"Ce l'hai la ragazza?"
Harry sollevò la testa. Aveva la fronte bagnata di sudore che gli colava sulle sopracciglia.
Quel giorno di fine giugno il sole era nascosto da nuvole sottili e lattiginose, le colline e la campagna ricoperte da una foschia opprimente. Il caldo era tremendo mentre sistemavano il vialetto di ciottoli dirimpetto alla villa. Respiravano entrambi a bocca aperta, ascoltando il frinire delle cicale. Almeno fino a quando il macigno che Louis sentiva al centro del petto non si fece insopportabile.
"Allora? Ce l'hai?" Insistette. Aveva bisogno di quella risposta. Ne aveva bisogno per dormire la notte.
Lo sentì sospirare. Louis chiuse gli occhi.
"No, Louis, non ce l'ho." Lo disse come stesse parlando ad un ragazzetto stupido. Louis avvertì la bile, acida e bollente, farsi strada per le budella fino alla gola. Deglutì.
"Io sì."
Harry alzò le sopracciglia e gli concesse un mezzo sorriso. Louis non vide le fossette.
"Bravo."
Lo stava prendendo in giro. Louis non era stupido. Non importava cosa credesse Harry. Non era stupido.
"Si chiama Mary Beth," disse, ed affondò le mani nella terra calda e secca, "è bellissima."
"Immagino."
Harry si alzò e Louis non lo guardò. Non guardò la sua schiena nuda e la sua pelle dorata. Non guardò quella cicatrice più chiara di tutto il resto. Non guardò le sue scapole appuntite e la sua vita stretta. Non guardò le sue cosce tornite e le sue gambe lunghe. Non guardò niente ma continuò a lavorare, inghiottendo gli acidi del suo stomaco.
"Non c'è nessuna che ti piace?"
Harry si era allontanato, ma non abbastanza perché non potesse sentirlo. Si era inginocchiato più in là e sistemava i ciottoli uno accanto all'altro. Di tanto in tanto si asciugava il viso dal sudore con un fazzoletto che teneva nella tasca dei pantaloncini di jeans.
"No, Louis."
Odiava come ripeteva il suo nome. Odiava come scandiva ogni lettera con quella sua voce roca. Odiava il suo modo lento e mellifluo di parlare. Odiava sentire la sua voce quando chiudeva gli occhi ogni notte.
"Perché?"
Harry si voltò veloce e lo guardò dritto negli occhi. Louis sentì le proprie guance avvampare. Strinse la terra fra le dita.
"Che domanda è perché, Louis? Perché no e basta."
Harry era tornato a dargli le spalle. Louis era tornato a respirare. Più o meno.
"Quindi non c'è proprio nessuna?"
Harry sospirò. Probabilmente alzò gli occhi al cielo, ma Louis non lo vide. Aveva la terra sotto le unghie e le mani gli bruciavano. Aveva un gran caldo, e a forza di starsene raggomitolato al suolo, gli facevano male anche le ginocchia. Aveva sonno. Era stanco. Gli girava la testa. Aveva sonno.
"No, Louis."
Odiava il fatto che continuasse a ripetere il suo nome. Odiava il fatto che amasse la sua voce quando ripeteva il suo nome. Pensò a Mary Beth, al suo costume rosso e al suo seno piccolo e sodo. Non chiuse gli occhi perché quando li chiudeva, vedeva cose che non voleva vedere. Guardò la schiena curva in avanti di Harry, i suoi muscoli contrarsi, le goccioline di sudore scorrere lente lungo la sua spina dorsale. Gli venne duro.
Louis squittì e poi si morse le labbra.
Harry si volto con espressione stralunata.
"Che hai oggi?"
"Vado in bagno," riuscì a rispondere a denti stretti prima di correre in casa.
Dentro faceva più fresco, le mura spesse tenevano lontani l'afa ed i raggi opachi del sole. Le lacrime gli offuscarono la vista ed il respiro gli si fece affettato. Salì le scale rapidamente fino al piano superiore, schiacciando le cosce l'una contro l'altra. Pensò al giorno del funerale di zio Frank e al pianto di zia Dot; a quei video di bambini poveri in Africa che gli avevano fatto vedere a scuola; a quando Stan dopo aver esagerato con la birra si era vomitato sulle scarpe. Bastò, e tutto quel caldo passò. Fece per girare i tacchi, ma poi vide la porta socchiusa, per la prima volta da quando aveva messo piede nella casa sulla collina. La stanza di Harry era aperta. Louis gemette di nuovo.Era come se l'era immaginata e allo stesso tempo, niente di ciò che aveva pensato. Le pareti erano bianchissime come il resto della villa. La terrazza, magnifica incendiata dal sole del pomeriggio, si affacciava sul retro della casa, dove la piscina riluceva nella luce accecante e laggiù, il fiume inseguiva l'orizzonte. Le tende, bianche anch'esse, svolazzavano nella brezza calda e umida di quel giorno cocente, ma quel venticello non era abbastanza per spazzare via l'odore che impregnava la stanza. Tabacco e qualcos'altro, avrebbe detto fino ad un mese prima. Adesso era Harry. Tabacco ed Harry. E sudore, ed erba, e uomo, e Harry. Louis deglutì.
Fece un paio di passi in più, lentamente, per non rompere quell'incantesimo, quella sensazione di proibito che gli annodava la gola. Il letto, due grandi piazze circondate da una struttura di legno scuro, era disfatto. Le lenzuola erano arrotolate infondo al materasso e vicino alla testiera, tanti fogli sparsi si mischiavano con i cuscini. Louis si avvicinò, lì dove il profumo di Harry si faceva più intenso. Diede una sbirciata alla porta dietro di sé, e quando non vide nessuno né udì alcun rumore, lo fece. Si sedette dove Harry riposava ogni notte, lasciando che il suo aroma lo circondasse e lo penetrasse. Gli venne duro un'altra volta, ma Louis si morse il labbro inferiore così forte da farlo sanguinare e sentirne il gusto ferroso sulla lingua. Allungò una mano tremolante verso i pezzi di carta che Harry aveva dimenticato sparpagliati sul letto. Forse non li aveva dimenticati. Forse li aveva letti prima di addormentarsi e quella sera li avrebbe letti di nuovo.
Erano lettere, decine di lettere. Alcune di poche righe, altre più lunghe. Louis lesse la prima che gli capitò fra le mani.

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Down by the River
FanfictionGeorgia, 1981. La placida cittadina di Jacksonville viene scombussolata dall'arrivo di un misterioso sconosciuto. Tutti mormorano, tutti insinuano. Non Louis. A Louis non importa un bel niente. È l'inizio dell'estate, e Louis vuole solo trascorrere...