Capitolo Quattordici - New York, New York

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Strade affollate, grattacieli imponenti e negozi di lusso.

Questo voleva dire solo una cosa: io e Brandi eravamo appena atterrate a New York.

«Quanto ha detto che dobbiamo restare qui?» domandai, fermandomi un attimo nel mezzo dell'aeroporto per togliermi quel dannatissimo cappellino con velo annesso. «Sai, quando Lacy inizia a parlare stacco completamente il cervello» aggiunsi poi, sorridendo e riprendendo a camminare.

«Due giorni» rispose Brandi. «Adoro quando dobbiamo recuperare le ore fatte in più e ci tocca fermarci in città del genere» aggiunse, nell'esatto momento in cui uscimmo da quel gigantesco aeroporto.

«Un altro capodanno sul volo di ritorno» appurai, alquanto contenta. A differenza del Natale, una festa che adoravo, quella di capodanno non la sopportavo proprio. Non mi piacevano i fuochi d'artificio, non mi piaceva il riversarsi nelle strade delle persone e nemmeno il fatto che venisse usata come scusa per ubriacarsi e fare casino, dando fastidio agli altri.

Per questo davo sempre la mia disponibilità per lavorare in quei giorni. Io stavo a casa per Natale e le mie colleghe si godevano il capodanno. Eravamo tutte contente così.

Non era la prima volta che andavamo a New York -e di certo non sarebbe stata nemmeno l'ultima- ma ogni volta era come finire nella città dei sogni. Tutto sembrava sempre avvolto da una strana magia, capace di stupirti e farti sentire in un altro mondo.

Gli imponenti grattacieli si ergevano in lontananza, dandoci un assaggio di quello che ci avrebbe aspettato da lì a poco. La macchine riempivano le strade, la gente riempiva i marciapiedi, c'era un gran trambusto e io mi sentivo già estremamente felice di essere lì.

Alzai un braccio, sporgendomi sulla strada e chiamando un taxi giallo. «Al Radisson Hotel, sulla quinta strada» mi rivolsi all'uomo alla guida, poco prima che Brandi chiudesse lo sportello e si accomodasse accanto a me su quei sedili in pelle nera abbastanza consumata.

«E comunque, questa cosa che la Emirates ci paga tutti i luoghi dove alloggiamo mi sembra ancora assurda» commentò la mia migliore amica, recuperando uno specchietto dalla borsa e osservando la sua immagine riflessa.

«Hai ragione, non mi abituerò mai al fatto di alloggiare in lussuosi hotel senza dover poi fare il conto a fine giornata e restare al verde» risposi, perdendomi con lo sguardo fuori dal finestrino e osservando ogni dettaglio della città.

Stavamo lasciando la periferia ed entrando nel centro, da lì a poco -traffico permettendo- ci saremmo ritrovate nel mezzo della vie di Manhattan. E io sapevo già che non avrei perso tempo e mi sarei subito fiondata a fare shopping sfrenato. Il fatto che alloggiassimo in un hotel proprio sulla quinta strada non avrebbe di certo aiutato il mio portafogli.

Ma, ehi, ero a New York. Non si doveva far caso a quei piccoli problemi lì. Ci avrei pensato una volta tornata a casa.

Dopo aver pagato il tassista, esserci sistemante nella nostra stanza, aver ammirato l'interno di quello splendido hotel e perso più di due ore per scegliere cosa indossare, io e Brandi eravamo finalmente riuscite ad uscire.

«Siamo a New York da neanche cinque minuti e hai già comprato un paio di scarpe da quattrocento dollari» mi fece notare la mia migliore amica, nell'esatto momento in cui uscimmo dal negozio di Jimmy Choo.

«Cos'avrei dovuto fare? Camminare attorniata da queste vetrine stupende e non spendere nulla?» domandai retoricamente, facendo ondeggiare quel grosso e pesante sacchetto. «Sarebbe stato un crimine» aggiunsi poi, sorridendo e dirigendomi verso il negozio di Prada.

«Ferma! Prima di continuare il tuo shopping sfrenato ho bisogno di un caffè» Brandi mi afferrò per il polso, trascinandomi dietro di lei, in direzione di un grazioso baretto con i tavolini fuori.

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