Capitolo Otto - Un amore da film anni '80

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Stavo percorrendo il tunnel che collegava l'aereo con l'aeroporto di Vancouver, quando sentii due braccia avvolgersi alle mie spalle.

Mi voltai di scatto, trovando Brandi dietro di me. Con l'espressione imbronciata, mi fissava come se aspettasse che facessi qualcosa.

«Che c'è?» le domandai, mentre mi toglievo quel fastidioso cappellino e staccavo il velo dal colletto della camicia.

«Che c'è?!» ripeté sconcertata. «Vuoi dirmi cosa cavolo è successo ieri sera? Mi hai lasciata in sospeso prima» mi spronò a continuare il mio racconto, iniziato alla partenza e interrotto dal momento in cui una bambina aveva deciso di vomitare in mezzo al corridoio dell'aereo.

Si pensa che andando a lavorare per una compagnia come la Emirates ed essendo addetti alla prima classe, si possano evitarsi certi inconvenienti. E invece è anche peggio.

«Ci sei andata a letto?» mi domandò, con gli occhi sgranati e un sorrisetto furbo. La frangia che le ricadeva morbidamente sulla fronte e quei due ciuffi più lunghi ai lati, che le incorniciavano perfettamente il volto rotondo.

«Oddio, no. Cavolo, no che non ci sono andata a letto. Non dico che non sopporto una persona e poi cinque minuti dopo me la porto sotto le lenzuola. Nemmeno uno sexy come lui» risposi prontamente.

«Però ci saresti voluta andare a letto» canticchiò, superandomi con un passo saltellato.

Scossi la testa, divertita dai modi teatrali con cui Brandi faceva ogni cosa. Adoravo come non si preoccupasse mai di niente e facesse sempre quello che le passava per la testa.

«Questo non l'ho mai detto» cercai di difendermi, aumentando il passo, per non restare troppo indietro. Ma la mia mente tornò automaticamente indietro alla sera prima, al corpo di Ashton in quella divisa bagnata e poi stretto in quei vestiti fin troppo piccoli per lui. Alle sue mani grandi e dalle dita lunghe, ai lineamenti marcati del suo viso e a quegli occhi magnetici.

Dannazione, sono umana anche io.

Fisicamente era ovvio che fossi attratta da lui, ma, andiamo, chi non lo sarebbe stato.
Il problema si presentava a livello mentale, perché non poteva esserci persona più lontana di lui da quella che era la mia idea di vita.

«Non serve che tu me lo dica. Lo vedo da come lo guardi, quell'affascinante, tenebroso e... ma cosa cazzo?!» le sue parole si bloccarono e il suo tono di voce cambiò radicalmente.

Volevo capire anche io cosa stesse succedendo, perciò mi affrettai ad affiancarla. Quando arrivai rimasi a bocca aperta, completamente senza parole.

Harold si trovava in mezzo alla sala in cui i passeggeri si sedevano per aspettare l'apertura dei vari gate.

Vestito con un paio di blue jeans larghi, una maglietta lunga bianca, con una grossa stampa sul davanti e un cappotto marrone. Ai piedi delle Nike vintage, un paio di scarpe che mai gli avevo visto indossare prima.

Era sempre così elegante, vederlo vestito in quel modo contribuì ad aumentare il mio stupore.

Teneva le braccia tese sopra la testa e tra le mani stringeva un vecchio stereo grigio, uno di quelli che funzionavano con le cassette.

I capelli biondi stranamente spettinati e nonostante avesse un'espressione seria dipinta in volto, i suoi occhi mi sorridevano.

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