6.

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Tutta quella paura che non avevo provato mentre ero in compagnia di quel ragazzo, la provai nei giorni che seguirono.

Quando tornai a casa mi resi conto di indossare ancora la felpa che mi aveva prestato. Inizialmente mi limitai a sfilarmela e buttarla in un angolo della mia stanza. Poi, quella notte, lo sognai. Mi si presentò come la meravigliosa creatura che mi era sembrata in un primo momento. Poi però, la sua pelle iniziò a sciogliersi lasciando scoperte le ossa. La sua bocca spalancata divenne un profondo buco nero.
Quando mi svegliai ero madida di sudore e scossa da brividi di terrore. Mi cadde l'occhio sulla felpa appallottolata sul pavimento e d'istinto l'afferrai per gettarla nel cestino. Poi mi venne la paura che qualcuno l'avrebbe potuta trovare e, non riconoscendola, mi avrebbe posto delle domande a cui non avrei saputo rispondere. Così la piegai e la nascosi sotto una pila di altre vecchie felpe nel mio armadio. Ma ogni volta che guardavo il mobile mi sembrava che pulsasse, come se cercasse di liberarsene.

Poi iniziarono le paranoie vere e proprie. Continuavo a credere che mi seguisse ovunque, che sapesse dove abitavo, che sorvegliasse anche i miei fratelli.

La paura si intervalla a momenti di quiete. Mi ripetevo che se non aveva provato a farmi del male quando ne aveva avuto la piena possibilità senza essere scoperto, non lo avrebbe più fatto. Magari le sue non erano cattive intenzioni.

Poi, però, ripassavo a mente tutte le lezioni sugli Assaltatori che la scuola aveva impartito agli studenti. Subdoli, sadici, bugiardi, strateghi. Questi erano gli aggettivi che continuavano a propinare alle nostre fiduciose menti; nessuno aveva mai badato molto a quegli  insegnamenti perché, di fatto, di Assaltatori non se ne era mai vista neanche l'ombra. Finora.

Poi iniziò un altro tipo di paura: ero certa dell'alta probabilità che i Correttori mi avessero scoperta e che aspettassero il momento buono per incastrarmi e bollarmi come Dissolta.

La maggior parte erano terrori infondati, lo so. Ma uno di questi si rivelò reale.

Ero in cucina a preparare la cena quando sentii i Correttori che, dal loro carro armato, urlavano frasi sconnesse. Quando uscii dalla porta d'ingresso li vidi marciare in almeno cinquanta davanti al mezzo militare.

– Uscite dalle vostre case. Perquisizione. – diceva nel megafono un Correttore.

Tutta la gente si riversò allarmata per strada. Non era mai successo nulla di simile da ché ne avevo memoria. Michael e Carla uscirono per primi seguiti dai ragazzini più grandi, mentre io passavo velocemente in rassegna la casa cercando Claudia e Georg, i bambini più piccoli. Si erano sicuramente nascosti da qualche parte come facevano sempre quando qualcosa li spaventava. Un Correttore si appostò all'ingresso dell'orfanotrofio incitandomi, non senza minacce, ad uscire. In quel momento trovai i due nascosti dietro ad una lurida tenda del salone. Li afferrai per le manine e li trascinai fuori dalla casa.

Mi tornò in mente il giorno in cui li trovai. Era successo un paio di anni prima quando, come ogni giorno, stavo tornando a casa dopo la scuola. Pioveva a dirotto e, nonostante fosse primo pomeriggio, sembrava notte fonda. Correvo cercando di bagnarmi il meno possibile quando sentii un lamento. Il brutto tempo aveva fatto crollare una baracca dell'Oltretomba e, da sotto le macerie, intravidi una mano muoversi in cerca d'aiuto. Quando riuscii ad alzare un portellone di metallo, trovai Claudia e Georg  immersi in una pozza d'acqua. Li tirai fuori e scavai nelle rovine in cerca dei loro genitori. Trovai solo la madre, morta con un pezzo di lamina a trafiggerle la gola. I bambini, alla vista del sangue, iniziarono a urlare ancor più atrocemente. Li afferrai di peso e li trascinai all'orfanotrofio. I primi giorni furono un'inferno: Geltrude non voleva altre bocche da sfamare e Malacaj correva a picchiarli ogni volta che sentiva i loro piagnucolii sommessi. Andò avanti così fino a quando decisi che li avrei cresciuti io solamente. Li trasferii nella stanza davanti alla mia e lasciai che si infilassero tra le mie coperte tutte le notti. Ci volle parecchio, ma finalmente smisero di avere paura e riuscirono a dormire nella loro camera da letto senza svegliarsi per gli incubi.

La loro espressione impaurita mi ricordò quel giorno e, per un istante, dimenticai che avevo in casa qualcosa di cui preoccuparmi: la felpa. 

Sarebbe potuta passare per una felpa qualsiasi, ma se avessero trovato delle tracce di quella sabbia rossa, avrebbero capito tutto. Avrebbero capito che ero uscita dalle mura. Nessuno lo aveva mai fatto prima, quindi mi chiesi se bollarmi come Dissolta sarebbe bastato per il governo come punizione. Nei miei diciotto anni di vita conoscevo un unico caso di pena di morte: era stata data ad un uomo che aveva aggredito un Correttore. Uscire dalle mura era più grave?

I Correttori si disposero ognuno davanti all'ingresso delle case, affiancati da enormi cani dal pelo corto e nero. Al segnale del loro collega sul carro armato, entrarono di straforo. Ruppero e ribaltarono mobili, distrussero credenze e disseminarono il pavimento di frammenti di tutto ciò che riuscirono a mandare in frantumi.
Il cuore mi batteva all'impazzata e, guardandomi attorno, notai che non ero l'unica ad essere spaventata: qualcuno teneva le mani strette in pugni talmente forti che si potevano vedere le nocche diventare bianche, lo sguardo fisso sui movimenti dei Correttori e le orecchie attente in attesa dell'abbaiare dei cani. E quel momento non tardò ad arrivare.

Per primo abbaiò un cane in una casa in fondo alla via. Il Correttore uscì con in mano qualcosa che non mi fu possibile vedere, ne ammanettò il disgraziato proprietario e lo trascinò nel furgone blindato. Poi toccò a qualcun altro, poi a qualcun altro ancora e così via fino a quando arrivò il turno di un mio vicino dalla parte opposta della strada. Quando il Correttore uscì dalla casa, vidi che teneva in mano un volantino. Allora era quello che cercavano!

Poi accadde qualcosa che non riuscirò mai a dimenticare. Il cane nell'orfanotrofio iniziò ad abbaiare. Aveva trovato la felpa. Lasciai Claudia e Georg affidandoli a Carla, feci qualche passo avanti pronta a consegnarmi e, quando il Correttore uscì, vidi che teneva tra le mani un altro volantino.

Quello non è mio, qualcuno mi ha incastrata! È stato quel ragazzo, quell'Assaltatore! Avrei voluto urlare ma, inaspettatamente, il Correttore andò verso Michael. Mio fratello si lasciò mettere le manette senza protestare.

Tutta la squadra si era allontanata e la gente rientrata in casa; io rimanevo immobile in mezzo alla strada, incapace di riprendermi dallo shock.

NECTARDove le storie prendono vita. Scoprilo ora