Capitolo 3

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New York, oggi

Alec Lightwood osservò, cupo, lo skyline che si stagliava di fronte a lui, torturandosi le mani dietro la schiena: la causa attualmente in corso gli stava prosciugando la pazienza e tutte le energie a sua disposizione.
La ciliegina sulla torta, in quell'enorme calderone d'irritazione, era che Jace non era ancora rientrato ed era a corto di personale. Lo aveva rimpiazzato provvisoriamente con degli stagisti, che a malapena sapevano trovarsi il sedere, giusto per tentare di tamponare la sua assenza, ma aveva bisogno di lui il prima possibile.
Emise un respiro profondo ed espirò dal naso, spazientito, assottigliando lo sguardo perso nel vuoto.
Gli aveva sbraitato, in più di un'occasione, di tornare perlomeno entro il fine settimana, ma lui faceva orecchie da mercante e rimaneva sul vago quando, durante le loro telefonate, gli chiedeva la data precisa del rientro. Per l'angelo, che ci voleva a pigliare il ragazzino, metterlo su un aereo e riportarlo a casa? Era passata più di una settimana! Cosa cazzo stava combinando in Inghilterra? Il tempo per inviargli delle foto, condite da commenti frivoli e, soprattutto, non richiesti, l'aveva trovato però!
Diede le spalle al panorama al di là del vetro, ficcò le carte che, prima di alzarsi, stava studiando, e su cui stava ammattendo, dentro alla sua valigetta ventiquattrore e si apprestò a lasciare lo studio per tornare a casa.
Uscito dalla stanza, si guardò attorno ed acuì l'udito: niente. Emise un sospiro di sollievo, ma, proprio quando credeva di averla fatta franca, Isabelle lo intercettò all'ingresso.
"Ehi, aspettami!" gli gridò, mentre camminava spedita nonostante la gonna a tubino e i vertiginosi tacchi a spillo.
Alec si bloccò sui suoi passi, sospirò leggermente ed attese che la sorella lo raggiungesse. Non che non amasse lei e la sua presenza, ma aveva la tendenza a diventare estremamente straripante quando riusciva ad agganciarlo.
Tutto quello che voleva fare lui, invece, era arrivare a casa, farsi una doccia e tornare a leggere la documentazione della causa in corso.
"Ceniamo insieme questa sera?" gli propose, allegra. "Simon sta preparando delle leccornie deliziose e.."
"Scusa, ma sono stanco e preferisco andare a casa." la bloccò lui.
Le voleva davvero bene, questo era vero, ma i sentimenti che provava nei confronti del suo fidanzato erano tutt'altra faccenda. Secondo il suo parere, quel ragazzo di modesta estrazione sociale era una palla al piede e non era neanche particolarmente brillante. Alec non aveva davvero idea di cosa ci trovasse la sua bellissima ed intelligente Isabelle in quel nerd noioso ed occhialuto che adorava ciarlare del nulla cosmico. Stare in sua compagnia, anche solo per cinque minuti, gli garantiva sempre un'emicrania fulminate. Non aveva propria voglia, quindi, di doverselo sorbire per un'ora e più.
"Oh andiamo!" protestò lei, prendendolo a braccetto. "Non ti stanchi mai di mangiare sempre da solo, in quell'enorme casa vuota?"
"Non sono da solo." la corresse lui, impassibile. "C'è Hodge." le disse ovvio.
"Per l'angelo, Alec!" protestò lei, con una smorfia. "Come fa a non darti i brividi quell'uomo? Ti fissa senza dire una parola, finchè non hai finito di mangiare! Non lo trovi inquietante?" gli chiese, preoccupata.
Alec fece spallucce. "E' il suo lavoro." rispose laconico.
"Puntarti come un falco, per sparecchiare alla velocità della luce non appena hai ingurgitato l'ultimo boccone, lo chiami lavoro?" scosse la testa lei.
"Lo pago anche per quello, sì." rispose lui, facendo nuovamente spallucce.
Erano arrivati alle proprie auto ed Alec schiacciò il pulsante della chiave per aprire la sua.
"Ok, ci vediamo domani!" le disse, gettando la valigetta dentro l'auto.
Se la salutava velocemente, senza darle il tempo di ribattere, forse riusciva ad evitare le solite lamentele su quanto si frequentassero sempre meno.
"Oh.. ok.." sospirò Isabelle.
La delusione nella sua voce era lampante, ma Alec finse di non notarla. Salì in macchina e partì a razzo, allontanandosi da lei e dal suo broncio infantile, che sfoggiava sempre quando voleva ottenere qualcosa.
Sapeva di essere in difetto ed era consapevole che i fratelli soffrivano del suo atteggiamento freddo e distaccato, frutto di un duro lavoro paterno che l'aveva portato, fin da piccolo, ad agire in modo razionale e privo di emozioni. Loro però non avevano sulle spalle la gestione dell'attività di famiglia nè avevano responsabilità che li opprimevano. Non che Alec si sentisse così.. non sempre almeno (e, anche quando succedeva, reprimeva con forza quei sentimenti dentro di sè).
Ora che il capostipite era morto, Jace ed Izzy lo supplicavano spesso di sciogliersi un po', ma Alec non ne aveva nessuna intenzione. Aveva una routine che viaggiava su binari sicuri e privi di scossoni: casa-lavoro, lavoro-casa. Era un trantran confortante e consolidato che non desiderava modificare.
L'unico svago che si concedeva lo teneva nascosto agli occhi del mondo. Neanche i suoi fratelli ne erano a conoscenza. Soprattutto loro. Alec tremava all'idea che, un giorno, il suo sporco segreto venisse alla luce, distruggendo la sua immagine perfetta.


Londra, oggi

"Ora, dimmi questa a cosa ti serve!" pretese di sapere Jace, sbuffando sonoramente. "Ne hai già messe in valigia dieci! Dieci, Magnus! D.I.E.C.I.!"
"Sei serio?" chiese sbalordito quest'ultimo. "Per Lilith, speravo che, almeno tu, mi capissi!" sospirò sconsolato, scuotendo la testa. "E' sconfortante vedere che sono l'unico, qua dentro, ad avere un minimo di gusto per la moda!"
"Tu quella la chiami moda?" sputò, schifato, Will che era seduto sul letto.
"Taci!" lo apostrofò Magnus. Osservò poi la sua giacca leopardata, oggetto di discussione, con occhi adoranti. "Ohhh, ma chérie, che vuoi che ne sappiano questi due buzzurri di cosa è fondamentale indossare nella vita?"
Jace si guardò attorno, stranito. "Sta.. sta parlando con la giacca?" chiese allibito.
Tessa fece spallucce. "Lo fa spesso. Ci farai l'abitudine!" sorrise, facendogli l'occhiolino.
Il biondo riuscì solo ad annuire, dubbioso.
Era passata più di una settimana e lui si trovava ancora in Inghilterra. Tremava all'idea di rientrare a casa. Era certo, infatti, che Alec l'avrebbe ucciso ed esposto il suo corpo nell'ingresso della società, come pubblico monito per aver osato ignorare i suoi ordini.
Sospirò. Non era colpa sua, ma dell'uomo con la cresta che, in quel momento, era seduto su di una valigia enorme e stava tentando da diversi minuti di chiuderla.. dopo averci ficcato dentro l'intero contenuto di un armadio!
"Magnus, devi lasciare qui qualcosa." gli consigliò Jem.
"Mai!" protestò l'uomo, deciso. "Ho bisogno di tutto. Tutto, capite? Come posso lasciare qui anche un solo capo? E se poi mi serve? No! Devo portare tutti i miei vestiti!" annuì convinto.
"Dovresti noleggiare un aereo privato per riuscire a farci stare tutta quella roba!" lo prese in giro Will.
Magnus lo fulminò con lo sguardo. "Quando avrò bisogno di un tuo parere, stai pur certo che te lo chiederò!" brontolò, mentre saltellava sulla valigia per chiuderla.
Jace si buttò sul letto, a braccia aperte, e lo guardò sconsolato. Non ci sarebbe mai riuscito e, di questo passo, avrebbero messo piede sul suolo americano tra un anno!
"Magnus, la romperai.." gli fece notare Tessa, dopo aver sentito un rumore sospetto provenire dalla valigia.
L'uomo smise di spingere e guardò arrabbiato sotto di lui. "Chiuditi, stronza! Perchè non ti chiudi? Eh?" chiese, riprendendo a saltellare.
Dopo cinque saltelli, un sonoro crac sorprese tutti quanti.
Magnus si alzò, sbalordito. "Non posso crederci! Si è rotta sul serio! Che è? Mi stai forse dicendo che sono grasso? Eh? Guarda carina che sono un fuscello!" esclamò offeso, dandole un calcio.
"Te l'avevo detto io!" sospirò Tessa. "Will, vai a prendere l'altra valigia, mentre Magnus questa volta sceglie davvero cosa portare e cosa no." disse, guardandolo severa.
"Te l'ho già detto! Mi serve tutto e.."
"Magnus non essere ridicolo! Cosa te ne fai di venti paia di jeans? Eh? E di trenta camicie? E le scarpe? Magnus non puoi portarti un centinaio di scarpe!"
"Ma ne ho bisogno!"
"Non è vero! Scegli al massimo cinque cose di tutto e basta!"
Magnus la guardò, spaesato. "Cinque? Ma.. ma.. ma io.. come.. come posso sopravvivere con così poco?" balbettò, "Non so, dimmi di indossare solo le mutande, no?"
"Forse sto per darti una notizia scioccante," si intromise Jace, "ma ti assicuro che abbiamo vestiti e scarpe anche in America eh!"
"Ma ho bisogno dei miei!" rispose petulante l'uomo. "Poi che lì faccia shopping, è un altro paio di maniche!" precisò, sventolando la mano.
"Magnus abbiamo solo un'altra valigia." gli fece notare Tessa, pizzicandosi la radice del naso e sospirando profondamente. "A meno che tu non voglia svuotare quella di Max e farlo poi andare nudo in giro per New York, ti consiglio caldamente di scegliere le cose basilari e basta!"
"Ohhh e va bene!" sbuffò contrariato l'amico. "Ma vi avverto che mi ci vorrà del tempo! E non azzardatevi a mettermi fretta!" puntualizzò, minacciandoli con l'indice.
Dopo tre giorni di sofferenza, grida, pianti e brontolii vari, finalmente la valigia di Magnus era pronta e Jace potè chiamare Isabelle per avvertirla che quel giorno sarebbe tornato a casa.
Telefonare ad Alec era fuori questione. L'aveva contattato il giorno prima e, oltre ad avergli spaccato un timpano con le sue urla, Jace, ad un certo punto, aveva sentito solo silenzio e aveva seriamente pensato che gli fosse venuto un infarto mentre gli stava dicendo che, no, non sapeva ancora quando sarebbe rientrato.
Il biondo ridacchiò, pensando a suo fratello e all'uomo con la cresta che, attualmente, si trovava nella propria camera da letto perchè doveva salutare tutte le sue cose.
Temeva e, allo stesso tempo, agognava l'attimo in cui Alec avrebbe incontrato Magnus: giorno e notte o sole e luna nello stesso luogo e nello stesso momento. Uno spettacolo unico.
"Ok sono pronto!" annunciò Magnus, entrando in salotto, distogliendo Jace dai suoi pensieri.
Quando quest'ultimo lo vide, rise divertito.
"Magnus.." lo ammonì, invece, Tessa.
"Che c'è? Non c'è scritto da nessuna parte che non si può fare!!" protestò lui.
"Oh per l'amor del cielo! Non puoi presentarti all'aeroporto conciato come Bibendum! (ndr. l'omino Michelin) Al check-in ti bloccano di sicuro!"
L'uomo aveva indossato, infatti, quanti più capi possibili e, mentre tentava faticosamente di raggiungere il divano, con gli abiti che gli impedivano di muoversi agilmente, camminava ed oscillava come un pinguino.
"No, ho controllato! Non c'è nessuna legge che lo vieta!" le disse, testardo.
Jace lo studiò, con un grande sorriso sulle labbra. "E come pensi di raggiungere l'aeroporto? Rotolando?" chiese, punzecchiandolo con un dito.
"Sai, fossi in te non farei molto lo spiritoso. Duck Fener è nello zaino di Max, pronto all'uso." ribattè tagliente l'uomo.
Jace e Will sbiancarono nello stesso momento. Magnus aveva scoperto che anche il biondino, proprio come il suo amico, aveva un'enorme fobia per le anatre. Mentre Max stava giocando con il suo pupazzo, infatti, l'americano si era accorto del peluche ed aveva mollato un urlo, che di virile non aveva davvero niente, ed era corso in bagno, chiudendocisi dentro a chiave. Quando Will ne era venuto a conoscenza, era corso da Jace e l'aveva abbracciato stretto stretto, dandogli pacche sulla schiena, felice di aver trovato qualcuno con la stessa paura.
"Ok, allora se sei sicuro di venire via così.. andiamo!" sviò Jace, tentando di riprendere colore.
Magnus annuì convinto, allargando le braccia per permettere a Tessa di abbracciarlo, mentre Max veniva spupazzato dagli zii.
"Fai il bravo!" sussurrò lei, con gli occhi lucidi.
"Quando mai non lo faccio?" sorrise Magnus, abbracciando poi anche i due amici.
"Chiamaci ok?" gli disse Jem. "E comportati bene!"
L'uomo ridacchiò ed annuì nuovamente, mentre un brivido di apprensione, ma anche di eccitazione ed aspettativa, lo percorse tutto.
Tornava a casa.


New York, oggi

Isabelle si alzò sulle punte, tentando di vedere oltre la fiumana di gente che si stava riversando fuori dalla zona arrivi.
"Lo vedi?" chiese a Simon, che era più alto di lei ed aveva meno difficoltà ad adocchiare la criniera bionda di Jace.
"No.. Oh aspetta! Eccolo! Uhm.. no.. non è lui." si corresse, continuando a scrutare la folla.
"Uff! Si può sapere dov'è finito?" si lamentò la ragazza, spazientita.
"Forse ha deciso di posticipare il rientro?" ipotizzò il fidanzato.
"No, me l'avrebbe detto e.."
"Iz, non.. non è lui quello?" chiese Simon, incerto, mentre indicava un biondino che stava arrancando con due bagagli, all'apparenza davvero pesanti, e con qualche vestito gettato sulle spalle e sulla testa.
"S-sì.. almeno credo." rispose Isabelle, osservando sbalordita il fratello.
In quasi vent'anni che lo conosceva, non l'aveva visto mai in versione facchino. Di solito era lui, infatti, a convincere gli altri a fargli da mulo.
Jace arrivò, davanti alla sorella e al cognato, completamente stravolto, scaricando di peso le valigie ai loro piedi.
"Chi cazzo ha inventato i vestiti? Eh?" chiese, esasperato, senza neanche salutarli. "Per l'angelo, l'uomo delle caverne sì che sapeva il fatto suo! Una foglia di fico o qualche pelle di animale e via!"
"Ehm.. tutto ok?" chiese, perplesso, Simon.
"Ti pare che sia tutto ok?" rispose tagliente il biondo. "Ho dovuto trasportare le sue valigie, da ventitre chili l'una.. V.E.N.T.I.T.R.E. chili l'una, già! Ohhh vi state chiedendo "Ma come? Una valigia non è di Max? Come può pesare così tanto la valigia di un bambino?". Beh, ve lo dico io come!! Perchè sua maestà ci ha ficcato dentro altri suoi vestiti, ecco come! Will me l'aveva detto di stare attento, ma no! Io mi sono fidato ed è riuscito a fregarmi alla grande!" esclamò stralunato. "E non è tutto!" continuò, agitando le mani sopra la testa, "Siccome quaranta chili di roba sua non erano abbastanza, ha indossato quanti più abiti possibili. Ci credereste? No? Questa" sibilò, togliendosi una maglietta gialla dalla testa, "l'ha dovuta portare perchè, e qui cito le sue testuali parole, la mia essenza esige questo splendore! Ma vi pare normale? Eh? Poi, visto che rischiava un colpo apoplettico, ha fatto lo spogliarello in aereo e, una volta scesi, me li ha gettati addosso!"
"Ehm.. Jace.." tentò di intromettersi Isabelle, in quel sproloquio senza senso.
"Ah! E non è tutto!! Ci sono anche i due bagagli a mano da otto chili l'uno! Per l'angelo, mi dite cosa cazzo ci fa un uomo con circa sessanta chili di cianfrusaglie? Eh? Ditemi cosa ci fa!" urlò, sull'orlo della crisi isterica.
"Ne ho bisogno!" rispose una voce decisa alle sue spalle. "Smettila di lagnarti!"
Jace digrignò i denti. "Sua maestà!" disse sbrigativo, indicando con il pollice dietro di lui, mentre faceva scrocchiare il collo indolenzito.
Isabelle e Simon guardarono oltre Jace e trattennero il respiro, sbalorditi. Un uomo li stava osservando, sorridendo, mentre sorreggeva due bagagli a mano e decine di vestiti sparsi un po' ovunque.
Magnus mollò le due valigie ed afferrò la mano di Isabelle. "Magnus Bane. Enchanté!" le disse, baciandole la mano.
"E' mia sorella. Ed è fidanzata." lo apostrofò Jace, osservandolo truce e con le mani sui fianchi.
Magnus liquidò la protesta sventolando la mano.
"Isabelle Lightwood!" si presentò, ridacchiando divertita.
Quel tipo le piaceva ed era uno degli uomini più belli che avesse mai visto: alto, moro e con i capelli tirati su in una cresta colorata d'azzurro, pelle caramellata, truccato, pieno zeppo di chincaglieria ad orecchie, collo e mani (in un angolo della sua mente, la ragazza si chiese distrattamente quanto ci avesse impiegato per togliersi e rimettersi tutto al momento del passaggio sotto il metal detector) e vestito con degli abiti talmente aderenti che tanto valeva girasse nudo, visto quanto poco spazio lasciavano all'immaginazione.
"Ehm.. Salve! Sono Simon, il suo fidanzato!" esclamò il ragazzo, comparendo nel loro campo visivo.
"Piacere di conoscerti, Samuel!" sorrise Magnus.
"Ehm.. Simon. Mi chiamo Simon.."
L'uomo liquidò la lamentela con un'altra sventolata di mano.
"Dov'è Max?" chiese di punto in bianco Jace, sbiancando e guardandosi attorno. Oh cielo, il bambino! Dov'era finito il bambino? Non erano ancora usciti dall'aeroporto e l'avevano già perso!
"Tranquillizzati biondino!" esclamò Magnus. "Si sta facendo insozzare di bava da quel cane." disse, indicando il figlio che rideva beato mentre un grosso terranova nero lo leccava con entusiasmo. "Maaax! Dobbiamo andare!" lo chiamò.
Suo figlio salutò l'enorme bestione e corse in direzione del padre, fiondandosi poi tra le sue braccia.
Magnus lo sollevò. "Ok, non baciarmi ancora, per favore!" rise. "Salviette umidificanti!" ordinò poi a Jace, porgendogli la mano perchè gli consegnasse quanto richiesto.
"Ti sembro la tua domestica?" chiese stizzito quest'ultimo.
"Per Lilith, sei una lagna continua! Su, muoviti! Sono dentro allo zaino di Max." sbuffò, rivolgendosi poi ad Isabelle. "Ma fa sempre così? Si lamenta per ogni cosa!"
Isabelle era troppo concentrata a guardare il bambino, per dar retta ai due adulti che stavano battibeccando. "Per l'angelo! E' davvero Alec in miniatura!" sussurrò.
"Tzè! Mio figlio è molto più bello!" decretò Magnus, prima che Jace spiazzasse tutti con un urlo scioccato, mollando poi di peso lo zaino ed allontanandosi da esso come se ne andasse della sua stessa vita.
"Che c'è?" chiese preoccupata Isabelle.
"Scusa biondino! Avevo dimenticato che là dentro c'è Duck Fener." sghignazzò Magnus. "Il pupazzo a forma di papera di Max." spiegò alla ragazza che osservava sempre più perplessa il fratello.
"Ti odio!" sibilò Jace, rosso in viso, continuando a mantenersi ad una certa distanza dallo zaino.
"Ohhh sappiamo entrambi che, in realtà, sei pazzo di me!" rise l'uomo, scoccandogli un bacio con le dita e soffiandolo nella sua direzione.
Mentre Jace inorridiva, Magnus pensò che, tutto sommato, non era poi così male tornare a casa.

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