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«Dimmi che stai scherzando» dico, sconvolta, ad un Ashton che annuisce disperato. Mi sta raccontando di come molte volte Luke si porti delle ragazze in camera e chiuda la porta, lasciandolo fuori. Ultimamente sparliamo un sacco di Luke, inizio a pensare che Ashton abbia una cotta per lui. Non sarebbe poi così improbabile, per quanto possa essere snob, è un ragazzo molto bello.

«Tra poco ho gli allenamenti» esclamo. Sono contenta, perché da quando sono iniziate le lezioni, il coach ha diminuito le ore di allenamento giornaliere da tre a una e mezza. «Finalmente».

Ad Ashton il basket non piace, dice che non è uno sport interessante, lui preferisce di più il baseball. Io non commento, anche se vorrei, perché ognuno ha i suoi gusti. Tammy e Aline odiano il basket, a loro piacciono solo i ragazzi della squadra, eppure fanno finta che gli piaccia così da poter venire ad assistere agli allenamenti. Continuo a negarglielo, ma loro non demordono.

«Il mio professore di analisi è molto inquietante» cambio discorso, mentre passeggiamo fino alla sua classe. Ashton fa fisica, ma alcuni professori li abbiamo in comune. «Mi ricorda molto un gatto quando si deve stiracchiare».

I professori universitari sono molto diversi da quelli del liceo, li vedi lì con i loro completi mentre ti guardano con gli occhi di chi sta cercando il prossimo genio da svendere alla stampa. Sono sicura non sia realmente così e che, anzi, siano tutti molto disponibili, ma pensarla in questo modo mi diverte.

«Non l'hai ancora visto mentre corre da una parte all'altra dell'aula» dice Ashton, ridendo e presumibilmente ricordando i vecchi tempi in cui anche lui aveva questo professore. «Una volta con dei miei amici contavamo quante lavagne scrivesse in un'ora».

Non avevo mai pensato al fatto che tutte le volte in cui io e Ashton ci incontravamo, lui era sempre solo. Mi chiedo se non fosse successo qualcosa con questi amici di cui parlava.

«Ehi, ti sei incantata?» mi richiama e si, mi ero incantata. Scuoto la testa e mi rimetto a camminare verso l'aula. «Sei strana quando ti incanti».

«Io mi incanto sempre, ogni volta che succedeva Dave mi faceva una foto e la aggiungeva ad una specie di collezione. Ne avrò così tante in così tanti luoghi diversi che nemmeno me le ricordo tutte» racconto, poi mi rendo conto che in due settimane non avevo mai parlato ad Ashton di Dave. «Dave è un mio amico» spiego, usando la versione corta. Non sono in vena di confessioni oggi.

Ashton alza gli occhi al cielo ma poi sorride. Il suo sorriso è contagioso.

«Sono arrivato» dice, indicando un'aula arancione proprio davanti a noi.  «Ci vediamo dopo per il solito caffè post sudata?»

Il caffè post allenamento insieme ad Ashton è una delle mie cose preferite della giornata, perché stiamo due ore a parlare di Calum Hood e del suo sedere da atleta. Roba da museo, ve lo dico io.

«Certo, solito posto, solita ora» lo saluto e vado via, verso la mia aula.

Nessuno degli amici che ho trovato da quando sono qui è in corso con me, Aline studia scienze naturali e Tammy non ha niente a che vedere con il polo scientifico di questa facoltà.

In aula mi siedo sempre al solito posto, un po' indietro ma abbastanza avanti per seguire bene le lezioni. Il fatto di non avere nessuno con cui chiacchierare in classe giova alla mia reputazione di studentessa sempre attenta. La mia tendenza all'essere troppo sociale di solito mi causava richiami e visite dal preside, ai tempi del liceo. Intorno a me c'erano tre persone, ma nella mia fila fortunatamente ero sola. Dico fortunatamente perché uscire a fare la pipì quando hai il mondo intorno è sia scomodo che anche un pochino imbarazzante.

Raggiungere il campo da basket non è mai stato facile come oggi, ci ho messo così poco tempo che oltre a me, in palestra, c'è solo il coach.

«Keller» mi saluta, con un gesto strano della mano. Sono ancora convinta di non piacergli molto. «Vatti a cambiare che facciamo due tiri individuali» dice, e sorpresa da questa richiesta, corro negli spogliatoi.

Sono ancora da sola, nessuno dei miei compagni si è degnato di presentarsi, normalmente penserei che manchino di serietà, ma oggi possono fare tutto il ritardo che vogliono.

«In che squadra giocavi, al liceo?» mi chiede il coach, dandomi indicazioni su come riuscire a tirare meglio.

Prima che potessi rispondere, la porta della palestra si apre e il capitano fa il suo ingresso in campo come solo qualcuno di molto fiero può fare.

«Ehi Mag» mi fa un cenno con la testa, prima di raggiungermi di nuovo con la divisa addosso. «Ammettilo che stai cercando di fregarmi il ruolo in questa squadra» dice, fronteggiandomi. La differenza di altezza tra di noi non è mai stata un problema per me, sono bassa da tutta la vita.

«Certo, a questa squadra serve un capitano che non arrivi in ritardo» dico, alzando le spalle e provocando al coach una risatina.

«Non ha tutti i torti, la ragazza» commenta poi quest'ultimo, sbuffando, prima di alzarsi e uscire dalla palestra.

Guardo Calum con aria di sfida, sorrido sotto i baffi per tutto il tempo, lui è così bello che per non cedere e distogliere lo sguardo devo fare più fatica del normale. Alla fine, arrivano anche gli altri e tutto questo gioco finisce. Calum mi lascia un ultimo, caldissimo, sorriso prima di voltarsi e accogliere i suoi giocatori.

Ora del decesso: 15.08.

flowerish; 5sosDove le storie prendono vita. Scoprilo ora