Capitolo 6

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Dopo aver divorato il mio panino e bevuto una sola birra -che avevo anche promesso di non bere-, mi ritrovai con l'adrenalina a mille. Dovevo prendere la pasticca, ma non ce l'avevo.
Maledizione, pensai, mentre il dj infondo al locale alzava il volume della musica.
Chiara scosse la testa a ritmo di una canzone super estiva che rendeva l'atmosfera piacevole.
Tutto vorticava leggermente, ma non per la birra.
Mi serviva aiuto, ma non l'avrei mai chiesto. Mi girai e vidi Filippo scherzare amichevolmente con Luca, mentre Greta e Chiara discutevano sul colore del vestito per una festa a cui partecipava tutto il paese, verso i primi di luglio. Michele beveva un cooktail, mentre gesticolava animatamente verso Leonardo, che però non se lo calcolò quasi per niente. Finì il suo bicchiere d'acqua e se ne andò, dicendo che doveva andare in bagno.

Chiara si alzò dicendo che voleva ballare, Greta la seguì e a sua volta cercò di tirare anche il suo fidanzato, ma era talmente preso dalla conversazione con mio fratello che la scansò dicendole un rapido ed annoiatissimo -dopo, magari-

-Anna, vieni?- mi chiamò Chiara, sorridendo.
-No, non mi piace ballare-
Ero una pessima ballerina, e anche se fosse stato il contrario, non avrei ballato in mezzo alla calca di gente che non sapeva neanche contro chi si stava strusciando.
-Dai, è solo un ballo!- esclamò lei.
-Magari più tardi- provai a dirle, non importandomi che in realtà pensavo tutto il contrario.
Leonardo tornò e si sedette accanto a me, al posto di Chiara che invece preferiva ballare e far vedere a tutti quanto il suo vestito corto poteva accocciarsi ancora di più se si piegava un po'. Aveva bevuto parecchio, e se avesse continuato così l'avrei riaccompagnata a casa, non importandomi di quel che mi sbraiterebbe contro.
Ero così, e un giorno mi avrebbe ringraziato.
Facevo a lei quel che volevo fosse fatto anche a me, quella sera.

-Tu non balli?- mi chiese Leonardo, girandosi verso di me e quasi sfiorando la mia punta del naso. Mi allontanai di poco, facendolo sorridere impercettibilmente.
Scossi la testa -non mi piace-
-Sei strana, mi piace- disse, provocandomi i brividi lungo la spina dorsale.
-Non devo piacere a te- risposi, acida.
Non aveva bevuto, me ne accorsi da quando si sedette. Aveva buttato giù solo acqua, acqua ed ancora acqua.  Sapeva controllarsi, e questa cosa mi piaceva da impazzire, nonostante lui non fosse la mia persona preferita.
La sua risata mi riempì le orecchie. -Come no-
Parlando con lui mi ero calmata. Non so come, ma mi concentravo sul suono della sua voce profonda, e non mi pareva di sentire altro.
Quando però ci fu un lungo tempo di silenzio, tornò tutto come prima.
L'adrenalina scorreva a mille, potevo tagliarmi la mano senza sentire dolore, in quel momento. Cominciai ad agitarmi sul posto, poi ebbi un forte calore al petto. Sospirai. Ero una stupida, ogni giorno ne combinavo una.

Mi alzai. Dovevo fare qualcosa, restando ferma sarei solo impazzita. Nell'attimo dopo mi dovetti risedere, perchè ero stanca, come dopo una corsa.
-Smettila o ti lego allo sgabello- disse Leonardo con tono duro.
Le mie gambe continuavano a tremare e a muoversi, non riuscivo a stare ferma.
Guardai Michele che stava cercando di parlare con una tipa messicana, che continuava a sorridere e annuire, non capendo sicuramente niente di quello che diceva.
Un'ondata di calore si posò sulla mia gamba, che si fermò al'istante.
Guardai la sua mano grande con gli occhi sbarrati. Lui capì il mio sguardo e la tolse subito
-la devi smettere, m'innervosisci- disse, riferendosi al fatto che non riuscivo a stare ferma.
Non riuscivo neanche ad affilare un discorso. Dissi solo -non posso-
-Non posso cosa?-
La situazione peggiorava. Sbattei una mano sul tavolo ed un flash mi riportò indietro.

-Smettila, spaventerai i bambini così!- disse la mamma, preoccupata.
-Zitta!- le urlò contro lui. Appena vide che stavamo sulle scale ad osservare la scena ci corse incontro spaventandomi a morte.

-Fil!- urlai, dopo aver scacciato il passato. Per fortuna il volume della musica non mi fece fare una figuraccia. Leonardo si accigliò, del mio cambio repentino d'umore.
Filippo e Luca si girarono verso di me.
-Accompagnami a casa. Striscia bianca- dissi una cosa che solo lui poteva capire.
Quando ero bambina e mi dissero che avevo un disturbo psicologico, non capivo cosa voleva dire e perchè dovessi prendere delle pasticche per non impazzire. Così Fil prese tanti fogli tagliandoli in strisce sottili e mi disse -questa è la tua vita, se ogni sera prendi la medicina come ti dicono i dottori, si aggiunge una striscia, se non la prendi, si toglie una striscia- mi fece l'esempio, ed io capii che se volevo continuare a vivere serenamente dovevo ascoltare mio fratello. Così feci. O almeno così feci quando ero piccola, crescendo me ne dimenticavo sempre di più.
Lui si alzò di scatto e salutando Luca mi prese sottobraccio, conducendomi verso l'uscita.
Leonardo mi seguì -che succede?-
-niente ci vediamo domani- risposi nel mio momento di euforia.

Fil camminava avanti e indietro per la camera.
-Anna, lo capisci che non è un gioco?- mi urlò contro, come solo poche volte aveva fatto. Era diventato rosso dalla rabbia.
-Si. Mi dispiace-
-Deve dispiacere a te! Non a me. A te viene la depressione e poi l'euforia! Sei tu quella che vorrebbe saltare su un tetto per la contentezza e poi buttarti di sotto nel momento seguente!- si arrabbiò ancora di più dando voce ai suoi pensieri.
-Non posso farci niente, Fil! Ho solo dimenticato di prendere una pasticca, non ti arrabbiare!-
-Mi arrabbio perchè quella "una pasticca" è in grado di pararti il culo a vita!- urlò alla fine. Si fermò e continuò, calmandosi di poco -Tu non lo capisci Anna, vero? Tu non sai cosa vuol dire tenere ad una persona che potrebbe morire in qualsiasi momento- puntò il suo sguardo nel mio, glaciale.
La mamma entrò, come la volta precedente -che succede? Vi sentivo urlare dal giardino-
-Succede che ad Anna importa soltanto di se stessa. Non gliene frega un cazzo di chi le sta intorno. Noi possiamo vederla star male, ma lei continua a fare quello che fottutamente vuole- disse, per poi uscire e sbattere la porta. Sentii anche quella di ingresso sbattere e mi mortificai. Non pensavo ci tenesse così tanto. Ma d'altronde aveva visto morire troppe persone, non ne avrebbe fatta passare ancora un'altra.
Mi tirai le ginocchia al petto. -Mi dispiace-

La mamma mi fece un cenno con la testa -raggiungilo, è sicuramente sulla spiaggia qui difronte-
Annuii. Non sapevo se in quel momento voleva vedermi o preferiva stare solo a pensare.
Lo vidi seduto, con una sigaretta tra le labbra. Rimasi un po' sconcertata, non sapevo fumasse.
-Ehi- dissi, così piano che non sapevo neanche se mi avesse sentito.
Non rispose. -Mi dispiace davvero Fil. Prometto che mi scriverò qualche post-it oppure un promemoria sul telefono. Ti voglio un mondo di bene, e non è vero che non ci tengo a te. Lo sai vero?- si girò a guardarmi e poi sospirò. Mi strinse in un abbraccio -Voglio solo che tu stia bene- rispose, finalmente calmo.

Rimanemmo così minuti interi. Non importava più niente, ora avevo trovato la pace e non avrei permesso a nessuno di portarmela via.

La Felicità Dipende Da Noi StessiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora