Zanzibar

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9 giugno 1958

Era appena finita la scuola e io stavo tornando a casa per gustarmi un buon pranzo e una dose di televisione. Ero al settimo cielo, finalmente non avrei più sentito parlare della scuola fino a settembre. Il sole splendeva e gli uccelli cantavano, la giornata si intonava con il mio umore. Arrivata a casa accesi la TV e mi sintonizzai sul canale dei cartoni animati e iniziai a mangiare un piatto di spaghetti alla carbonara, il mio piatto preferito. Dopo pranzo sparecchiai e mi diressi al parco vicino alla mia residenza a giocare con i miei amici.

Passai così le mie giornate. Un giorno mia madre e mio padre decisero di andare in vacanza a Zanzibar, in Africa, perché lessero che era un bel posto dove passare le vacanze. Io, essendo molto curiosa di natura, accettai.

Il 20 giugno ero emozionatissima perché avrei preso l'aereo per la prima volta in vita mia. Quando salii sull'aereo il mio cuore iniziò a battere fortissimo. Al momento del decollo mi sentii mancare il fiato, poi quando  arrivò in alta quota mi rilassai. Dopo un'ora e venti annunciarono che eravamo arrivati. Appena uscimmo dall'aeroporto io rimasi a bocca aperta: era un luogo bellissimo con tante casette marrone chiaro, era un misto tra antichità e modernità. In taxi io non feci altro che guardare il paesaggio. Era straordinario!

Arrivati in albergo sistemammo tutti i nostri oggetti e andammo a fare una passeggiata. Nell'aria udii il canto di diverse specie di uccelli e qualcheduno lo riuscii a notare scattando anche qualche foto. Vidi anche qualche specie di animale piuttosto strano che in Italia non esisteva. Il centro cittadino era più popolato rispetto al centro all'interno delle foreste, ma fu spettacolare lo stesso.

Proprio mentre stavamo passeggiando incontrai un ragazzino che doveva avere la mia età: aveva due grandi occhi marroni e denti sporgenti che lo facevano assomigliare a un tenero coniglietto e dei bellissimi capelli neri. Decisi di presentarmi:

«Ciao io mi chiamo Roberta De Laurentiis, vengo dall'Italia. Tu invece come ti chiami? »

«Io mi chiamo Freddie Bulsara, ho 12 anni e so suonare il pianoforte e sono un ottimo velocista e pugile. » mi disse quel ragazzino così simpatico.

«Anch'io ho 12 anni e so suonare il pianoforte. » gli dissi piuttosto allegra.

«A cosa vuoi giocare? » mi chiese lasciando il pallone con cui si stava, molto probabilmente, allenando.

«Non so... Voi di solito in questo Paese a cosa giocate? »

Lui prese il pallone e mi insegnò un gioco molto particolare di cui non sentii mai parlare.

Persi molte volte ma mi divertii davvero molto.

Prima di tornare al nostro albergo lui mi fece entrare in casa sua: rimasi meravigliata era molto semplice ma contemporaneamente bellissima. Nella cucina c'era un piccolo acquaio grigio, un tavolino di legno marrone con al centro un contenitore di frutta sopra una piccola tovaglietta riccamente ricamata. Nel soggiorno c'era un divano beige con davanti, sul pavimento, un tappeto con raffigurazioni astratte; inoltre c'era anche un pianoforte accanto a un caminetto che ora era spento. Accanto a questo soggiorno c'era anche un'altra stanza con una scrivania con un libro aperto e due piante esotiche floride.

Freddie mi diede la mano e mi fece segno di sedersi accanto a lui davanti allo strumento. Suonammo un paio di note e notai che lui aveva una capacità straordinaria di muovere le sue mani su quello strumento creando una specie di magia. Rimasi incantata ferma a osservarlo per non interrompere quello spettacolo raro.

Quella magia venne, purtroppo, interrotta dai miei genitori che mi chiamarono dicendomi che era l'ora di tornare all'albergo.

Io promisi a Freddie che il giorno dopo sarei ritornata.

Il giorno seguente ritornai e Freddie mi corse incontro felice abbracciandomi.

Passammo la giornata a giocare a palla e ad ascoltare la magia al pianoforte di Freddie.

Passai così la mia estate. A fine agosto dovevamo rientrare in Italia e a me dispiacque moltissimo lasciare Freddie perché tra noi era nata una sincera amicizia e non sapevo neanche se l'avrei rincontrato. Al momento della partenza Freddie volle accompagnarmi all'aeroporto per stare gli ultimi momenti con me. Quando chiamarono il mio volo Freddie mi abbracciò fortissimo. Nei giorni seguenti mi sarebbe mancato moltissimo.

These Are the Days of Our Lives ( IN REVISIONE )Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora