Capitolo 5

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"E' grande!" esclamò Max.
"Già." concordò il padre.
"Molto grande!"
"Già."
"Davvero, davvero grande!"
"Sì, mirtillo, hai espresso perfettamente il concetto!" sorrise Magnus, al suo fianco, mentre guardavano, ad occhi spalancati, l'enorme tenuta della famiglia Lightwood che si profilava davanti a loro.
"Per quanto dobbiamo restare qui?" chiese Max, continuando a guardarsi attorno, meravigliato.
"Per un po'.." rispose, evasivo, il padre. "Sarà divertente, vedrai!" esclamò, sperando di non lasciar trasparire ansia ed agitazione.
"E' qui che vive il signor Lightwood?" chiese il bambino.
Si rifiutava categoricamente di chiamare papà lo sconosciuto che abitava in quella casa grandissima. Era stato scioccante scoprire che Magnus, in realtà, non era davvero suo padre, ma a Max non importava. Il suo papà era l'uomo che, in quel momento, gli stava tenendo la mano e non uno che non aveva mai visto. Lo amava immensamente e non ne voleva un altro diverso da lui.
"Sì! E ci ha invitati a stare a casa sua per qualche settimana!" gli rispose suo padre. "Pensa a quando lo saprà zio Will! Morirà d'invidia!"
Max ridacchiò, ma un'ondata di nostalgia lo travolse quasi subito. "Mi mancano tanto tanto gli zii, papi!"
Magnus abbassò lo sguardo sul figlio. "Mancano anche a me! Dopo li chiamiamo, mh?" sorrise, arruffandogli i capelli.
Il bambino annuì e seguì docilmente il padre, che si stava dirigendo verso la casa.
Un uomo li stava attendendo ai piedi di una scala che dava su un grande portico.
"Signor Bane, signorino Lightwood.. benvenuti! Sono Hodge Starkweather, maggiordomo di casa Lightwood."
"Salve!" lo salutò Magnus, allungandogli la mano.
"Ciao.." disse Max, osservando l'uomo da dietro la schiena del padre.
Hodge osservò perplesso la mano di Magnus, non sapendo come reagire all'inusuale gesto di cortesia. Per lui, infatti, quella mano tesa, che attendeva pazientemente di essere stretta dalla sua, era una novità. Da quando lavorava in quella casa, non era mai successo che qualcuno, proprietari od ospiti che fossero, gliela stringessero a mo' di saluto.
Magnus, notando l'indecisione del maggiordomo, non si fece problemi ad afferrargli la mano e stringerla saldamente
"E' un piacere conoscerti, Hodge! Ti prego, chiamami Magnus!" esclamò, sorridendo.
Hodge, per la seconda volta, fu preso in contropiede. Anche in questo caso, non aveva mai dato del tu a nessuno in quella casa. Era una confidenza a cui non era avvezzo.
"Oh.. signor Bane.. ecco.. vede.. n-non credo che.."
Magnus lo interruppe, sventolando la mano ed incurante di quelle balbettanti proteste. "Sciocchezze! Lui invece è Max!" sorrise nuovamente.
"Signor Bane, non credo sia il caso.."
Magnus gli sorrise nuovamente e fece spallucce. "Se ti senti più a tuo agio con questo signor Bane.. vada per signor Bane!" scosse la testa divertito.
Hodge si ritrovò inaspettatamente a sorridere ed annuì. Il signor Bane era l'uomo più strano e particolare con cui aveva mai avuto a che fare. Gli piaceva.
"Questi signori si occuperanno delle vostre valigie." li informò, facendo poi un cenno ai due uomini che stavano attendendo di fianco a loro. "Se volete seguirmi, vi mostrerò le vostre stanze!"
Hodge fece far loro un piccolo giro della casa, conducendoli infine nelle loro camere da letto, una adiacente l'altra. Anche queste, proprio come tutto il resto, erano grandi e maestose. Per deformazione professionale, Magnus analizzò minuziosamente ogni dettaglio e annuì compiaciuto al termine dell'ispezione: tutto era impeccabile e di buon gusto.
Prima che Hodge si congedasse, per permettere loro di rinfrescarsi e disfare le valigie, Magnus lo bloccò.
"Ehi Hodge! Iceberg quando torna?" chiese, mentre osservava il panorama che poteva ammirare dalla sua finestra.
"Ehm.. chi?" domandò Hodge, disorientato.
"Il padrone di casa!" spiegò.
Solo i lunghi anni di esperienza accumulati, che gli avevano permesso di crearsi un bagaglio professionale di tutto rispetto, permisero al maggiordomo di non scoppiare a ridere. Sarebbe stato un gesto davvero poco elegante, oltre che sconveniente, visto che il signor Bane stava parlando del suo datore di lavoro.
"Il signor Lightwood dovrebbe arrivare per cena, che sarà servita alle otto."
Magnus annuì, ritenendosi, per il momento, soddisfatto. Aveva tutto il pomeriggio per preparare Max a quell'incontro.

Le nuvole correvano veloci nel cielo, che si stava tingendo, minuto dopo minuto, sempre più di nero. Max sapeva che, tra non molto, si sarebbe scatenato un temporale con i fiocchi, ma non gli importava.
Seduto sul largo davanzale della sua stanza, con la fronte appoggiata al vetro freddo della finestra, il bambino osservava il paesaggio sottostante: un viale, che conduceva fuori dalla tenuta, si snodava oltre un piccolo ponte di pietra, che sormontava un laghetto, e finiva dentro ad un bosco fitto.
Max sospirò, triste. Era arrivato da neanche due giorni, ma erano stati più che sufficienti. La casa era davvero bella, i signori che ci lavorano gli sembravano gentili, ma lui non voleva restare là. Voleva tornare in Inghilterra. Gli mancavano i suoi amici. E gli zii. E la signora Green, l'anziana vicina di casa, che lo accoglieva sempre nella sua piccola cucina e lo rimpinzava di latte e biscotti. Lì, in America, invece, si sentiva un pesciolino fuori dall'acqua.
Da quando era arrivato, non aveva ancora conosciuto il signor Lightwood. Hodge gli aveva detto che, purtroppo, questo non era stato ancora possibile perchè l'uomo era molto impegnato con il lavoro e quindi arrivava tardi la sera ed usciva prestissimo la mattina. Max però sapeva che era una scusa, non era stupido.
La conferma l'aveva avuta neanche un'ora prima, quando aveva origliato la conversazione telefonica che suo padre stava avendo con zia Tessa: tratteneva a stento la rabbia, ma sapeva che era rivolta verso il signor Lightwood.
Anche Max era arrabbiato. Con il signor Lightwood, ma anche con suo padre.
Il primo perchè non manteneva la parola data. Non che gli importasse, in realtà, ma visto che suo padre sembrava tenerci particolarmente al fatto che lui e il signor Lightwood si incontrassero, allora quest'ultimo era finito direttamente nella lista dei cattivi.
Con il secondo perchè gli aveva mentito e non credeva sarebbe mai stato possibile. Suo padre gli aveva detto che sarebbero rimasti in quella casa per un po', facendogli credere che, prima o poi, se ne sarebbero andati. Invece, mentre suo padre parlava con zia Tessa, aveva scoperto che c'erano alte probabilità che, sì, suo padre se ne sarebbe andato, mentre lui non avrebbe più lasciato quella casa. Odiava l'idea di separarsi dal suo papà. Era una cosa inammissibile.

"Ok, abbiamo ancora due settimane per riuscire a trovare qualcosa, qualsiasi cosa, per vincere questa causa. Non possiamo permettergli di farla franca!" dichiarò Alec, sbattendo un pugno sul tavolo. Gli avvocati, presenti nella stanza, annuirono convinti. "Dobbiamo.."
Maia Roberts, la segretaria di Alec, entrò come un fulmine nella sala riunioni, senza neanche bussare ed interrompendo il suo capo. "Avvocato, la signorina Loss mi ha pregato di consegnarle questo messaggio." gli disse trafelata, allungandogli un foglietto di carta.
"Grazie, signorina Roberts." rispose Alec, scocciato per quell'interruzione.
Tornò a guardare i presenti, pronto a riprendere la riunione, ma Maia si schiarì la gola e proseguì il suo discorso, ignorando apertamente la sua occhiataccia.
"Avvocato.. la signorina Loss si è raccomandata di dirle che è urgente." ribadì la segretaria, notando come l'altro avesse gettato il biglietto sul tavolo, senza dargli alcuna importanza.
Alec alzò gli occhi dalla pagina del fascicolo che stava sfogliando e la guardò, aggrottando la fronte.
"Davvero urgente." continuò Maia, decisa.
L'uomo sbuffò ed agguantò il foglietto, dando una rapida occhiata al contenuto. Una volta letto il messaggio, imprecò con veemenza e si alzò di scatto, sotto lo sguardo incuriosito dei fratelli e degli altri collaboratori.
"Devo andare!" comunicò, senza ulteriori spiegazioni, precipitandosi fuori dalla porta e lasciando tutti attoniti.
Salì velocemente in macchina e partì sgommando, tentando di accelerare il più possibile, per quanto traffico e condizioni meteo glielo permettessero. La pioggia, infatti, scendeva fitta ed Alec faticava a vedere l'asfalto.
Sfrecciò lungo la strada fino ad arrivare alla tenuta e gli bastò un'occhiata per rendersi conto che era in subbuglio: le luci della casa erano tutte accese ed un via vai di gente entrava ed usciva dall'ingresso principale.
Alec scese dall'auto e Hodge lo accolse, scusandosi ed informandolo di cosa era successo.
"Lo abbiamo cercato ovunque, ma sembra scomparso nel nulla. Abbiamo messo a soqquadro la casa e il giardino, ma niente. Sono terribilmente spiacente di averla disturbata, signore, ma quando non l'abbiamo trovato, ho detto a Catarina di avvisarvi."
"Avete guardato nella scuderia?" chiese Alec, togliendosi i capelli bagnati dalla fronte.
"Sì, signore!"
"Nel boschetto?"
"Sì, ma nessuno l'ha visto."
Alec entrò come una furia in biblioteca, pronto a redigere un piano per risolvere la situazione, ma i suoi occhi furono subito catturati dall'immagine sfocata, a causa della pioggia, del lago che si stagliava fuori dalla finestra ed un brivido gli attraversò la schiena.
Hodge seguì il suo sguardo e sussurrò, a disagio, "N-non abbiamo ancora iniziato le ricerche lì.."
"Dov'è il signor Bane? Devo parlare con lui!" ordinò Alec ed Hodge uscì dalla stanza per andare a cercare l'uomo.
L'avvocato tornò a guardare il lago, preoccupato. E se fosse stato là dentro? No, non era possibile. Era appena arrivato.. non poteva essere già morto!
Imprecò. Il cielo solo sapeva se non aveva cercato di rispettare la promessa fatta quasi due anni prima: aveva riportato a casa il ragazzino, salvando apparenze e discendenza. Questo era tutto ciò che era stato disposto a fare, ma, a quanto pare, il destino trovava particolarmente piacevole accanirsi su di lui.
Dei passi concitati lo fecero voltare. Hodge e Catarina Loss, governante di casa Lightwood, erano fermi sull'uscio ed avevano l'aspetto di due che stavano per essere condannati a morte.
"Dov'è il signor Bane?" chiese Alec, accigliandosi.
"A.. a quanto pare è ancora fuori a cercarlo, signore." mormorò Hodge, sbiancando.
"Lì fuori?" si stupì Alec, indicando l'apocalisse che si stava svolgendo all'esterno dalla finestra.
La pioggia, infatti, aveva iniziato a scendere con maggiore intensità, mentre il brontolio di un tuono manifestò la presenza del temporale che si stava per scatenare.
"Gli abbiamo detto di non muoversi.." sussurrò il maggiordomo, dando un'occhiata a Catarina.
La ragazza ricambiò lo sguardo, in modo eloquente. "Non siamo riusciti a fermarlo, signore. Ci abbiamo provato, ma era fuori di sè per l'agitazione e non faceva che correre avanti ed indietro, come impazzito."
"Quando è uscito?"
I due dipendenti si guardarono, preoccupati.
"Poco prima di mezzogiorno.." ammise Catarina.
"Sono passate ore!" tuonò Alec. "Qualcuno sa dove è andato? Qualcuno l'ha sentito da allora?"
Hodge e Catarina scossero simultaneamente la testa.
"Dannazione!" urlò l'uomo. "Hodge, manda qualcuno a controllare nei dintorni fuori dalla tenuta. Catarina chiedi agli altri collaboratori se ricordano qualche luogo che il signor Bane o il ragazzo hanno nominato. Forse sono andati là!" ordinò, dirigendosi velocemente fuori dalla stanza.
"Dove sta andando, signore?" chiese Hodge, perplesso.
"A cercarli!" rispose secco, prendendo un impermeabile asciutto e l'ombrello.
Si diresse senza indugio verso il sentiero che circondava il lago, mentre vento e pioggia gli sferzavano ferocemente il corpo, perchè era l'unico posto che, al momento, gli veniva in mente.
Mentre marciava a passo spedito, sentì invaderlo una rabbia improvvisa. Dannazione! Perchè si stava preoccupando per quell'uomo? Era tutta colpa sua e dei suoi occhioni verdi-dorati! Se non si fosse lasciato convincere, a quest'ora il ragazzino sarebbe stato sotto la stretta sorveglianza dei suoi dipendenti, dopo essere stato a scuola, mentre lui sarebbe ancora nel suo studio, all'asciutto, e non bagnato fin dentro le ossa, alla ricerca di due sciocchi che avevano deciso di sfidare madre natura proprio in uno dei suoi giorni più temibili.
Arrivò finalmente al boschetto e si precipitò sotto le fronde degli alberi, trovando un riparo accettabile. Ansimò pesantemente, scrutando al di là dei tronchi, alla ricerca di un qualsiasi indizio che potesse indirizzarlo sulla giusta direzione, ma pioveva troppo per vedere qualcosa.
Un rumore di rami spezzati lo fece voltare su se stesso e si ritrovò davanti Magnus che lo guardava con occhi spiritati. L'uomo era un disastro: la sua pelle caramellata era spenta e opaca, il trucco era stato quasi completamente lavato dalla pioggia ed aveva i capelli e gli abiti appiccicati addosso e che grondavano acqua.
"Signor Bane!" gridò spaventato Alec, facendo un balzo all'indietro.
"Lo avete trovato?" chiese Magnus.
Alec scosse la testa. "Non ancora."
La luce di speranza, che si era accesa negli occhi dell'uomo, si spense nuovamente e si girò in fretta per riprendere la sua ricerca.
"Signor Bane, aspetti! Dove vuole andare?" chiese Alec, sbigottito, agguantandolo per un braccio.
Lo sguardo folle dell'uomo era rivolto verso il prato che si spandeva a vista d'occhio dopo il boschetto.
"Signor Bane, le assicuro che troveremo il ragazzo. Ora, per cortesia, torniamo a casa."
Magnus, ignorando le sue parole, si divincolò con uno strattone dalla sua presa ferrea e ritornò sotto la tempesta.
"Oh per l'angelo! Si rende conto che è pura pazzia?" fece appena in tempo ad urlargli, prima che l'uomo inciampasse e cadesse rovinosamente a terra.
Alec imprecò e si affrettò a soccorrerlo, ma Magnus, nonostante tremasse come una foglia e fosse bagnato fradicio e sporco di fango, ignorò la sua mano tesa e si rialzò da solo.
"Ma è assurdo!" gridò Alec, gettando le mani in aria, esasperato, mentre inseguiva l'altro che era ripartito in quarta, senza degnarlo di uno sguardo. "Signor Bane, per l'amor del cielo! Si fermi!" gli disse, riacciuffandolo per un gomito e facendolo girare verso di lui.
Magnus si scostò malamente i capelli dagli occhi e gli lanciò un'occhiata fulminante. "Mollami!"
"No! Deve tornare a casa! Si prenderà una polmonite!"
"Che ti importa?"
Alec perse la pazienza. "Signor Bane, che le piaccia o meno, è mio ospite e quindi la sua salute e la sua incolumità sono affar mio!" ribattè arrabbiato.
"Ma per favore!" sputò Magnus "Mio figlio è sparito! Ed è tutta colpa tua!" urlò, mentre le lacrime si mescolavano alla pioggia che continuava a bagnargli il viso.
"Mia???"
"Sì, è sparito.."
"E' scappato, vorrà dire."
".. perchè tu, grandissimo imbecille che non sei altro, non hai neanche voluto conoscerlo. E' spaventato, si trova in una nuova casa, circondato da persone sconosciute e con un nuovo padre che non vuole nemmeno vederlo!"
"Non le sfiora minimamente l'idea che forse, in realtà, non ha un minimo di disciplina?" ribattè, acido, Alec.
Gli occhi di Magnus dardeggiarono. "Non osare! L'ho educato come meglio ho potuto e.."
"Magari non così bene, come crede!"
Magnus strinse violentemente i pugni. "Se ti diverte così tanto insultare me e Max, prego! Fai pure! Ma non starò un altro secondo di più ad ascoltarti. Lo troverò e giuro sul mio onore che lo riporterò con me in Inghilterra. E' chiaro che non ti interessa niente di lui. Se l'avessi saputo prima, non l'avrei mai condotto qui!"
L'uomo riprese a camminare verso l'ignoto, lasciando Alec da solo, ad imprecare contro se stesso e contro quell'individuo così testardo e caparbio.
"Signor Bane!" urlò, inseguendolo.
Magnus continuò spedito, come se non l'avesse udito, ed Alec dovette correre per raggiungerlo e riagguantarlo nuovamente per un braccio.
"Signor Bane, le chiedo scusa." disse Alec, piazzandosi di fronte all'altro. "Sono stato davvero scortese."
"Non ho tempo per ascoltare le tue patetiche scuse." ribattè stizzito Magnus, tentando di liberarsi dalla presa ferrea dell'altro.
"E io non ne ho per discutere con lei. Devo cercare il ragazzo!"
"E allora vai!" gridò Magnus, esasperato.
"Non finchè lei sarà qui fuori con il rischio di ammalarsi."
"Non è di me che ti devi preoccupare. Max è.."
"Max è la persona che avrà più bisogno di lei, quando verrà trovato." lo interruppe Alec. "Pensi a come si sentirà, quando verrà riportato a casa e non la troverà ad attenderlo. La prego, signor Bane!"
"Ma.. m-ma io non posso stare con le mani in mano! Devo cercarlo!" rispose Magnus, angosciato.
"Signor Bane, le giuro che lo troverò. Conosco come le mie tasche questo posto. So fin dove può essersi spinto e dove sono i nascondigli dove potrebbe essersi rifugiato, ma ho bisogno di sapere che lei è al sicuro. A casa."
Magnus non rispose ed Alec interpretò il suo silenzio come un assenso. Strinse le dita attorno al suo polso e lo ricondusse nel boschetto, al riparo dalla pioggia, dandogli l'ombrello e togliendosi anche l'impermeabile per metterglielo addosso. Non che sarebbe servito a molto, ma almeno non si sarebbe bagnato più di quanto già non fosse.
"Mi promette che va diretto a casa?" chiese l'avvocato, posandogli delicatamente le mani sulle spalle. "La prego, signor Bane."
Magnus annuì, lo sguardo basso e sconfitto.
Alec lo fece voltare e lo indirizzò verso il sentiero che l'avrebbe ricondotto a casa.
Magnus si voltò un'ultima volta. "Trovalo.." lo supplicò.
"Ho giurato che lo farò ed intendo mantenere la mia parola." gli garantì.
Non aveva mai infranto una promessa.

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