2. perderei la testa per te

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Tante piccole cose.
Facevamo il bagno e tu alzavi sempre la mano perchè ti facessi tuffare sopra le mie spalle. Oppure mi abbracciavi sott'acqua: questo non lo ricordo bene, forse era solo un sogno.
Però mi sitringevi forte mentre eravamo in bici, in due, io a pedalare e tu a sopportare il culo schiacciato sul portapacchi.
Penso che se solo potessi, perderei la testa per te.
-L

Venerdì, 17 Giugno

"Posso chiederti una cosa?"
Federico sistema la macchina fotografica dentro una valigia insieme al treppiedi e richiude le fibbie di metallo placcato in oro. Fanno un tac strano.
"Tutto quello che vuoi, a patto che non sia un altro rullino."
Sorridiamo insieme e vedo che ha gli occhi stanchi.
Dovresti riposare, sai?
"Chi era quella ragazza?"
Mi mordo l'interno della guancia quando Federico assume un tono serio e contratto del viso. La sua camicia nasconde due aloni di sudore sotto le ascelle.
"Una cagacazzi, a farle i complimenti." -sospira, riponendo il valigiotto di pelle nell'armadio- "Sono mesi che cerca di contattarmi per chiedermi di farle il buon nome da qualche parte."
Mi cammina incontro, girandosi tra le dita la pennetta con le foto appena scattate.
"Mail su mail, telefonate su telefonate.. Vorrebbe lavorare, questo l'ho capito, non sono mica scemo. Ma lo sai.." chiede, strizzandomi un occhio.
"Se qualcuno troppo vuole, nulla stringe." gli ripeto in una cantilena, come ha fatto mille e una volta lui.
Federico sorride come un padre e mi carezza la guancia. Mentre lo fa, penso che nessuno sarà mai come lui.
"Appena torno a casa, invio tutto a Theo." -dice stremato stropicciandosi l'occhio verde- "L'ultima volta mi diceva che aveva bisogno di foto per riempire la sezione pubblicità di questo mese, quindi penso che ne userá più di una."
Incrocio le dita e Federico mi imita, lasciandomi un bacio sulla guancia e un sussurro che sa di "Tanti auguri, Ludo".
Ripercorro le scale a ritroso, salutando la statua con le sue lacrime di marmo, l'altra con la lucina rossa e il simpatico ficcanaso della segreteria. Mangia una mela mentre mi saluta con la mano e gli occhi troppo in basso rispetto ai miei.
Disgustoso.
Rabbrividisco, ma l'aria fuori s'è scaldata e la pelle mi ritorna liscia in un battito. La farmacia segna ancora 17/06, poco prima di cambiare la schermata in 12.48.
Lo stomaco mi brontola come se si fosse svegliato ora: lancio un'occhiata sotto gli occhiali da sole, con la scritta Douglas del negozio di fronte che mi riflette sulle lenti. Il bar dall'altro lato dello studio fotografico macina il caffè come un vecchio treno a vapore e il puzzo di buono misto a farina mi maltratta le narici.
Dalla vetrata i tavoli sembrano più grandi di come in realtà appaiono dentro, poi mi ricordo che non c'è nessuno a farmi compagnia, così alzo una spalla e mi siedo al bancone.
"Desidera?"
"Una brioche salata e un succo all'ananas, grazie."
La donna acconsente e si pulisce le mani sul grembiule nero con la scritta Bar 748, poi afferra le pinze e adagia la brioche su di un piattino di porcellana. Il cloc del tappo della bottiglia mi ricorda la valigia di Federico.
Federico.
Penso a lui, così giro la testa e la vedo: è seduta accanto a me e sta fissando il mio croissant.
"Un'accoppiata un po' strana, ma giuro che son buoni." le dico come se dovessi giustificarmi.
La ragazza alza gli occhi dal bancone e mi fissa spaesata. Penso a quanto sia ridicolo che non sappia ancora come si chiami e a quanto siano assurdi i suoi occhi spenti.
Lei sembra riconoscermi solo ora e invece di rispondere, richiude la bocca e dá una scrollata alle spalle. Ora poggia i gomiti sul piano e si ingobbisce sul suo caffè macchiato.
Io odio il caffè macchiato.
"Potrò sembrare indiscreta, ma.." -abbasso il tono di voce- "Cosa ci facevi lá?"
La ragazza corruga la fronte e tiene lo sguardo fisso sulla macchina delle granite che gira.
"Non credo siano affari tuoi." e mentre lo dice, sento il profumo della Toscana che evapora dal suo accento.
"Pensavo di poterti aiutare, sai, io.." -penso se dirle o meno di essere un abituèe in quello studio, oramai, poi capisco che a me non farebbe piacere tutta questa autocelebrazione ingiustificata- "Lascia stare, scusami per prima."
Addento la brioche e copro il suo viso con il bicchiere: quando mando giù, lei guarda la macchina delle granite in modo diverso.
"Sono mesi che spero di fare un colloquio, ma niente. Nessuna risposta alle mail, alle telefonate, niente di niente." -sbuffa- "Non cerco popolarità, voglio solo trovare un lavoro che sfrutti la fortuna di sentirmi bene con il mio corpo."
E in un attimo penso che mi abbia rinchiusa in una sola frase, quando dicevo alla mamma non voglio le copertine, má, voglio solo poter vivere di qualcosa che so fare bene. E io so essere felice di me stessa più di qualsiasi altra cosa.
Ma quella non era spocchia, era solo fortuna.
"Hai provato a mandare qualche foto? Di solito apprezzano se gli fai risparmiare tempo."
"Non devo più provare." -controbatte finendo il caffè- "Non ha alcun servizio da offrirmi."
La guardo volendole chiedere perchè, poi m'imbambolo a osservare il piercing al naso che brilla sotto la luce.
"Dice che ho troppi tatuaggi."
Ora le guardo la rosa che le colora metá coscia: il resto del disegno è coperto dai jeans.
"A me piacciono."
"Cosa?"
"I tuoi tatuaggi." -mi viene da dirle senza pensare davvero- "Per quanto possa valere."
La ragazza ride e lo fa davvero, per la prima volta. I denti le squarciano la bocca e gli occhi si nascondono in due semicirconferenze che sorridono.
"Aurora, comunque." e mi tende la mano, quella tatuata.
"Ludovica."
"Lo so." -ammette un po' vergognosa- "Ti ho vista in qualche servizio della rivista."
Aurora - fa strano chiamarla per nome, ora - sistema i capelli dietro l'orecchio mentre fruga nella borsa. I secondi scorrono lenti mentre m'accorgo di avere gli occhi fissi sulla cinghia che le passa tra i seni aderenti alla canotta aragosta.
Quando posa gli spicci sul bancone, le gote mi vanno già a fuoco.
Cosa cazzo sta succedendo.
"Grazie per essere stata l'unica ad averci almeno provato." sussurra, salutandomi con la mano.
Si alza dallo sgabello e vedo qualcosa volarle via dalla borsetta. Rimango a fissarlo immobile per tutto il tempo che lei impiega per andarsene, con gli istanti che ritornano a fluire abissali.
Sento il cuore che mi batte.
"Vuole qualcos'altro o è a posto così?"
Guardo la cameriera e mi viene in mente solo una cosa: raccolgo il fogliaccio un po' stropicciato.
Forse è Venerdì 17 per tutti.

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