La landa di ghiaccio

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Mezzanotte.
La Luna distribuisce
il suo bagliore
dall'alto,
illuminando fonti di luce
e pettinando ciuffi d'erba.

Questa notte, le stelle
le stanno lontane.
Lei, regina capricciosa
congelata dalle tenebre
diffuse come ''sto bene''
detti per convenzione.

La strada, infisso cementificato
della finestra terrena,
si srotola di moto uniforme
dinnanzi a me.
Popolata da lampioni
e linee di mezzeria soltanto,
mi suggerisce nuovi luoghi
celati nell'ombra arcigna.

Mezzanotte e cinque minuti.
In quest'isola sublunare,
il tempo è scandito
da lancette reticenti
che strisciano sul mio polso, algido e niveo.

Nulla più si esprime,
nulla si lamenta,
tutto è paralizzato come un
anarchico legato mani e piedi
in un manicomio in rovina
senza finestre.

Non odo canti,
né pianto alcuno,
Medusa dev'essere passata
da questa strada
guardandosi attorno.

D'un tratto, un lupo
impassibile mi sbarrò il passaggio.
Sedeva al centro della strada,
i muscoli tesi come corde
di violoncelli mortiferi
ed il pelo arruffato e sudicio.

Spaventato, m'immobilizzai.

Mezzanotte e dieci.
Con lo sguardo fisso nel mio,
sollevò il mento, spalancò le fauci
e rilasciò un ululato roco,
un canto gutturale.

Mi sorpresi.
La voce della bestia solitaria era la mia.
Sparì subito dopo, senza aggiungere altro.
La strada tornò vuota, esposizione
d'arte moderna in un mondo di pragmatici scienziati.

La mia anima s'era palesata,
ed anche quella strada
mi sembrava viva e brulicante.
Le nubi correvano nel cielo con letizia.

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