The Time I've lost

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"Nel profondo del suo cuore, aspettava che accadesse qualcosa. Come i marinai naufraghi, rivolgeva uno sguardo disperato alla solitudine della sua vita, nella speranza di scorgere una vela bianca tra le lontane nebbie all'orizzonte... Ma non accadeva nulla; Dio voleva così! Il futuro era un corridoio oscuro e la porta in fondo era sbarrata."

Un sospiro, l'ennesimo della sua vita. Oramai persino leggere un libro era diventata un'impresa audace. Perché gli autori, indeterminatamente dall'epoca di appartenenza, avevano quest'assurda fissazione con il destino? E soprattutto, a quale delle diverse analisi, svolte su quell'unico concetto, avrebbe dovuto dar conto?

Ogni individuo è fautore del proprio avvenire, o semplicemente tutto è stato prestabilito, rendendo l'essere umano un'entità passiva, costretta nello scorrere degli eventi fino alla fine dei suoi giorni?

Eren proprio non riusciva a venirne a capo, ma una cosa era certa: che la sua vita fosse andata avanti in base alle scelte prese o meno, questa era stata costellata da una serie di delusioni e insoddisfazioni, portandolo addirittura a non riuscire a terminare "Madame Bovary".

E magari il suo stato lo avesse ridotto unicamente ad avere problemi con Flaubert.

Quando la campanella suonò, annunciando l'entrata di qualcuno nella vecchia caffetteria, posò distrattamente il libro nella borsa, alzando poi il capo e sorridendo flebilmente al suo migliore amico. Il ragazzo si fece largo tra i pochi tavoli di legno, facendo un cenno al proprietario che conosceva entrambi perlomeno da dieci anni, sedendosi poi nel posto libero.

«Hai una faccia di merda.» lo salutò con un ghigno divertito. Normalmente Eren avrebbe risposto a tono, chiamando Jean con uno dei tanti appellativi che era riuscito a guadagnarsi nel corso degli anni; questa volta non lo fece. D'altronde sapeva perfettamente di non essere al meglio di sé, gli specchi a casa sua non erano certamente di legno e quella mattina aveva avuto modo di osservarsi, scoprendo il riflesso di un fantasma: pallido come un lenzuolo, occhi dannatamente spenti e contornati da aloni scuri, capelli più ingarbugliati del solito.

Si sentiva stanco, dannatamente stanco.

«Eren, che ti prende?» gli domandò a quel punto l'amico, mentre il sorrisetto lasciava spazio ad un cipiglio preoccupato.

«Niente, sto bene, Jean.» mormorò solamente, di certo non aveva intenzione di passare le prossime ore ad assillare l'amico con i suoi problemi.

«Tu che perdi occasione per insultarmi? Non me la racconti giusta.» indagò a quel punto.

«Che c'è? Mikasa ti ha influenzato con le sue manie di preoccupazione, dopo il matrimonio?» chiese a quel punto, provando a prenderlo in giro per sviare la questione.

«Non cambiare argomento! E soprattutto non parlare di Mikasa, sai che non ti conviene.» lo apostrofò il biondo, incrociando le braccia in attesa di una risposta.

«Che vuoi che ti dica?» chiese in un sospiro, affondando poi nella tazza di caffè bollente, riuscendo a trarre un minimo di sollievo dalla bevanda scura.

«Non lo so! Potresti iniziare con lo spiegarmi perché non passi più per casa, oppure la ragione per cui sei sparito.» disse aspramente, alzando un braccio per richiamare l'attenzione della cameriera. Un attimo di silenzio, composto unicamente da una sfida fatta di sguardi da cui il castano ne uscì perdente, abbassando le iridi verdi sulle sue mani screpolate.

«Avevo bisogno di riflettere.» biascicò solamente, ma ormai aveva ben inteso che l'altro non l'avrebbe lasciato in pace, non prima di fargli sputare fuori il rospo, almeno.

«È per-» si azzardò a chiedere, ma quella domanda non trovò mai la sua conclusione.

«No!» lo interruppe subito con un grido acuto, quasi strozzandosi con il caffè. Forse era stata una reazione un po' eccessiva, ma non aveva né la voglia, né la forza necessaria per sentire quel nome. Non dopo tutti gli sforzi, seppur vani, fatti nell'ultimo anno per rimuoverlo dalla sua memoria. Jean gli dedicò un'occhiata scettica, ordinando un succo di frutta all'ananas senza perderlo di vista nemmeno per un istante. Eren comprese bene le sue intenzioni: lo stava studiando, cercando di captare un qualsiasi segnale di menzogna tradito dalla sua espressione. Mikasa lo aveva addestrato bene.

Snow Doesn't Give a Damn [Ereri/Riren]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora