalmente potevo farlo.

Ero ormai lontana dalla mia casa.

Mi girai e non riuscivo neppure più a intravederla.

Decisi di andare al parco.

A quest'ora penso,  non ci sarebbe stato nessuno.

Le strade erano accompagnate dalla luce della luna. Vedevo la mia ombra per terra.

Ero arrivata a una delle fermate principali, questo voleva dire che ero vicinissima. Riuscivo a vedere il prato verde.

Avrei dovuto solo attraversare la strada.

Pensai di aver fatto male ad essere uscita di casa senza aver portato una giacca, a quell'ora l'aria inziava a rinfrescarsi.

Una cosa che mi piaceva fare al parco, era correre fino a raggiungere le giostre.

Iniziai a correre, tanto da arrivare lì freneticamente e con l'affanno.

Due altalene, uno scivolo.

Ma poi guardai la mia giostra, quella che preferivo più di tutte.

Ci entrai dentro, senza pensarci due volte.

Era arrugginita, la vernice rossa era quasi scomparsa. Mi guardai intorno e non vidi nessuno, non avrei potuto salirci, se qualcuno mi avesse visto, sarei parsa ai suoi occhi, come una bambina che ama andare sulle giostre per bambini.

Anche se un po' bambina mi sentivo ancora.

Iniziai con tutte e due le mani a girare la grossa ruota che era intorno, la giostra iniziava a roteare, sempre di più, sempre più forte, io continuavo a girare. Non ne ero sicuro, ma all'improvviso sentivo come se stesse trabballando. Dovuto al fatto che c'ero solo io, e evidentemente tutto il peso ricadeva su di me.

Non riuscivo più a regolarizzarla, la giostra girava insistentemente, e qualcosa mi diceva che se non l'avrei fermata in tempo, mi sarei sentita male.

Con poco equilibrio che mi era rimasto in corpo, riuscii ad alzarmi, volevo scendere, ma non sapevo in che modo. Così decisi di salire sulla ruota, un piede da un lato, e l'altro piede dall'altro.

La giostra aveva perso il controllo ed io con essa.

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