Capitolo 11

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-Mi hai infradiciata!- mi avvicinai a Leonardo.
Lui cercò di scappare, ma Michele, posizionato dietro di lui lo spinse verso di me, ridendo.
E mentre Leonardo insultava il suo amico con frasi del tipo "bel migliore amico di merda che ho",
io mi aggrappai a lui come un koala, facendogli perdere leggermente l'equilibrio.
-Com'è possibile che non cadi?- sbuffai, quando vidi che appendermi a lui non era servito a niente, anzi, mi aveva stretto le braccia intorno alla vita e non mi lasciava scendere. Mi passò un brivido per tutto il corpo, ed ebbi paura lo avesse notato.
-Io non cado mai- rise, mostrando la fila di denti bianchi che volevo prendere a sprangate per il fastidio che quel bianco perfetto mi dava.
-Fammi scendere-
-Se io non cado tu non cadi- mi sorrise, innocente.
Aveva detto una frase profonda, peccato che mettendola sul ridere non aveva reso la bellezza.
Starnutii, e solo in quel momento mi accorsi del freddo che stavo sentendo. Il sole veniva sempre di meno ed io ero zuppa dalla testa ai piedi.
Il cielo stava diventando sempre più nero e si sentiva anche il brontolio che emetteva, come uno stomaco affamato. Il tempo brutto si stava avvicinando tutto d'un tratto, ed anche se amavo il sole fui contenta.
Lui mi lasciò scendere, arrendendosi al fatto che poteva venirmi una bella febbre da cavallo altrimenti.
-Vieni, ho un cambio- mi prese la mano e mi guidò verso il furgoncino.
Mi lasciai guidare solo perchè stavo morendo di freddo, e sinceramente volevo avere il suo profumo di montagna addosso.

-Ma sembro un sacco di patate!- esclamai, specchiandomi al finestrino.
Evitai di mettere i pantaloni, dato che la maglietta era talmente larga da sembrare un vestito, e mi arrivava poco sopra il ginocchio.
Avevo comunque l'intimo bagnato, ed in quel momento volevo tanto essere una di quelle ragazze che poteva evitare di mettere il reggiseno, perchè tanto non si notava.
Mi accontentai e nonostante il suo profumo di montagna invernale mi inebriava le narici fino ad arrivarmi al cervello, avevo appena elencato uno dei motivi per il quale odiavo quella stagione: quando avevo i maglioncini addosso e dovevo sciacquare le mani, puntalmente si bagnavano le maniche facendomi sentire freddo ed il nervoso a fior di pelle.
-Sta meglio a te che a me- mi sorrise, appoggiandosi di spalle al furgoncino e accendendosi una sigaretta.
Di getto gli sistemai una ciocca di capelli che gli era finita sugli occhi, ma quando me ne accorsi arrossii, e tolsi la mano di scatto.
Lui la riprese, e se la poggiò in testa, tra i capelli, chiudendo gli occhi.
-Leonardo- lo ammonii.
-Che c'è?- sorrise.
-Smettila-
-Di fare cosa?-
-Questo- sbuffai, indicandoci.
Lui spense la sigaretta, nonostante fosse quasi intatta e mi prese il viso tra le mani, avvicinandosi pericolosamente.
-Non sto facendo proprio niente- si tirò sempre di più verso di me.
Sapeva di pioggia, e di inverno, e di montagna. Sapeva di casa.

Un tuono sulle nostre teste ci fece alzare lo sguardo, e mentre prima ci guardavamo negli occhi e i nostri respiri si erano quasi mischiati, scambiati di ruolo, ora sorridevamo come due stupidi all'arrivo di un temporale. Le goccie scendevano sempre più fitte, ed io giravo su me stessa, ridevo, saltavo, come una bambina. Amavo l'acqua, sotto qualsiasi forma. La pioggia era una di queste.
Un giorno ero il sole, quello dopo la pioggia, un giorno avevo paura di amare, l'altro stringevo i capelli di Leonardo come se fossero l'unico appiglio durante la tempesta. Ero un totale disastro.

Leonardo mi guardava, appoggiato allo sportello, mentre sorrideva, si passava una mano tra i mossi ribelli e puntava i suoi occhi neri come pozzi prima su di me, poi al cielo, poi ancora su di me. I ragazzi correvano verso di noi, con tutte le buste ed i teli in mano, cercando di non bagnarsi, e poi c'eravamo noi due.

Che lo descrivo a fare, momenti così non si descrivono, pensai, sgridandomi poi di dover mettere sempre un'etichetta a tutto.

Fil mi tirò in macchina tra lui e Leonardo, ed io mi sentii con due spalle, non più una sola.

Quando mi svegliai avevo un panno freddo in fronte, e le coperte tirate fino al collo non mi facevano sudare come accadeva di solito. Sentivo i piedi caldi, le braccia coperte ed una musica lieve, talmente bassa da non capire le parole.
Aprii gli occhi e le tapparelle abbassate facevano entrare pochi spiragli di una luce calda, quella del sole.
Sulla poltroncina all'angolo della stanza c'era Leonardo che dormiva con le cuf... sbattei gli occhi più volte cercando di mettere a fuoco l'immagine e mi tirai su di scatto, svegliandolo grazie al rumore fastidioso che la testiera del letto aveva provocato sbattendo al muro.
-Che ci fai tu qui?- chiesi.
-Dopo che ti sei addormentata sulla mia spalla, sul pulmino, abbiamo provato a svegliarti, ma avevi la febbre molto alta, quindi abbiamo preferito lasciarti riposare ed io sono rimasto qui, dato che è colpa mia se ora stai così-
-Io non ricordo niente-
-Io e Filippo abbiamo preferito non svegliarti- ripetè.
E lui era rimasto su quella poltroncina di vimini tutta la notte?
-Ti dispiace?- mi chiese dopo. Negai con la testa.
-Mi è passata la febbre?- chiesi a lui, che tanto era più informato di me su tutto. Non mi sentivo male, a dirla tutta, avevo solo freddo.
-Si, è stata una febbre lampo, alta, ma è durata poco. Tua mamma ha detto che devi stare comunque a riposo-
Annuii, perchè sapevo che quando mia madre dava ordini era meglio non farla arrabbiare. Anche perchè mi sentivo molto stanca.
-Non vai al mare?- gli chiesi, perchè sapevo che nonostante il giorno prima aveva piovuto, il sole estivo in quel piccolo paese era talmente forte da esser riuscito a scaldare nuovamente tutto.

-Nah, non è divertente se non ho nessuno da stracciare a pallavolo- rise di poco. Io lo guardai torva -Stavo parlando con Greta quella volta-
-Durante le partite non si parla- mi fece un occhiolino, ripetendo la scena di settimane prima.
Battei una mano sul letto, accanto a me -Quella poltroncina è scomoda quanto una sedia fatta in chiodi-
-Condivido- disse. Quando si alzò la sua schiena fece lo stesso rumore di quando si schiaccia il pluriball.
Si sedette al mio fianco.
-Me li hai messi tu i calzini?- gli chiesi, convinta che rispondesse affermativamente, dato che Fil, come me, era uno spirito libero, o almeno così ci definiva la mamma, e appena tornava il caldo, o semplicemente il sole, evitavamo di mettere le calze, facendo arrabbiare la zia Barbara che non tollerava quando qualcuno sbatteva la pianta del piede per terra.
Lui annuì, imbarazzato.
Mi sistemai meglio il cuscino sotto la testa e stesi i piedi, strofinandoli l'uno contro l'altro.
Lui si allungò accanto a me, avvicinandosi.
-Non esagerare, mio fratello è qui di fronte, ti spezza le gambe se ti vede troppo vicino- ridacchiai.
-Farebbe bene, anch'io se avessi una sorella come te sarei super protettivo- disse, serio.
-Come me?-
Lui annuì, ma non rispose. Si girò su un fianco, mettendosi faccia a faccia con me.
Mi passò una cuffietta, e riconobbi subito la dolce melodia degli U2.
Chiusi gli occhi e sentii una lieve carezza sul viso e poi una piccola aria di menta spostare qualche ciuffo di capelli che avevo davanti agli occhi.
-Sei davvero bella- sussurrò. O almeno credevo. Mi addormentai subito dopo. Con il calore del suo petto a distanza, che anche se lontano pareva vicinissimo e il suo respiro, profondo, ma delicato.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Sep 26, 2019 ⏰

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