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Mi chiamo Julia Wax ed ero un'abitante di Beehive.

La città si ergeva nel mezzo di un deserto che si estende a vista d'occhio, andando quasi a formare una larga macchia rossa. Una leggenda racconta che la sabbia abbia assunto il colore del sangue per via delle feroci battaglie alle quali è stata costretta ad assistere.

Ma torniamo a noi: Beehive era divisa in quartieri di lusso e quartieri malfamati, collegati unicamente dall'enorme ed imponente Palazzo di Giustizia, il quartier generale del Presidente Keller.

Avevo diciotto anni all'epoca e, come tutti i miei coetanei, aspettavo d'esser sottoposta alla Valutazione.

Non avevo idea di cosa si trattasse, non ci era consentito conoscerne i dettagli; l'unica cosa che contava sapere, era che il test esisteva per selezionare un certo numero di ragazzi da addestrare e trasformare in soldati. La necessità di questa selettiva leva obbligatoria derivava dalle "minacce" degli Assaltatori, gli abitanti aldilà delle mura.

La verità è che non mi ero mai preoccupata molto per la Valutazione, solitamente passavano il test solo in un numero ristretto, quasi che ci fosse una sorta di esclusiva. E di certo, chiunque avesse avuto un po' di sale in zucca, non avrebbe mai pensato di scegliere una come me. Troppo magra, troppo debole e senza un accenno di muscolo. Sarebbe stata una follia!

Tanto meglio. Se fosse dipeso da me, il giorno della Valutazione non mi sarei presentata affatto. Avevo ben altro a cui pensare, ad esempio a come guadagnare da vivere per me e la mia famiglia.

La mia famiglia era composta da una decina di bambini orfani; tra loro c'erano un paio di adolescenti che mi aiutavano a mandare avanti la casa. Esistevano tre orfanotrofi in città e quello in cui sono cresciuta, era il più povero tra tutti. Confinava con "l'Oltretomba", il quartiere più umile del circondario. Si era guadagnato il soprannome a causa del silenzio assordante che proveniva da tutte quelle piccole baracche ammassate le une sulle altre. È strano pensare che in una popolazione formata da non più di qualche migliaio di abitanti potesse esistere ancora la povertà. La verità, però, è che la ricchezza vive sempre sulle spalle della miseria. Non può esistere l'una senza l'altra.

Chi si "occupava" di tutti noi all'orfanotrofio, era una coppia di perfidi anziani: il signor Malacaj e la signora Geltrude. Il vecchio, di solito, se ne stava per i fatti suoi, sbucava solo quando bisognava picchiare i ragazzini più grandi con la cintura di cuoio; la signora Geltrude era una figura onnipresente, altezzosa e crudele, pronta a sbatterti fuori a calci il giorno del tuo diciottesimo compleanno. Non era un mistero che non mi avesse cacciata quando, teoricamente, ne era arrivato il momento. Se non fosse stato per me, probabilmente avrebbe dovuto procurare da mangiare da sola per tutti quanti, lei compresa. D'altro canto, io non potevo neanche lontanamente pensare di abbandonare tutti quei corpicini scheletrici nelle mani dei due boia. Al compimento dei miei diciotto anni, mio malgrado, ero rimasta tra le mura di quella sudicia e polverosa catapecchia. Crollava a pezzi, è vero, ma era comunque l'unica casa che avessi mai conosciuto.

Durante il giorno guadagnavo il pane in un piccolo negozio di alimentari, nei giorni liberi mi occupavo dei bambini della casa. Alcune notti mi capitava di lavorare per un fornaio dall'altra parte della città, dove avevo il compito di preparare l'impasto per pane e dolci. Quello era un lavoro ben pagato. Peccato che avessi ottenuto solo qualche turno al mese: alla classe altolocata non piace avere tra i piedi sporche ragazzine pulciose, nonostante i loro servi fossero stati sempre abitanti dei quartieri poveri; non sia mai che i loro figli indossassero il grembiule da lavoro!

L'attività all'alimentari non era male; il capo, il signor Hamilton, era gentile e mi permetteva di portare a casa tutti i prodotti scaduti che altrimenti sarebbe stato costretto a buttare. La paga era misera, certo. Ma era comunque sempre meglio di niente.

NECTARDove le storie prendono vita. Scoprilo ora