Capitolo Diciassette - Baguette e Omelette

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Mi svegliai, rigirandomi sotto il soffice piumone bianco, con un impellente bisogno di fare pipì.

Arricciai il naso e con ancora gli occhi chiusi sbuffai. Sarei rimasta volentieri ancora qualche minuto avvolta da quel piacevole tepore. Ma non potevo, se non mi fossi alzata subito avrei rischiato di farmela addosso e volevo davvero evitare quello spiacevole inconveniente.

Mi stiracchiai leggermente, tirandomi a sedere e poggiando i piedi su quel parquet in legno chiaro. Guardai la vecchia sveglia posta sul comodino, segnava le cinque e trentotto.

Ormai non ero più capace di dormire ad orari normali, con il lavoro che facevo, la notte e il giorno non avevano più alcuna distinzione.

Poteva capitare che attaccassi a lavorare alle quattro di mattina e andassi a dormire alle tre di pomeriggio. Oppure che mi addormentassi alle nove di mattina e mi dovessi svegliare alle sette di sera per prendere un volo.

Ma era la vita che avevo scelto di fare, era uno dei miei sogni, avere un lavoro che mi permettesse di viaggiare. Ed ero riuscita a realizzarlo.

Non era ciò che avrei fatto per il resto della vita, perché non era un impiego che una persona poteva fare per sempre. Ma era ciò che avrei fatto fino al compimento dei miei ventisette anni e poi mi sarei reinventata per l'ennesima volta.

Magari io e Brandi avremmo potuto davvero aprire quello studio di design che tanto desideravamo. O magari mi sarei trasferita da qualche parte in Asia, a Seul o a Tokyo, e avrei lavorato per una multinazionale, come ciò che pensavo di fare quando mi ero iscritta all'università.

Chi poteva saperlo, lo avrei scoperto solo con il tempo, perché non mi piaceva fare programmi.

Uscii da quella che era la mia camera da letto in quel grazioso appartamento. Attraversai il salottino, caratterizzato da arredi vintage e poi finalmente andai in bagno.

Dopo una lunga pipì e qualche minuto di riflessione sul senso della vita nell'universo, fatto lì, seduta sul gabinetto, mi sciacquai la faccia. Sapevo che tanto non sarei più riuscita ad addormentarmi e non mi andava di prendere i miei sonniferi, perché sennò mi sarei svegliata ore e ore dopo, perdendo tutta la giornata.

Tornai nel salotto, notando subito un bigliettino, poggiato sulla superficie di quel tavolo da pranzo rettangolare.

"Sono le due di notte e sto sgattaiolando fuori casa come una perfetta adolescente ribelle. Esco con lo studente smielato, non credo che mi troverai lì quando ti sveglierai"

Lessi quelle prime righe, grattandomi il capo e sbadigliando. Scossi poi la testa, stupendomi, per l'ennesima volta, di quanta voglia di vivere e di divertirsi avesse Brandi.

"Ma tranquilla, ho già pensato a tutto per farmi perdonare. Vai al bar che sta esattamente davanti alla funicolare di Montmartre, alle otto in punto"

Conclusi quel messaggio, lasciato scritto velocemente su un pezzetto di carta.

Inevitabilmente mi domandai che cosa potesse aver organizzato la mia migliore amica. Ogni volta che mi faceva una sorpresa tendevo ad avere sempre paura.

Brandi era imprevedibile, amava scherzare e soprattutto le piaceva farmi impazzire.

Cercai di non fasciarmi troppo la testa, immaginando che mi avrebbe offerto una buona colazione e poi saremmo andate a vedere la basilica del Sacre Coeur.

Ancora in pigiama e con i capelli arruffati, decisi di prepararmi un caffè. Lì in Francia avevano quelle bellissime macchinette elettriche, quelle che funzionavano con la cialda e ti facevano un caffè corto, ma mille volte più buono rispetto a quello americano.

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