Capitolo 4

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Prendo il mio motorino e inizio a girare per il paese senza una meta. La discussione che ho appena avuto con mia sorella mi ha infastidito perché mi ha fatto tornare alla mente ricordi che ogni giorno cerco di dimenticare. Fino a quando frequentavo le elementari, i miei genitori mi hanno sempre trattato come un principe, ma dopo è finito tutto. Hanno fatto finire tutto.

Crescendo, Sophie ha preso sempre di più il mio posto, fino ad essere la figlia perfetta e io un componente della famiglia poco considerato. Non ce l'ho con lei per questo, non è colpa sua, ma di cose ne sono successe tante e lei... Lei c'entra troppo.

Non appena arrivo al parco, parcheggio il motorino e proseguo a piedi. Non so dove sto andando, mi basta solo prendere una boccata d'aria.

«Ciao Neil!».

Senza accorgermene, mi ritrovo Jonathan davanti che mi sorride. Era da un sacco di tempo che non lo vedevo felice, solitamente aveva sempre qualcosa per cui incazzarsi con me.

«Ciao Jo, come stai?» gli chiedo gentilmente.

«Non mi lamento... Ricordati che domani devi portarmi i soldi».

Annuisco mentre lui mi allunga una sigaretta che non rifiuto.

È passato un bel po' di tempo dall'ultima sigaretta che ho fumato. Non voglio diventarne dipendente, altrimenti dovrei spendere troppi soldi alla settimana e non saprei da dove tirarli fuori. Il giro che mi sono creato come spacciatore, mi permette di vivere tranquillamente, ma non mi permette troppi extra. I miei genitori non mi regalano nemmeno un centesimo, quindi devo fare tutto da solo. È da almeno dieci anni che non vedo un regalo di Natale o di compleanno, quindi mi sono adeguato. Quello che sono diventato è tutto per merito loro anche se non lo ammetteranno mai. Per loro sono solamente il figlio che con l'adolescenza si è perso e non è più riuscito a ritrovarsi, ma sanno che non è così.

Apro il portafoglio e mi rendo conto che questa settimana sia andata meglio rispetto alle altre, infatti ho un bel po' di banconote.

«Se vuoi posso darti i soldi anche adesso» dico a Jo.

Lui mi guarda sbalordito, ma poi accenna una risata.

Ci guardiamo attorno per assicurarci che non ci sia nessuno per poi dargli la somma che gli dovevo. Mi allontano da lui per non dare troppo nell'occhio: molti sanno che cosa facciamo e proprio per questo è meglio farci vedere insieme il meno possibile per non correre rischi.

Continuo a camminare fino a raggiungere la parte del parco più isolata e mi siedo su una panchina.

Adoro questa parte di parco, perché posso starmene tra me e me senza che nessun altro possa disturbarmi. Prendo il telefono per rispondere ai messaggi di questa mattina, tra cui quelli di Gabriel che mi chiede disperatamente cosa ha combinato ieri sera dato che lui non se lo ricorda.

Scrivo ad Ashley per invitarla a casa mia nel tardo pomeriggio, almeno possiamo fare qualcosa.

Mi risponde quasi subito accettando l'invito: è troppo facile giocare con ragazze così.

Riprendo a guardarmi in giro riflettendo su tutto quello che sta capitando in questo periodo.

Penso a mia sorella e alla voglia che avrebbe di riavere suo fratello, proprio come anni fa. Giocavamo tutti i giorni insieme. Ci rincorrevamo per tutta la casa intralciando la mamma mentre cucinava o passando continuamente davanti alla televisione che papà cercava di guardare. L'ho aiutata in qualsiasi cosa: le ho costruito tutte le case di Barbie che riceveva a Natale, l'ho accompagnata all'asilo quando piangeva disperatamente perché voleva rimanere a casa, mi sono preso la colpa per tutti i disastri che combinava. Le volevo un bene dell'anima, non potevo stare senza di lei e lei non poteva stare senza di me.

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