Capitolo 2

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Mi accasciai sulle catene che mi tenevano prigioniero, la forza del fuoco che scorreva nelle mie vene sopita dalle droghe che mi iniettavano ogni singolo giorno

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Mi accasciai sulle catene che mi tenevano prigioniero, la forza del fuoco che scorreva nelle mie vene sopita dalle droghe che mi iniettavano ogni singolo giorno. Fu così che non sentii i passi della ragazza, l'ombra che ne avvolgeva la figura esile ed un cappuccio ad incorniciarle il viso; quando si chinò su di me sussultai, pronto a ricevere una frustata o una qualsiasi altra punizione del genere, ma lei si limitò semplicemente a sedersi affianco a me. Notai che la cella era aperta ma non potevo raggiungere quella via di fuga, legato come un salame ed imbottito di sonniferi vari. Perché ero ancora una persona normale e non un tossicodipendente?
"Ciao Embris, come stai?"
La guerriera del Nord. Mugolai, stordito, mentre la ragazza sospirava e mi appoggiava una brocca alle labbra:
"Bevi questo, ti sentirai meglio."
Seguii il suo ordine e la mia mente si schiarì, il mio potere che ruggiva vittorioso e si preparava a colpire...
Ma lei non era il nemico. Calmai il mio istinto e annuii, facendo capire alla mia alleata in incognito che ero abbastanza lucido per parlare:
"Quali notizie mi porti?"
"La ragazza di cui ti parlavo è qui, alla corte. Purtroppo il Sultano la sorveglia costantemente, deve aver intuito che il suo spirito libero potrebbe compromettere la loro alleanza."
Io sorrisi, un'immagine offuscata che si formava nella mia mente: vedevo quella ragazza come una stella cadente, quella scintilla di pura luce stellare che avrebbe liberato me e il mio popolo dalla tirannia, che ci avrebbe condotti verso spiagge sicure e avrebbe cacciato il Sultano dal suo regno a qualsiasi costo. Bastava una piccola goccia a scatenare la sua furia, e io sapevo perfettamente come aiutarla...
"Come si chiama?"
Lisa sorrise, beffarda, sedendosi sul pavimento sporco della cella e dimostrandomi ancora una volta di non essere la solita nobile schizzinosa, di essere una donna affidabile che conosceva il mondo con tutte le sue accezioni negative:
"Isidea Yard."

"Posso chiederle di concedermi questo ballo, signorina?"
Era esausta, spaventata, disgustata quasi da quella marea di nobili con turbanti e tuniche tipiche dei nomadi. Cercò con lo sguardo la sua guardia del corpo e la trovò vicino alla porta, lo sguardo vigile che la cercava tra la folla, una paura inconscia che si faceva strada nel suo sguardo per ogni singolo secondo in cui non riusciva ad individuarla; alla fine Isidea riuscì a congedarsi dall'uomo che le aveva chiesto di ballare e corse dal suo guardaspalle, appiccicandosi a lui e tirandolo per la manica nel tentativo di farlo abbassare, sussurrandogli all'orecchio con lo sconforto che animava le sue parole:
"Devo uscire di qui, questa festa mi sta uccidendo!"
Solo in quel momento si accorse di quanto fosse giovane la guardia, un ragazzo che semplicemente era cresciuto così in fretta da superare persino gli uomini adulti in altezza: studiò i suoi lineamenti giovanili, tesi nello sforzo di inventare qualche scusa plausibile per portarla via di lì, ma l'arrivo del Sultano gli impedì di proferir parola senza destare sospetti.
"Qualcosa non va, principessa?"
"Vorrei prendere una boccata d'aria, qua dentro fa molto caldo e non riesco a sopportarlo a lungo."
L'uomo ghignò in un modo quasi elegante, ma ormai la ragazza si era resa conto che tipo di persona fosse e lo temeva, distorcendone i tratti e spaventandosi ogni volta che le offriva un'espressione del genere.
"Seguitemi, signorina, voglio mostrarvi qualcosa."
Le offrì un braccio che Isidea accettò a malincuore e la condusse fuori dalla sala, la guardia che li seguiva in un silenzio contemplativo e che cercava con lo sguardo una qualsiasi via di uscita per salvare la sua padrona... Ma quel labirinto di pietra sembrava non avere fine, così il ragazzo rinunciò e si limitò ad accompagnare i due nobili dovunque volessero andare.
Fu il Sultano a rompere il silenzio, la sua voce roca che riempiva i corridoi e faceva trasalire Isidea:
"Volevo chiedervi se conoscete i concetti di schiavitù e servitù, signorina."
Isidea scosse la testa, siccome quei termini non li aveva mai sentiti usare nella terra di Oltremare, e il Sultano le offrì una breve spiegazione che le gelò il sangue.
"La servitù è composta da tutti coloro che servono i nobili in un modo più privato, come ad esempio durante le pulizie mattutine o servendogli la cena durante i banchetti; ogni singolo nobile ha un suo servitore personale, il prediletto, oltre ad un gruppo di servitori secondari che svolgono funzioni altrettanto... Delicate."
"E la schiavitù?"
"La schiavitù è qualcosa di molto più complesso: è il trattamento che riserviamo ai prigionieri di guerra e ai criminali, privandoli della loro libertà e costringendoli a svolgere le attività più pesanti, come il lavoro in miniera o, in certi casi, la ricarica delle armi magiche durante un combattimento."
Isi frenò di colpo, andando a sbattere contro il petto della sua guardia e impallidendo ancora di più: quale tipo di arma necessitava una ricarica? E quale animale immondo poteva trattare in quel modo un altro essere umano, come se fosse un oggetto senza alcun diritto?
Un pensiero orribile si insinuò nella sua mente e la principessa, con un filo di voce, cercò la conferma alle sue paure:
"Dove mi state portando?"
"Nelle segrete, mia cara. State per incontrare l'arma più potente che il mio popolo possa mai offrirvi."

Aveva voglia di scappare, di rifugiarsi tra le braccia di suo padre, di piangere fino a finire le lacrime per lo spettacolo che aveva davanti: un ragazzo più o meno della sua età si trovava in una cella, la più angusta che avesse mai visto, con sbarre di ferro freddo e il pavimento sporco di... Non osava neanche immaginare di cosa.
La testa del povero ragazzo era reclinata, gli occhi spiritati che fissavano il soffitto e la bocca leggermente aperta, i capelli in uno stato pietoso e il corpo magro che metteva in risalto le costole; Isidea si voltò verso il Sultano, arrabbiata, mentre la sua guardia del corpo estraeva la spada e si metteva cautamente tra loro:
"Che cosa gli avete fatto? PERCHÉ É IN QUESTO STATO?"
"L'abbiamo catturato in uno dei miei territori, faceva parte di un'insurrezione che io ho facilmente estirpato..."
Il Sultano si sistemò il colletto con nonchalance, facendo infuriare ancora di più Isi.
"...Ma lui è speciale. Riesce a domare i Destrieri del Fuoco e a cavalcarli."
La giovane rimase sconvolta: aveva sentito parlare di quei meravigliosi cavalli, col manto scuro come la notte e all'apparenza semplici bestie da soma, ma nel cui cuore giaceva un frammento di sole, una piccola fonte di calore dalla quale poi scaturivano fiamme rosse come il sangue, ispiratrici di un nome tanto semplice quanto meraviglioso.
Secondo ciò che le era dato sapere, però, quelle bestie erano indomabili e nessuno era riuscito a cavalcarle senza bruciare vivo.
"Non posso crederci... Ma questo non giustifica la sua condizione!"
"Nel deserto, a volte, devi sottomettere il più forte per sopravvivere. Ci sono diversi modi per dominare la gente come lui, alcuni dei quali vi piacerebbero ben poco." E quel maledetto ghigno brillò di nuovo alla luce delle torce, la spada della guardia che ne rifletteva tutta la crudeltà. "Ed è proprio questo il motivo per cui vi ho portato cui: se voi riuscirete a sottometterlo io manderò in aiuto di vostro padre il più grande esercito che si sia mai visto. Lo giuro sulla mia stessa vita."
Isidea rimase senza parole, fissando il prigioniero che non mosse neanche un muscolo, sordo a tutto quello che accadeva intorno a lui.
"Perché proprio io?"
Il Sultano le voltò le spalle e iniziò ad avviarsi verso le scale, prima di voltarsi un'ultima volta e abbassare lo sguardo sulla spada ancora sguainata della guardia.
"Perché irradiate gentilezza e onestà da ogni poro, signorina: se nella corte questo rende la vostra posizione precaria, quel ragazzo mezzo morto ne rimarrà incantato. E la seduzione, vi posso garantire, è una delle poche cose che permette alle donne di controllare gli uomini... Buona notte."

Le voci che sentivo erano offuscate dalle droghe, i miei cinque sensi in subbuglio per quella presenza davanti alla mia porta. Non potevo vederla in modo chiaro, sì, ma quei capelli rossi combattevano contro la nuvola che minacciava di oscurarmi la vista, quella vocina spaventata ma piena di rabbia che mi faceva ribollire il sangue. Isidea...

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