Capitolo Dodici - Pillole di dolorosi ricordi

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Ashton

Avevo il fiato corto.

Ero decisamente fuori allenamento.

Il sudore continuava a colarmi sulla fronte e sul petto nudo. Ma non mi fermai, spostai, con un movimento della testa, il ciuffo di capelli che mi si era posato davanti agli occhi.

Proseguii imperterrito a tirare pugni a quel sacco da boxe nero e ormai malmesso.

Dovevo scaricare la tensione e quello era l'unico modo che conoscevo.

Avevo passato la notte in bianco, dopo quella specie di bacio avvenuto con Willow, la mia mente aveva iniziato a tormentarmi.

Ero praticamente scappato, voltandole le spalle e lasciandola lì. Non avevo avuto nemmeno il coraggio di dire qualcosa o guardarla negli occhi. Perché, per un attimo, avevo ricambiato quel bacio.

Non era una cosa da me.

Non ero uno che si lasciava andare, soprattutto con una persona con cui avevo litigato fino a due giorni prima.

Incapace di spiegarmi come fosse potuto succedere, continuavo a tormentarmi e colpevolizzarmi di essere stato incoerente con me stesso.

Anche se quella volta, a casa sua, avevamo passato una piacevole serata, questo non aveva mai significato un grosso cambiamento nel nostro rapporto. Sì, avevamo imparato a parlare civilmente, ma da lì a baciarci non c'era stata una mezza misura.

La cosa mi spaventava.
Mi spaventava parecchio.

Tutti i miei timori, le mie ansie, causate dalle tante esperienze brutali che avevano costellato la mia vita, erano tornate a perseguitarmi tutte in una volta.

E io non sapevo cosa fare, ero nel panico più totale.

Una volta dopo essere uscito da quella villa, senza avvisare Benjamin o Edwin, e aver raggiunto casa nostra, mi ero chiuso in camera mia.

Seduto per terra, con la testa tra le mani e i gomiti poggiati sulle ginocchia. Mi sembrava di non essere più capace di respirare, di avere come delle mani che mi stringessero la gola, sempre di più, fino a strangolarmi.

E quando il ricordo di quanto accaduto in Iran si fece più vivido nella mia mente, persi completamente il controllo.

Ero scoppiato a piangere senza nemmeno rendermene conto e non avevo le forze di alzarmi da quel pavimento.

Perciò non mi era rimasto altro da fare, se non utilizzare, per la milionesima volta, le tecniche che mi avevano insegnato all'addestramento.

Avevo iniziato a guardarmi attorno e a catalogare ciò che mi circondava. Contai cinque cose che potevo vedere, come l'armadio, dritto di fronte a me. Quattro cose che riuscivo a toccare, tastai il soffice piumone blu, che copriva interamente il mio letto matrimoniale.

Mi concentrai poi sui rumori, udendo il suono di un clacson in lontananza, le lancette del mio orologio da polso e le risate di un gruppo di ragazzi.

Passai poi ad individuare degli odori, beandomi del profumo di ammorbidente che le mie lenzuola pulite emanavano e di quello alla cannella, proveniente dal diffusore per ambienti.

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