66.

784 59 8
                                    

Quella stessa sera, venne organizzato un banchetto nella grande sala circolare della Tartaruga.

Il tavolo rotondo, mi resi conto solo allora, rappresentava un serpente che si mangiava la coda, formando un cerchio senza inizio e senza fine: un uroboro.

La sala profumava di spezie a me sconosciute, di succulente carni arrostite e del dolce della frutta matura.

Lo stomaco brontolò tanto rumorosamente da costringermi ad allungare la mano e afferrare un cosciotto di struzzo.

Dei camerieri vestiti dai colori sgargianti, mi versarono nel bicchiere uno strano liquido opaco.

Mandai giù un grosso boccone e indicai il mio calice.

– Cos'è quella roba? – chiesi, non riferendomi a qualcuno in particolare.

Tutti quanti,Carter, Jack e anche Piros, scoppiarono in una fragorosa risata.

– Quello è sidro di mango. – rispose Liam con tono piatto. Afferrò il suo bicchiere colmo fino all'orlo e trangugiò tutto il liquido senza prendere respiro neanche una volta. Il suo viso rosso, furioso e ferito, rimase impassibile sotto lo sguardo di tutti.

Soffre pensai Lili.

Mi aggrappai al mio bicchiere, pronta a scacciare via quel pensiero prima di dargli il tempo spezzarmi. Appoggiai le labbra sul bordo e, senza pensarci due volte, mandai giù un paio di pieni sorsi. Rimasi sorpresa dall'esplosione di sapori, tanto intensamente aromatici che mi costrinsero a mandarne giù ancora, poi ancora, ancora e ancora. Più la mente e il cuore si alleggerivano, più la caraffa accanto al mio bicchiere si svuotava.

– Forse è il caso di darci un taglio. – decise Carter, afferrandomi il polso prima che potessi raggiungere di nuovo il bicchiere.

– E perché mai? – risposi biascicando – Io mi sto divertendo da matti!

– Si, lo vedo. – disse lui divertito – Ma se non ti fermi, questo tuo divertimento potrebbe diventare un incubo. Puoi credermi. – Concluse con un occhiolino.

– E va bene! – acconsentii poggiando la testa contro la sua spalla – Prometto che ne prendo solo un altro goccio!

– Ah, no! Basta così, davvero! – afferrò il mio bicchiere insieme alla caraffa e li passò all'altra parte del tavolo.

– Come sei noioso! – brontolai.

Le risa e le voci allegre che riempivano la sala, illuminata da gigantesche fiaccole ardenti, vennero interrotte dal tintinnio di una posata contro un bicchiere di cristallo.

Calima era in piedi al centro del tavolo, proprio dove la testa del serpente andava a ricongiungersi con la coda.

– Voglio proporre un brindisi! – esclamò entusiasta. Posò gli occhi su ogni invitato, fino ad incrociare quelli miei e di Carter: – Un brindisi al coraggio, affinché questi due invincibili ragazzi tornino a casa con la vittoria in mano! – esclamò.

Di nuovo quella parola: casa.

Gli invitati alzarono i calici e, dopo averli svuotati completamente, si lasciarono andare ad urla di gioia.

Un paio di ragazzi dalla carnagione scura, afferrarono due enormi tamburi di pelle e cominciarono a battere sopra con le loro grandi mani.

La sala si riempì dalla musica e dallo scalpiccio della gente che ballava sul pavimento in marmo.

– Ho voglia di ballare. – dissi afferrando Carter per la mano.

– Veramente io non credo sia il caso! – tentò di protestare.

– Non fare storie! Muoviti! – lo strattonai per un braccio e lo costrinsi ad alzarsi.

Raggiungemmo il centro della sala e cominciammo a muoverci. Chiusi gli occhi e mi lasciai guidare dal tamburellare ritmico dei due suonatori. La folla ballava senza tregua in un elegante movimento di corpi che si sfiorano e sussurri tra le labbra. Sentii il respiro di Carter sul mio collo, la sua mano tra i miei capelli e le sue labbra sulla mia pelle.

Quando riaprii gli occhi persi l'equilibrio. La grande sala girava vorticosamente su se stessa, il rumore era diventato insopportabile.

– Vieni con me. – Carter mi prese per una mano e mi condusse via dalla baldoria.

Mi fiondai nel primo bagno disponibile e mi liberai di tutto quel sidro che avevo ingurgitato avidamente. Una volta svuotata, la mente era tornata ad essere lucida ma di nuovo pesante.

– Tieni, sciacquati con questo. – disse offrendomi un calice.

Lo afferrai e accolsi nella bocca altro sidro. Sputai con disgusto e mi ripulii con dell'acqua direttamente dal lavandino.

– Sei matto? Non voglio più neanche sentire l'odore di quella roba!

Carter si lasciò andare ad una risata e improvvisamente mi sentii di nuovo leggera.

– Vieni, voglio che tu veda una cosa. – disse porgendomi la mano.

Corremmo lungo i corridoi deserti fino ad arrivare ad uno dei grandi palazzi perimetrali. Salimmo diversi piani di scale a chiocciola e ci ritrovammo all'aperto, sul tetto. L'aria era calda, forse anche troppo, ma quando vidi il paesaggio sotto di noi dimenticai ogni cosa.

La luna donava riflessi argentei alla folta boscaglia a chilometri di distanza sotto di noi. Sembrava un morbido tappeto verde che si estendeva ai piedi de vulcano. In lontananza, riuscii a scorgere perfettamente i profili rossicci delle maestose dune africane.

– È...

– Incredibile? – completò lui.

Annuii intanto che con gli occhi sfioravo il profilo del suo viso, fermandomi poi sulle labbra. Il mio era un richiamo disperato.

Carter infilò le dita tra i miei capelli e, dopo un istante che mi parve lunghissimo, finalmente posò le sue labbra sulle mie.

Era una danza la nostra, una danza del corpo e della mente.

Rimandai al domani ogni pensiero che, con atroce ferocia, cercava di richiamare la mia attenzione.

Quella sera non c'era spazio per Automi, Assaltatori o Beehive.

Quella sera c'era spazio solo per noi, minuscoli sotto la magica grandezza del cielo stellato.

NECTARDove le storie prendono vita. Scoprilo ora