15. un altro cane

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Scusate l'attesa, spero ne valga la pena.

La prima volta in cui ho avuto paura di perderti sapeva di piscio rancido. Io avevo tirato la corda tutta la sera, eppure tu sembravi pronta a mettermi le ginocchiere non appena rischiavo di cadere.
Mi guardavi da lontano, cercando di conoscermi meglio, mentre le sigarette di Barbara ti facevano la corte. Io ero attenta a dove mettere i piedi per fare una buona impressione su di te, finché la corda s'è sfilacciata e tu, che non ci avevi davvero pensato, ti sei sbucciata le ginocchia al posto mio.
Se ci ripenso meglio, di quella sera ricordo solo gli odori: il tuo, buono, e quello stomachevole delle pareti del bagno. Poi l'odore sterile del vuoto allo stomaco mentre ti scorgevo andare via dietro i ricci di Barb. L'idea di averti persa era rimasta ad accarezzarmi la guancia per un po', come fanno le mani dei passanti con i cani che gli si avvicinano. Io ho accoccolato lo zigomo contro di lei e prima che potessi farci l'abitudine, quella era già andata a far felice un altro cane.
-L

Giovedí, 23 Luglio

Il ventilatore fa un rumore piacevole mentre agita le pale. Somiglia tanto a quel ronzio che sento prima di addormentarmi e non ha niente a che vedere con il baccano che fanno le zanzare.
"Ti lascio l'ultimo pezzo?"
Sbatto le ciglia come se fossero ali e mi accorgo di aver lasciato la stanza da qualche minuto. Federico sorride sotto i baffi alla francese e allunga la lingua per ficcarsi la punta della fetta in bocca. Mentre mastica, il pomodoro gli esce un po' dagli angoli delle labbra.
"Ci stai ancora pensando." dice con tono compiaciuto. Adesso vorrei che me lo avesse chiesto, invece di esserne così sicuro.
"Forse."
Mi accoccolo contro il palmo della mano e lascio sprofondare la testa sul cuscino. Federico si pulisce i polpastrelli con alcuni tovagliolini di carta, beve dalla lattina e sposta il sedere un po' più avanti sulla poltrona.
"Beh, io ti avevo detto di evitarla e tu torni dicendomi che avete avuto il tempo di limonare e di dirvi addio." -incastra le mani tra gli spazi delle dita- "Non vorrei dire te l'avevo detto, ma.."
Alzo gli occhi al cielo, chiedendogli se stia facendo sul serio, se la paternale è tutto ciò che può offrirmi ora, e lui allarga le braccia dopo essersi cacciato un altro pezzo di bufala in bocca. Le pale del ventilatore gli smuovono i capelli sulla fronte e gli appiccicano una metà della camicia contro il fianco, mentre l'altra cerca di volare via.
Che strano, Blu.
Sembriamo io e te.
Tu che mi rincorrevi, io che scappavo.
E adesso, forse, abbiamo invertito la corsa.
Affondo il viso sulla fodera a pois del cuscino, prendendo coscienza del fatto che non riesco a smettere di pensare a che sapore aveva l'ultima sigaretta che le ho fumato di fronte. Il vapore le entrava negli occhi facendoli lacrimare quel poco che bastava per farmici specchiare sopra e io mi vedevo bella, come non lo ero mai stata. Lei, invece, era bellissima.
"Ascolta, Ludo." -mi richiama- "Cosa vuoi che ti dica? Vuoi che ti ripeta quanto sei stata brava a non lasciarti incantare da lei o vuoi che ti dica la verità? Perché non credo di essere qui per questo."
Rimango tesa mentre respiro ogni sua lettera, fino a scoprire una metà del viso alla luce per dire: "Sei qui perché mi fa piacere stare con te."
Federico allunga il collo mentre finisce l'ultimo sorso di birra. Il pomo d'Adamo gli va su e giù.
"Sai che ascolto solo quello che voglio ascoltare, Ludo, ma le voci girano da un po' e io non posso continuare a fare finta di niente, specie se tutti pensano che non so tenerlo nei pantaloni." -inspira- "E penso che pur di passare per la troia di turno, saresti uscita con il tuo peggior nemico, ma tu non hai nemmeno quelli qui. Quindi non venirmi a dire che preferisci una serata con un vecchio che puzza di carta stampata piuttosto che uscire con qualche ragazzo."
Alzo un sopracciglio e trattengo una risata mentre lui boccheggia e diventa tutto rosso.
"O-o ragazza. Insomma.."
Federico s'alza in piedi gesticolando in maniera confusionaria e mi dá la schiena per nascondere le gote arrossate. Da qui vedo che i muscoli gli tirano i fili della camicia mentre lui porta una mano alla fronte e respira per far uscire il caldo dalla pelle. Quando rilascia un soffio profondo, gli torna la gobba.
"Mi ci devo ancora abituare, scusa."
"Non fare il cretino, Fede. Non devi chiedermi scusa."
Lui, per il momento, non sembra volersi girare e mentre aspetto che si pulisca le lenti sull'orlo della camicia, ritorno con la guancia contro il cuscino. Adesso, che lo guardo per orizzontale, le sue gambe sono ancora più magre e i piedi più lunghi dentro le Saucony un po' sbiadite. Mentre si affaccia alla portafinestra, capisco che non ha più voglia di parlare, perché i brutti pensieri gli hanno avvelenato la mente: so che si sta sentendo in colpa. In colpa per aver tradito mio padre e aver preso il suo posto.
"Pensi che abbia sbagliato?" -gli domando ancora, anche se in realtà prima avevo solo usato uno sguardo- "Sii sincero, non voglio fare pena a nessuno."
Federico infila le mani in tasca e allarga un po' le gambe, assorbendo tutto il sole delle che passa tra le tende.
"Non lo so. Pensi ancora che lei sia un modo per allontanare la Ludovica che ha creato tuo padre?"
Sei incazzato, Fede?
Incazzato per non avere una famiglia ed essere finito al posto di Sergio?
O mi stai solo aprendo gli occhi con la punta delle dita?
"Perché me lo chiedi?"
Lui alza le spalle e spinge la montatura lungo il naso. Decido che tutto questo ingoiare la foglia mi stanca e verso un po' della sua birra sulla conca che crea la mia lingua.
"Sai, nessuno si guarda molto addosso e sono sempre gli altri che devono farci capire come siamo." -mormora grattandosi la nuca nel punto in cui ha una vertigine- "Tu tiri sempre la corda, Ludo. Quando qualcosa comincia a piacerti, o pensi che dovrebbe farlo, la cacci via, le chiudi la porta in faccia a prescindere, perché ti ricorda che un tempo anche a te piaceva essere come ti voleva lui."
C'è un attimo di silenzio e io lo riempio versandomi un intero bicchiere di schiuma. La lattina goccia a testa in giù le sue ultime bollicine e io immagino d'essere al mare, lontano da tutto questo.
"È come se pensassi che tutto quello che ti piace, in realtà piaccia all'ombra che lui ti ha lasciato dentro."
"Smettila di parlare come un libro, Fede."
Lui tira fuori una mano dalle tasche per accendersi una sigaretta e a me viene da svuotare lo stomaco sopra i piedi nudi che poggiano sul linoleum. Sono giorni che non riesco a fumare del vero tabacco, nè a sentirne l'odore, ma Federico questo non lo sa. Così aspetto che quel pezzo di carta diventi rosso per ficcare le narici dentro il bicchiere e impregnarle di malto.
"Sei tu, Ludo, fai così da sempre. Perché diavolo non dovresti avere degli amici decenti, mh? Che ti manca?" - appanna il vetro parlandoci contro- "Perché sei sempre sola? E perché cazzo passi le serate con un Federico qualunque?" 
Aspetto finchè la vena del collo non smette di pulsargli in superficie. Ogni volta è la stessa storia: lui che si arrabbia cercando di farmi capire come gira il mondo e io che volto la testa dall'altra parte, come se per me tutto, in realtà, rimanesse fermo. Federico soffia dalle narici.
"Non sei una brutta persona, Ludo. E' solo che lo fai inconsapevolmente." dice come se stesse pregando.
Io non riesco a fare altro se non ricordare che era stata lei la prima a dirlo.
"Quindi sono una brutta persona, ma inconsapevolmente?"
Incrocio le gambe sopra il sofà e sposto i capelli dai lati del collo. La sua sagoma, da dietro, scuote la testa in maniera meccanica, con i muscoli sciolti come cera.
Forse hai sfibrato anche lui.
Forse sei una brutta persona e basta.
Sento il cuore che accelera a colpi di tamburo, governati dai miei sensi di colpa che arrivano con la stessa periodicità delle mestruazioni. Federico pulisce ancora gli occhiali e io mi chiedo cosa voglia vedere da quella finestra che dà sui cassonetti del ristorante indiano sotto casa. Lo studio mentre ripete ogni mossa due, tre volte, calzando sul bordo rotondo delle lenti, come se volesse fare attenzione a quello che sta ai margini della vista, a quello che si nasconde.
Solo ora ripenso che lui ha quasi vent'anni più di me, che ho i fantasmini infilati male e un caschetto che mi fa schifo, che voglio correre sui tacchi e mettere il rossetto senza sbafare mentre puzzo ancora di latte.
Dovresti rispondermi, sai?
Dire che non dovrei metterti in bocca parole che non dici, cose che non pensi.
Ma ormai hai perso le forze a combattere con chi non ha il coraggio di essere tua figlia a tutti gli effetti.
Lo so, lo so. Tu scuoti la testa e sospiri come se mi stessi parlando e io stessi capendo. E un po' lo faccio, giurin giurello.
Mi faccio aiutare dalla birra a pensare meglio, che sa di cose che hanno avuto il tempo necessario per fermentare e maturare. Mando giù un sorso e ripenso a Davide: non ne ho mai parlato a Federico, ma anche con lui avevo tirato il freno a mano prima di accendere l'auto.
"Mi piace." -pigolo con tono strozzato- "Davvero."
"E cosa ti piace?"
Aspetto che lui si rinfili gli occhiali e torni a scrutare la strada. Non ha mai guardato il cielo da quando è lì a riflettere la sua ombra sul parquet e le mie pupille si stanno incominciando ad adattare a quel filo di luce che rimane.
"Non lo so, com'è fatta. Ti innamori degli occhi, del modo in cui una persona sorride." -dico, senza davvero pensarci- "E poi è vera, Fede. Molto più di quanto possa esserlo io."
Federico si stiracchia un po' e alla fine poggia le mani sui fianchi. Io aspetto una risposta con il piede che fa su e giù, ma so già che lui ha i suoi prolungati tempi di pensiero. So anche che dovrei imitarlo più spesso, ma le pale del ventilatore continuano a distrarmi come se avessi quindici anni e fossi ancora a lezione.
Inizio a sudare, forse lo stavo già facendo, e la lingua non smette di bagnare le labbra che si seccano. Allungo la mano verso il tavolino, afferro il pacchetto. Poi lo rimetto a posto.
"Allora credo che ti stai attaccando a qualcosa di forte, Ludo."
"E cosa?"
Federico solo adesso alza il naso verso il sole. E' ancora girato, non riesco nemmeno a vedere se tiene gli occhi aperti o chiusi, ma so per certo che sta sorridendo a labbra unite.
"Il perdono." sussurra.
Ci penso, sento le orecchie che fischiano. Il pacchetto è ancora lì, anche se adesso sembra girare insieme alla stanza, e io gli rubo una sigaretta col respiro fermo in mezzo alla gola. Solo col fumo, insieme a due o tre preghiere, ricomincio a prende fiato.
Federico annusa l'aria che cambia e mi chiede qualcosa in tono sarcastico, ma io non riesco a sentire niente se non quella parola. Perdono. Il perdono verso mio padre.
Stai cambiando, stai lasciando le tue paure.
Stai diventando quello che volevi essere.
No, non chi volevi essere.
Quello che volevi essere: altro fuori di lui.
"Ludo."
Strizzo gli occhi: il fumo se ne va e Federico mi sta di fronte. Ha ancora una mano sul fianco, mentre l'altra indica il corridoio, verso la porta di casa.
"Guarda là."
Sotto al portone, accanto al poggia-ombrelli, una busta giallo poste. 

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