Morti

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Cassandra si pulì le mani macchiate di sangue sulla gonna della divisa, e guardò il coltello, con il luccichio della lama affogato dal sangue.
Non c'era ancora nessuno, neanche un bidello. Era un punto di forza in quella scuola; le persone che ci lavoravano non facevano il loro dovere, così Cassandra ebbe il tempo di nascondere i corpi in un bidone nel giardino.
Al termine dell'orario scolastico, aspettò che tutti se ne fossero andati, e tornò dai cadaveri.
Li chiuse dentro dei sacchi di plastica, e li portò uno ad uno nel retro di una casa in costruzione nel suo quartiere. Con un po' di fortuna, nessuno li avrebbe trovati per un po' di tempo.

Appena tornata a "casa" il padre le urlò che era in ritardo, che non voleva sentire scuse. Le ordinò di preparargli subito la cena, e dei obbedì, come sempre, ma mentre apparecchiava la tavola un bicchiere le cadde di mano, frantumandosi a terra.
Il padre si girò verso di lei, furente.
In verità non aspettava altro che un'occasione per picchiarla, offenderla, insultarla.
-Che cazzo hai fatto?! Stupida sgualdrina!
Le prese un polso scagliandola a terra.
Per l'ennesima volta.
-Non sai nemmeno tenere un cazzo di bicchiere in mano!
Cadde sulle schegge di vetro, ferendosi a una coscia e al braccio che aveva usato per attugire la caduta.
Altri lividi e tagli.
Così altre cicatrici si aggiunsero alle innumerevoli già presenti sul corpo di Cassandra.

Il giorno dopo si diresse a scuola, e lungo il cammino incontrò Michelle. Era simpatica, piuttosto serena, nonostante quello che era accaduto il giorno prima, e nel giro di poco strinsero amicizia.
Però la ragazza notò il taglio provocatole dal padre sulla gamba sinistra, che ogni tanto la attraversava con dolorose fitte.
-Cassandra, perché sei piena di cicatrici e lividi?
-Non... non è niente. Sono caduta dalle scale ieri e...
Usava sempre quella scusa.
Ormai le persone a cui l'aveva raccontata la immaginavano come una ragazza piuttosto impacciata per via delle sue frequenti "cadute dalle scale".
-Impossibile, quella è una ferita da arma da taglio. Ne ho avuta una anch'io, da piccola.
-Sono caduta su dei vetri.
-Cadendo dalle scale?
-Sì.
-... Cassandra, sicura che è tutto a posto? Non sono stati i ragazzi di ieri, vero?
Cassandra le sorrise.
-No tranquilla. Loro non ci disturberanno più.
-In che senso? E come fai ad esserne sicura?
Domandò perplessa.
Lei guardò l'orologio appeso lungo il corridoio.
-Scusa, ma ora devo andare, ci vediamo alla fine delle lezioni, ok?
E si avviò lungo il corridoio verso la sua classe.

Per il resto delle ore scolastiche il compagno di banco di Cassandra, Daniel, la osservava in modo strano: ansioso, impaurito, teso.
-Sei...sei sicura di stare bene oggi..?
Le chiese.
-Si, perché?
Lui distolse lo sguardo.
Lei si girò verso la finestra, per osservare il suo riflesso, e vide che stava ancora sorridendo.
Stava sorridendo im modo inquietante, adesso capiva il perché del timore del suo compagno.
Rilassò i muscoli della faccia e il sorriso si dileguò velocemente.
-Sto bene, tranquillo Daniel.
Rispose allora in modo dolce.
"Sto davvero benissimo."

~[ᏟᏆᏟᎪͲᎡᏆᏟᏆ]~ 𝓒𝓪𝓼𝓼𝓪𝓷𝓭𝓻𝓪 𝓢𝓬𝓪𝓻𝓻𝓮𝓭Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora