Capitolo 8

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-Guarda che ti sbagli su tutto- risi ancora più forte, guadagnandomi qualche occhiataccia dalle cameriere che passavano per pendere gli ordini agli altri tavoli. Lui rise con me, ma con più ritegno.
Non credevo che Leonardo potesse essere più piacevole di quel che sembrava a primo impatto.
Tornando verso casa avevamo deciso di mangiarci qualcosa, dato che era pomeriggio inoltrato e non avevamo pranzato.
In quel momento, mentre aspettavamo i nostri piatti scelti dieci minuti prima, cercava di indovinare le mie origini, cosa avevo fatto e che anno frequentassi a scuola, perchè secondo lui aveva un dono nel leggere la mente delle altre persone.
Fino a quel momento non aveva indovinato neanche una virgola.
Secondo me voleva chiedermi indirettamente cosa facessi nella vita, ma era troppo orgoglioso per farlo, quindi eccomi, a ridere come una cretina sulle sue teorie.
Secondo lui ero del nord, dato il mio accento "gradevole" ma strano, ero al primo anno di università  ed avevo un figlio che però cresceva con il papà dato che mi riteneva un irresponsabile come madre. Da buona permalosa che ero, me la presi un po', ma poi vedendo il suo tono scherzoso, ed il modo in cui sorrideva con gli occhi, scoppiai a ridere. Non ci credeva neanche lui alle sue parole, ed era esilarante.

Non volevo molto parlare di me, quindi feci finta di dimenticarmi del discorso e presi un bel sorso dalla mia sprite.
-Allora? Cosa fai nella vita?- chiese ancora lui, insistendo curioso.
-Nulla di particolarmente interessante- feci spallucce, sperando non avrebbe insistito.
Lui appoggiò i gomiti sul tavolo, avvicinandosi di poco a me che ero difronte.
-Okay, se la metti così...uso il secondo favore che ho vinto. Parlami di te, e non puoi opporti-
Sbuffai, appoggiandomi allo schienale della sedia. Mi aveva fregata, e dal suo ghigno lo sapeva benissimo anche lui.
Stronzo.
-Cosa vuoi sapere?- chiesi, piano, sperando non andasse troppo in fondo. Ero una persona di parola, aveva vinto alla fine, ed io non ero tanto vigliacca da tirarmi indietro così.
-Tutto- una luce gli passò negli occhi, per qualche secondo diventarono di un grigio scuro, poi cambiarono ancora e tornarono neri. Erano davvero belli.
-Tutto è troppo generico-
-Cosa ci fai qui? In questo paesino sfigato lontano dal resto del mondo?- chiese.
-Mi zia è partita per tre mesi, chiedendoci di restare a casa sua per sorvegliare i suoi tre gatti che francamente ho visto solo di sfuggita- ammisi. I gatti non hanno padroni, e mi chiesi perchè la zia si ostinasse a non capire. Lui si lasciò sfuggire una piccola risata. Agli occhi degli altri questa cosa doveva sembrare super ridicola, e lo era, ma non potevo farci niente.
-Bene, quanti anni hai?-
-Tra un paio di mesi ne compio diciotto- dissi con nonchalance. Allargò di poco gli occhi.
-Hai intenzione di andare all'università, dopo il liceo?-
Mi piaceva il modo in cui faceva domande: diretto, ma non tanto, per non offenderti. Ti chiedeva le cose come se gli importasse davvero, e non per tenere in piedi una conversazione come si fa con chiunque.
-A dir la verità ancora ci ho riflettuto, ma comunque credo di no. Resterò in città per aiutare mia madre, magari mi troverò un lavoro per essere più indipendente- sperai non facesse altre domande, ma lui sembrava essere davvero curioso, forse troppo.
-Secondo te lavorare è l'indipendenza, la libertà?- ridacchiò un po'. Feci una smorfia. Ecco, non dovevo parlare. Mi agitai sulla sedia e ringraziai la cameriera quando ci porse davanti al naso i nostri piatti di pasta, così da concentrarmi sul cibo e non più su di lui.

-E tu?- chiesi dopo un po'.
-Io cosa?-
-Cosa fai nella vita?-
-Lavoro nell'autofficina di mio zio. Diciamo che inizialmente non ambivo a questo, ma dopo vari avvenimenti sono stato costretto- deglutì l'ultimo boccone e ingoiò un po' d'acqua.
Perchè sentivo che in quel momento c'era molto di più in lui di quel che volesse mostrare in realtà?
Forse eravamo simili.

Il sole stava per calare e appena uscimmo dal piccolo bar-ristorante suonò la sveglia che avevo impostato per prendere la pasticca.
-Cos'è?- chiese Leonardo.
-Oh, niente d'importante. Mi puoi riportare a casa dopo questo rapimento?-
-Ti ho picchiata?-
-No-
-Ti ho violentata?-
-Oh mio Dio, no!- risposi ovvia.
-Ti ho chiesto dei soldi minacc-
-Ho afferrato il concetto.-
-Visto? Allora non è un rapimento-
Sbuffai una risata.
-Ti sei divertita?- chiese, dopo un po'.
-Stranamente si. Non pensavo avessi un cuore e pure dei sentimenti-
-Sono pieno di sorprese, ma non dirlo a nessuno, rimarrà un nostro segreto- si avvicinò pericolosamente a me, sussurrando e posandosi un dito davanti alla bocca. Io presi le distanze di sicurezza, e solo dopo aver sbuffato una risata feci finta di chiudermi la bocca come se ci fosse una zip e lanciai la chiave immaginaria lontana.
In realtà non capivo perchè la gente con un passato diverso e particolare, se così si poteva definire, si dovesse mostrare chiusa e arrabbiata verso il mondo.
C'è stato un periodo in cui pure io ero così, ma poi mi sono accorta che più sorridi ed annuisci, più la gente non fa domande. E quando lo capii fu un sollievo.

Al ritorno sembrava aver scelto la strada con più semafori, e li rispettava tutti. Se c'era il giallo preferiva rimanere fermo. Quando si girò e mi vide un espressione strana in viso si giustificò con un -di multe ne ho prese troppe.-
Arrivati davanti casa mi slacciò il casco. -Guarda che ho capito come si fa- risi.
-Una volta che provo ad essere gentile lasciami fare- sbuffò, con un lieve sorriso sulle labbra.
-Scusa Mr gentilezza- sussurrai prendendolo in giro.
-Ehi, ti ho sentita- mi puntò un dito contro.
Prima di inserire le chiavi nella toppa mi girai -Grazie- dissi. Mi sorrise mostrando la piccola fossetta sulla guancia destra.
Aspettò che fossi dentro prima di andarsene.

-Chi era?- chiese Filippo, seduto nel salotto, al buio. Mi spaventai a morte, andando a sbattere al piccolo mobiletto delle chiavi affianco all'entrata.
-Che fai ora, mi spii? Era Leonardo-
-Ma non vi odiavate voi due?-
Bella domanda. Prima era così, ora non lo so, si è mostrato davvero carino e ho iniziato a cambiare opinione su di lui.
-Tu dove sei stato oggi?- chiesi, evitando la sua domanda. Lui prese un succo dal frigo
-Da Luca- rispose, dopo qualche secondo.
-Passate un bel po' di tempo insieme- affermai, contenta che si fosse trovato un amico.
Lui sembrò andare in crisi -no, che dici? Poi è passato anche Michele a farci compagnia-
-Calma, Fil. Va bene, sono contenta se ti ci trovi bene, non è un problema per me- cercai il suo sguardo, ma fissava il tavolo, in silenzio. Mi sorrise
-Ti voglio bene, lucertola- mi abbracciò.
Quel soprannome non lo sentivo dai tempi delle medie. Io amavo stare al sole, lui lo sapeva, e mi aveva definita una "piccola lucertola".
Mi si addiceva molto.
Con il tempo quasi me ne dimenticai.
Mentre lui, sembrava non scordare proprio nulla.

La Felicità Dipende Da Noi StessiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora