"Mi dispiace che non abbiamo trovato niente."
Louis era inginocchiato a terra, circondato dai libri. Ora dovevano soltanto rimetterli a posto sugli scaffali. Era stata la casa del governatore più di un secolo prima, ma di documenti che lo testimoniassero neanche l'ombra.
"Poco male, non ci speravo davvero," disse Harry, asciugandosi la fronte sudata. Diede una mano a Louis e lo aiutò a rialzarsi, "la cosa positiva è che fra un paio di giorni sarà tutto in ordine."
Louis sorrise. Quella era diventata di gran lunga la sua stanza preferita di tutta la villa. Non che ne avesse viste molte altre, ma tant'è.
"Prendi pure qualche libro, se vuoi."
Louis abbassò lo sguardo e probabilmente arrossì.
"In realtà ne ho già presi un paio," ammise, poi aggiunse, "te li riporto la prossima settimana."
Harry gli sorrise di rimando, le fossette due bei buchi profondi ai lati della bocca.
Ridacchiò e disse, già sulla soglia, la mano sulla maniglia, "tienili quanto vuoi. Adesso facciamoci un bagno."Louis era seduto sotto la quercia dirimpetto alla piscina. Aveva le gambe distese sul prato e lo sguardo acquoso mentre lo osservava issarsi sul bordo della vasca, grondante d'acqua e splendente nel sole. I suoi muscoli guizzavano ad ogni movimento, la sua pelle ed i suoi occhi brillavano nella luce del pomeriggio. Non si era fatto la barba ed un'ombra più scura gli copriva il mento e la mandibola. Era un uomo.
Gli parve di ridestarsi quando Harry lo raggiunse. C'era tutto lo spazio del mondo in quel giardino gigantesco, ma Harry scelse di sederglisi a fianco, così vicino da sfiorargli le ginocchia con le proprie. E Louis sarebbe stato scosso dai brividi, gli si sarebbero chiusi gola e stomaco, ma l'erba, non quella del prato, rendeva tutto più leggero.
Teneva lo spinello fra le dita ed Harry glielo prese non appena fu comodo contro il tronco dell'albero. Fece due tiri profondi, sparendo per un istante nel fumo bianco. Louis colse quel momento per parlare, tornando a rannicchiarsi con le ginocchia al petto.
"Quindi non vai ad Atlanta questo fine settimana?"
Harry gli ripassò la sigaretta e chiuse gli occhi.
"Certo che ci vado."
"Ah, credevo ci andassi se avessimo trovato qualcosa di interessante nella biblioteca."
"Ci vado per incontrare un amico."
"Oh."
Louis non seppe cosa quell'affermazione gli avesse provocato dentro, né il perché, ma non fu piacevole. Spense il mozzicone ormai consumato e si alzò stiracchiandosi.
"Mi rifaccio un bagno," disse, e si tuffò in piscina. Quando riemerse dall'acqua, quella strana sensazione era ancora lì, a premergli sull'addome.
"Chi è il tuo amico?"
Harry era già sul bordo della piscina, le gambe a mollo nell'acqua. Louis si allontanò.
"Uno dei tempi dell'università," disse. Tenne gli occhi puntati in quelli di Louis. Anche immerso fino al collo faceva un gran caldo.
"Gli unici amici che mi sono fatto, li ho conosciuti al college," continuò il riccio. Ora aveva lo sguardo basso, un piccolo sorriso dipinto sulle labbra. Non erano rosse quel giorno, ma più pallide e rinsecchite dal sole. Louis si morse le proprie.
"Non avevo amici a Sumter, odiavo tutto di quel posto, la gente, la vita."
Louis zampettò lentamente verso il bordo, in attesa. Non aveva mai sentito Harry parlare così tanto.
"Mio padre era un aviatore. Dio quanto gli piaceva raccontare della guerra. Credo sia stato per quello che mi sono arruolato. Per renderlo orgoglioso almeno una volta," il sorriso sul volto di Harry non raggiungeva gli occhi. Louis stava imparando anche quello.
"Ero davvero un idiota da ragazzino, lo sai?"
Harry ridacchiò, ma non Louis. Il suo volto era livido di dolore, e Louis lo sentì tutto quanto.
Conobbe la madre a Londra, durante la guerra. Una cameriera in un pub nei bassifondi della città. Quella rimase incinta ed il soldato dovette portarsela a casa in America. Comprarono un appezzamento di terreno in campagna, e per i primi anni di vita, Harry non conobbe altro che il ranch. Al padre diagnosticarono una malformazione al cuore, e dovette congedarsi per sempre dall'esercito e da tutto ciò che amava.
"Sembrava quasi fosse colpa mia," disse il riccio, "mio padre mi odiava ed io non sapevo il perché. Ne ho sofferto per anni, poi ho capito. Non era colpa mia, era un bastardo e basta, e niente di quello che avessi potuto fare avrebbe cambiato le cose."
Louis aveva la bocca aperta, eppure gli sembrava di non riuscire a respirare. La voce di Harry era melassa, dolce ed avvolgente. Parlava lento, lento e Louis beveva da ogni sua parola. Si ritrovò a chiedersi se Harry avesse mai raccontato quella storia a qualcun altro, magari a quell'amico di Atlanta. Si ritrovò a sperare di essere l'unico.
"Il giorno in cui ho scoperto di essere stato accettato a Stanford è stato il più bello della mia vita. Ricordo le lacrime di mia madre," gli occhi di Harry erano verdissimi. Louis avrebbe voluto nuotarci dentro. Anziché in piscina, si sarebbe volentieri tuffato in quegli smeraldi brillanti di ricordi e forse segreti. Arrossì, ma Harry non se ne accorse.
"Non ho mai saputo se stesse piangendo di gioia o di disperazione. Poco dopo essere partito per San Francisco, ho ricevuto un telegramma da mio padre. A quanto pare mia madre era fuggita col vicino di casa e nessuno sapeva che fine avessero fatto. Un telegramma, capisci? La sua vita andava rotoli e mi ha mandato un telegramma."
Harry stava tremando. Louis si issò sul bordo e si sedette al suo fianco. Gli sfiorò un braccio con la punta delle dita.
"Ma poi-ma poi l'hanno trovata, vero? L'hai rivista?"
Harry ridacchiò ancora e la sua risata era gelida in quel caldissimo pomeriggio.
"Lei anziché un telegramma mi manda una lettera per il mio compleanno. Mi mandava. Non sa che mi sono trasferito qui."
Louis era ammutolito. Sentiva gli occhi pizzicare e avrebbe voluto, dio avrebbe voluto, poter dire qualcosa. Qualunque cosa, ma tutto ciò che fece fu restare in silenzio.
"Beh, comunque, dopo che mia madre è sparita, mio padre è andato fuori di testa. A quanto pare l'hanno rinchiuso per un po' in ospedale, poi il vecchio bastardo è morto e non mi sono arrivati più telegrammi."
Cadde il silenzio, interrotto solo dal frinire delle cicale. Sembrò più triste del solito anche quello, come se persino la natura piangesse. O forse era soltanto Louis quello che piangeva.
"Cristo," esclamò Harry. Lo cinse con le spalle e dalla gola di Louis sfuggì un singhiozzo. Poi Harry poggiò una tempia contro la sua, e Louis smise di piangere e respirare.
"Non piangere," sussurrò il riccio, "non piangere mai per me. Non piangere mai per nessuno."
Louis scosse la testa e si agitò sul posto. Harry sciolse l'abbraccio e si allontanò, mentre Louis si asciugava le lacrime dalle guance.
"Guarda che sono contento che me l'hai raccontato."
Harry sorrise, e questa volta c'erano anche le fossette, "si vede."
Louis tirò su col naso, "dico davvero."
Louis piangeva, ma era felice.
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Down by the River
FanfictionGeorgia, 1981. La placida cittadina di Jacksonville viene scombussolata dall'arrivo di un misterioso sconosciuto. Tutti mormorano, tutti insinuano. Non Louis. A Louis non importa un bel niente. È l'inizio dell'estate, e Louis vuole solo trascorrere...