No sound ▶

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Urla. Pianto. Urla miste a pianto. Bottiglie di birra vuote sul tavolo, bottiglie di birra vuote sul pavimento, una bottiglia di pura vodka nella sua mano. Disperazione.

Tutto girava attorno a lei, tutto era confuso, nulla aveva più un senso, né tantomeno la sua esistenza stessa.

Che cosa non aveva notato in lei? Nella sua cara sorella trovata morta in un parco per overdose; perché drogarsi? Aveva sbagliato qualcosa? La sua famiglia aveva sbagliato qualcosa?

Chi aveva sbagliato nei suoi confronti? Sarà l'alcol a darle delle risposte? La notte fuori dalla casa, in quel momento vuota, era silenziosa, riempita dal passaggio di qualche macchina e i miagolii di una gatta in calore.

Poi il suono del citofono che spaventò la giovane adulta seduta al tavolo della cucina
«Andate via!»
Urlò disperata nonostante non avrebbero potuto sentirla. Un altro squillo
«No!»
Un altro ancora
«Basta!».

Quel suono fastidioso era incessante e lei era sull'orlo di impazzire, si alzò a stento dalla sedia lottando con il mal di testa, decisa a porre fine all'esistenza di quel dannato aggeggio.

Barcollò fino all'apparecchio, sbattendo contro la parete una volta arrivata lì, mugugnò singhiozzando per la botta che le sembrava dolorosa, premette il bottone per rispondere appena udì un altro squillo
«Chi è?!»
Da lì ne provenne una voce meccanica e dannatamente familiare
«Amore! Sono io, Riccardo!»
Il suo viso si contrasse in un'espressione di disgusto
«Che vuoi?»
«Fammi salire»
«No»
Silenzio
«Amore, fammi salire»
Ordinò il fidanzato
«No»
Ribatté lei
«Amore»
«Lasciami stare!»
Urlò la donna interrompendo la comunicazione.

Riccardo rimase sconcertato
«Hey!»
Suonò un paio di volte ancora ma non ottenne nessuna risposta, sbuffò rumorosamente pensando a cosa fare per raggiungerla.

Si ricordò, poi, che la madre della sua amata aveva l'abitudine di nascondere delle chiavi di riserva o sotto il tappeto o in uno dei vasi di fiori che abbellivano la facciata della casa.

Quei fiori davano alla modesta villa bifamiliare un po' di colore in più rispetto al giallo sbiadito di cui erano dipinte le pareti e al tappeto verde vivo di erba sintetica che era come un elemento fastidioso e di troppo.

I fiori erano soprattutto viole.

Gli piacevano quelle viole colorate, gli ricordavano quando, insieme alla sua amata, andavano dal vivaio assieme alla sua famiglia per comprare piantine di ogni genere, di cui la madre ne era quasi ossessionata.

Tutto questo prima che la sorella scomparisse in modo tragico.

Da quel giorno, niente fu più come prima in quella casa, nemmeno lei. Aveva perso il suo sorriso, il suo magnifico sorriso, aveva abbandonato il conservatorio dicendo che nemmeno più la musica era in grado di farla sentire bene.

Odiava il mondo, odiava la vita, odiava chiunque aveva portato sua sorella sulla strada della droga.

Rancore che sfogava con l'alcol, Riccardo non riusciva a contare quante volte l'avesse trovata ubriaca a casa sua o in un locale.

Quella sera, a quanto pare, era una di quelle volte.

Alzò il tappeto senza trovare nulla, allora cercò tra le piante e trovò un mazzo di chiavi in un vaso di viole. Le pulì dal terriccio e aprì la porta.

La casa aveva quattro piani senza ascensore, quindi, non perse tempo a salire le scale di marmo, due gradini alla volta, che lo condussero fino alla porta della mansarda che dovette aprire con una spallata a causa della serratura difettosa.

La vide subito, seduta sul pavimento e con gli occhi rossi che le lacrimavano incessantemente, stringeva una bottiglia di vetro al petto, raggomitolata su se stessa. Una scena pietosa.

Non si curò di chiudere la porta dietro di lui e subito si fiondò dalla sua amata per aiutarla, era visibile la sua preoccupazione
«Amore!»
La chiamò sperando che lei fosse ancora, almeno un po', cosciente e non andata del tutto.

Le tolse dalla mano la bottiglia, seppur con difficoltà, poiché lei la teneva salda e quasi scalpitava come una bambina a cui si toglieva un lecca-lecca, lui vinse lo scontro e poggiò il recipiente oblungo sul tavolo di legno. S'inginocchiò davanti a lei e prese il viso tra le mani
«Amore! Hey! Come ti senti?»
Lei quasi lo mangiava con lo sguardo
«Guardami! Guarda, come sto! Sto una merda, Riccardo! Una merda!»
Urlò lasciando che altre lacrime scorressero sulle sue guance.

Il giovane adulto, a quelle parole, sentì il cuore rompersi in mille pezzi, le asciugò le altre lacrime mentre lei singhiozzava rumorosamente
«Amore, ora ci sono io con te»
Le prese le mani ma lei si ribellò a quel tocco
«E cosa me ne faccio io di te?!»
Sbraitò guardandolo nelle iridi nocciola
«Tu non sei mia sorella! Non ho bisogno di nessuno se non di lei! Ho bisogno di lei!».

Disperazione. Nei suoi occhi e nelle sue parole. Gli occhi di Riccardo bruciavano e si riempivano di lacrime al suo discorso
«Ti prego, smettila di bere»
La intimò con la voce rotta dal magone attorno alla gola, lei lo guardò in cagnesco e, con tutta la forza che aveva, lo spinse lontano da lei facendolo cadere col fondoschiena sul pavimento
«Non dirmi cosa fare, cazzo!»
A stento e con la testa dolorante, si alzava dal pavimento e guardava il fidanzato dall'alto
«Mi hai sempre detto cosa fare e cosa non fare, per tutti questi anni! Mi hai sempre comandato a tuo piacimento!».

L'uomo si sentì colpito, come se un proiettile gli avesse perforato il cuore, le sue parole e i suoi gesti erano quel proiettile. Capiva che soffriva e non poteva biasimarla, ma si offese per la sua reazione
«Io non ho mai provato a comandarti!»
Ribatté Riccardo alzandosi in piedi, mettendosi faccia a faccia con lei
«Menti!»
«I miei erano solo consigli!»
«Col cazzo, Riccardo!».

A quel punto lui era sul punto di esplodere, tratteneva a stento le lacrime e non sapeva quanto avrebbe resistito
«Devi smettere di bere»
Scandì ogni parola lentamente, fu un attimo di secondo prima di sentire la guancia bruciare e fargli tremendamente male, poi anche l'altra.

Lei gli aveva appena dato due schiaffi in piena faccia.

Si portò una mano su una delle zone d'impatto e non poté trattenersi ancora dal singhiozzare e lasciare che le lacrime scorressero come un fiume sulle sue guance.

La guardò timoroso, come un cane appena bastonato, deluso, tradito, confuso.

Perché lo aveva fatto? Era davvero arrivata a tanto?

Lui non parlò, lei nemmeno, si guardarono e tutto quello che lui poté fare fu correre via da quella casa.

Nella notte di città echeggiavano i singhiozzi del riccioluto che tornava a piedi a casa, il più veloce possibile, continuando a chiedersi del perché lo avesse trattato così.

Si sentiva meno di zero, della spazzatura senza valore.

La stessa persona che gli faceva toccare il cielo con un dito si era trasformata nel suo inferno. Non s'importò dell'ora tarda, prese il telefono e, velocemente, compose il numero di Gabriel, i secondi che impiegò per rispondere sembrarono secoli infiniti
«Gabi?»
Lo chiamò con la voce rotta dal pianto
«Sei libero? Ho bisogno di aiuto»
Singhiozzò
«Ti prego, ho bisogno di aiuto!».

Vivo Per Lei-Riccardo Di Rigo (Reader Insert)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora