13. la solita storia

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Come faceva quella canzone che ascoltavi sempre quando arrivava la primavera? A dire la verità, ora che ci penso bene, non l'ho mai saputo. Ti sentivo mormorare, le labbra ti tremavano e mangiavi frasi sconnesse come "Alice chi, cerchi un alibi".
Ricordo ancora che mettevi le tue cuffiette bianche che si intrecciavano dappertutto e che scodinzolavi per casa in mutande, rigorosamente in punta di piedi. Qualche volta riuscivo a morderti e il naso mi prudeva sotto il pizzo, ma a te piaceva sentire il mio sorriso sopra la tua pelle, così non ti incazzavi mai, nemmeno quando lo specchio ti mostrava i segni che lasciavo.
Io ti chiedevo scusa, ma tu mi dicevi che dovevo approfittare del fatto che la pelle non ti si fosse ancora raggrinzita come una scarpa vecchia.
E così, ogni primavera era sempre la solita storia, finchè noi siamo diventate la solita storia.
-L

Mercoledì, 15 Luglio

"C'è un momento in cui si compie un piccolo passo, si devia di un millimetro dalla solita via-"
Muovo le labbra seguendo le lettere che si susseguono sulla carta e sto attenta a non scomodare alcun rumore. Le pagine non vogliono saperne di restare a posto loro e mi sfuggono dalle dita ogni volta che tento di braccarle tutte con una sola mano, in modo da infilare l'altra sotto il cuscino.
Perdo il segno per la seconda volta e lascio che i piedi mi scivolino sopra le lenzuola di seta.
"Ehi, che fai?"
Sento delle dita che scricchiolano sul pavimento e prima che possa anche solo pensare, il letto mi si abbassa accanto. Ho il profumo delle sue mani tra le sopracciglia e poco dopo la patina di saliva che ricopre le sue labbra sulle mie.
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Chiudo forte gli occhi fino a sentirli doloranti. La bocca di Aurora balla sotto la mia, contro la mia, con la mia. Ora ha una consistenza più turgida ed é lei a fare da bastone per ciechi.
Sento prima le sue dita che si poggiano delicate alla base della mandibola, come se stessero tremando o non volessero disturbare, poi l'intero palmo che lascia marchi roventi sulle guance. Tutto sta prendendo quella piega ottusa verso una discesa a fondo cieco, ma io non riesco a capire nè a percepire niente che non sia il suo alito che mi penetra in bocca e pattina sulla guance dall'interno. Nemmeno le ossa del nostro bacino che si toccano, nemmeno quando sono costretta a indietreggiare per non cadere: niente mi sorprende, nessuno con una pettorina da lavori stradali che sbraccia per avvisarmi che mi sto segando le caviglie da sola.
Aurora apre la bocca per prendere aria e sembra voler fermare il tempo. Ascolta i nostri respiri che si rincorrono troppo diversi, poi poggia la punta della lingua sul neo che ho sopra la bocca, in un modo così sincero e pacato che mi fa quasi pensare di chiederle scusa.
Apro per un attimo gli occhi per vedere se anche il sole s'è nascosto dalla vergogna, ma le sue iridi sono così blu da farmi lacrimare. Di nuovo cieca, di nuovo il suo sapore che si scioglie sulla mia saliva come farebbe qualsiasi dozzinale medicina in busta. Penso che resteremmo qui per tutta la notte e anche la mattina dopo, se solo lei volesse, però poi Aurora m'infila una mano sotto la maglietta, proprio sopra l'ombelico, e il Signore lassù mi svuota una bacinella di ghiaccio in testa.
Mi ritorna la vista e mi accorgo di essere a due metri da lei, che si sistema i capelli con una ruga dritta tra le due sopracciglia. Guardo per terra, le dita mi tremano come se avessi appena ucciso un uomo e gli occhi mi fanno male nel tentativo di uscire dalle orbite. Aurora si sta pulendo le labbra con il dorso della mano e io, non sapendo proprio cosa farmene, ne porto una in fronte e l'altra attorno alla vita.
"Adesso non c'è più nessun punto di incontro." -ansima- "Mi hai baciata tu, Ludo."
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Il suo bacio mi lascia con uno schiocco, come in una di quelle serie TV che Madison usa come scusa per non uscire il venerdì sera. Il più delle volte ha cercato di persuadermi a entrare nel ritmo da maratona Netflix, ma io mi sono sempre addormentata su quel cuscino ergonomico che le è costato una fortuna.
"C-cosa fai?"
Aurora increspa un angolo della bocca e si stende su un fianco, con la testa che ciondola contro il palmo della mano.
"Ti ho dato un bacio."
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"L-lo so." -balbetto- "Lo so."
Aurora corruga la fronte nell'attesa di una risposta più sensata e quando non arriva, scocca la lingua sul palato allargando le braccia. Il nome di sua sorella mi fa cucù settete da sopra la pelle.
"Io non fatto niente, eh."
Ma non sai dire altro?
Ti direi di tacere ma lo farei con un altro bacio, quindi.. Quindi forse è meglio di no.
"Lo so, lo so, sta zitta." -mastico le parole come cicche al mentolo- "Devo pensare."
Le dita della mano cominciano a bruciare dopo la sesta volta che le faccio strisciare sulla fronte. Mi convinco che in qualche modo possano aiutare la testa a ricominciare a carburare, che possano oliare gli ingranaggi, ma non fanno altro che lasciare due segni rossi che vanno da una tempia all'altra.
"Devi pensare? Non c'è niente da pensare."
Solo così mi accorgo che i capelli di Aurora sono un po' spettinati e che i suoi occhi sono tornati quelli di sempre, perché è la prima volta dopo minuti che riesco a sollevare il mento da terra.
In un primo momento, lei pare spaventata dai graffi che il mio sguardo lascia nel suo, poi tutto cambia e sfuma verso la tristezza. Quando azzarda un passo in avanti, io rispondo con uno indietro, come se fosse un riflesso condizionato, poi è lei ad indietreggiare e io ad avanzare. Un po' come se ci tenessimo con un elastico, come dice Coez.
"Senti, Ludo.." -sussurra con la voce così dolce da cariarmi i denti- "Io non sono mai stata tua amica. Neanche per un secondo, da quando hai aperto la porta di casa."
"E perché hai detto di volerlo essere anche dopo la festa?"
Adesso è lei a massaggiarsi la fronte e a cercare le parole giuste sotto le suole delle Continental.
"Non lo so, io.. Sai quando ci sono certe cose che non ti sai spiegare?"-annuisco e lei si tranquillizza- "Le senti e basta, proprio sotto la pelle, tra i muscoli. E io sentivo che avresti potuto essere importante per me. Perciò, se la vita voleva che mi fossi amica, dovevo conviverci."
Gli aghi penetrano attraverso la carne chiudendo ogni poro possibile e io, a poco a poco, perdo la capacità di respirare. La pelle mi è divenuta ermetica e il cuore si è ricoperto di una strada fodera plasticata che mi urla contro accusandomi d'essere un'egoista senza ideologie.
"Avresti dovuto dirmelo."
Davvero, Ludovì?
Adesso l'aciditá è la scelta che prendi?
Non impari mai un cazzo.
Aurora scopre i denti mentre si lascia sorprendere e io incrocio le braccia per paura che possa mordermi come un cane che ho appena bastonato.
"Ma sei stata tu a baciarmi."
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"Lo so che mi hai dato un bacio" penso, alzando le sopracciglia in modo che anche lei sappia quello che mi frulla in testa.
Aurora lancia un'occhiata fugace alle pagine del libro che si mescolano lente da quando ho smesso di tenere il segno, poi torna su di me.
"Ludo, non può vederci nessuno qui."
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E di nuovo, ancora, la stessa identica frase che il mio corpo rigetta come un organo soppiantato male. Sembra addirittura che il petto mi sobbalzi dalle convulsioni, ma io evito tutto ciò ad Aurora, che non merita scene patetiche come questa.
Le do le spalle, ricevendo un'altra giusta sbuffata di naso, e la tensione inizia a farmi prudere la nuca e a tirare i muscoli come lacci delle scarpe. All'improvviso percepisco il mio corpo che inizia a tremare nel tentativo di liberarsi dalla rigidità e il calore che evapora per creare una cappa isolante attorno a me. Il tremore si propaga dalle mani ai polsi e via lungo le vene.
Sento dei passi attorno a me e sorrido amaramente pensando di avere anche le allucinazioni, finchè Ludovica svuota il contenuto dei polmoni sul mio collo.
D'un tratto ricomincio a bruciare come se fossi legna cava e sento il cuore che mi si ingrandisce dentro fino a schiacciarmi il respiro.
"Ascolta, mi dispiace. Mi dispiace davvero." -bisbiglia- "Ma non posso essere sempre quella comprensiva che finisce con un dito in culo non appena guarda da un'altra parte. Mi cerchi, poi mi allontani, poi mi baci.. E io dovrei accettare tutto senza chiedere perché?"
"Non sono io a dire cosa devi fare, Blu." mi lamento, ma per fortuna lei ascolta solo quello che vuole e non dá peso a come l'ho appena chiamata. Il suo sapore mi è rimasto appiccicato sulla lingua come uno starnuto.
"Sono stanca, Ludo. Quindi o mi spieghi perché mi hai baciata, o mettiamo un punto a tutta questa storia e torniamo alle nostre vite." -alza la voce e ritorna a respirare male- "Perché io e te non possiamo più essere nient'altro se non quello che non siamo ancora state."
Ma dove le prendi ste parole?
Ti escono così o le rubi dai libri?
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"Che leggi?"
Le sue dita si incastrano perfettamente agli angoli quadrati delle pagine e io, per un secondo solo, trovo la pace: il silenzio che precede un sorriso e il ricordo della sua bocca sulla mia.
"Pensavo fossi venuta per studiare." -le dico, inghiottendo male- "In vesti.. amichevoli."
Aurora chiude il libro delicatamente e me lo poggia sull'addome, dandoci tre colpetti sopra con il dorso della mano.
Fuori piove e dalla finestra il rumore delle gocce si mescola all'odore di erba bagnata.
"Amichevoli?" -domanda ridendo- "Ne abbiamo già parlato, Ludo."
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Alzo gli occhi al cielo, chiedendo alle nuvole che se ne stanno lì a discutere apertamente dei loro problemi di darmi la risposta giusta.
Cosa siamo io e te, Blu?
Perché l'unica maschera che non abbiamo ancora avuto il coraggio di indossare è quella della sinceritá.
Ti ho anche odiata, a modo mio, ma non ti ho mai detto la verità.
Vuoi che te la dica?
Una goccia mi colpisce lo zigomo, come se mi avessero appena pisciato addosso, o più realisticamente come se mi avessero appena fatto guardare altrove con uno schiaffo. Strizzo le palpebre per capire se sta piovendo o se ho la vista annebbiata, poi mi accorgo che sto solo piangendo.
Dalle labbra mi esce un rumore pietoso, una specie di sospiro strozzato, come l'ultima esalazione di un animale, e io scuoto la testa pensando a quanto possa essere patetica.
Il gelo mi ritorna indietro seguendo la via dei nervi, ma Aurora non sopporta che io muoia di freddo: così, come aveva già fatto, ricomincia ad attizzare il fuoco infilando le mani tra le mie braccia e i miei fianchi, legando le dita sopra il mio ombelico. Ora una metá del suo volto è poggiata tra le mie scapole e io vorrei che la proteggessero da me.
"Cosa vuoi che siamo?" mi chiede, o forse lo sta solo domandando a se stessa.
"Voglio esserti amica, Aurora."
Dieci secondi: non avrei mai pensato che una pausa per riprendere fiato potesse durare tanto, specie per una come me che pensa poco prima di parlare. Dieci secondi e lei avrebbe potuto mandare a fanculo quelle scapole che le facevano da cuscino.
Dieci secondi per essere quello che non siamo mai state: sincere.
"Ma non ce la faccio."
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"Sì, lo so, è che.."
Arriccio la bocca da un lato e i capelli mi scivolano davanti alla punta del naso. La prima cosa che vedo sono le dita sottili di Aurora - sono strane, sai? Un po' affusolate, un po' ruvide, con quella ultima falange ad aquilone che mi fa venire voglia di volare - che spostano le ciocche dorate via dai miei occhi, poi il lampadario argentato che mi ha regalato Federico. Credo che lo stia confondendo con il sorriso di Aurora.
"L'hai detto tu, per essere qualcosa, non possiamo essere niente."
È vero, l'avevo detto. Avevo anche detto che dovevamo poter fare quello che sentivamo, senza limitazioni, senza troppi pensieri, senza bombe a mano e gas nervini. Lo avevo detto mentre lei mi lasciava il segno dei palmi accanto all'ombelico, come due foglie di vite attorno al simbolo della vita.
Quindi forse è stato per questo, perché il cerchio s'era chiuso così perfettamente da non potermi fare pensare che fosse sbagliato, che fossimo sbagliate, però lo avevo detto. Ero stata io a dire che il tempo ci avrebbe detto chi eravamo davvero.
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"Un po' di tempo." -mormora- "Diamoci un po' di tempo."
Io ti darei anche il mio spazzolino.
Ma preferirei che ascoltassi Flavio e mi coprissi le spalle, perché fuori da me fa freddo.
La guancia di Aurora si stacca dalla mia schiena e io ho la tentazione di girare il collo fino a staccarmelo di dosso. Prima, però, lei mi ci alita sopra per allacciarci bene le labbra. Credo che mi sia nato un fiore lì, sopra la pelle.
"Va bene." -dico ammaliata- "Un po' di tempo."
Sento la sua bocca che mi rimane attaccata alla base della nuca. Ora si sta tirando in un sorriso.
"Non voglio metterti fretta, ma non me ne starò lì ad aspettarti, Ludo. È bene che tu lo sappia."
Gli occhi mi ritornano lucidi sentendo il cuore dentro che mi pompa come la canzone dei Pink Floyd e io li lascio bruciare per qualche secondo. Aurora ha preso a muoversi da destra a sinistra e io la seguo come un fusto di canna col vento.
"Una sola cosa." mi esce detto.
"Tutto quello che vuoi."
"Deve rimanere tra me e te. Gli altri non ci hanno ancora guadagnato."
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"Tranquilla, rimarrá tra me e te."
Faccio su e giù con la testa convinta che qualunque cosa dica, ora, mi passerebbe spedita tra i due timpani per perdersi nel fumo del cervello. Qualunque cosa producano le sue labbra, così vicine, non ha importanza.
Le palpebre quasi mi si chiudono mentre abbasso gli occhi sul suo mento, che da sotto mi saluta per orizzontale.
Un'altra volta, due, cinque, finché staccare la bocca diventa sempre più difficile. Penso che questo, che tutto questo, possa rimanere tra noi fin quando mi stancherò di lei e che quel giorno sarà così lontano che anche i muri sapranno in che modo preferisce essere guardata.
Poi pensare diventa sempre più difficile, perchè Aurora comincia a capire dove deve mordere per potermi incasinare la testa, e io non distinguo più un cazzo non appena ho la punta della sua lingua in bocca.
Cerca una strada, un viottolo, una cazzo di fogna, ma esci.
Esci da qui.
Si sta troppo bene.
"Dici.." -mugugno cercando di togliermela di dosso- "Dici che i tuoi la prenderanno bene?"
Aurora rimane con le labbra all'infuori senza aprire gli occhi e io credo che stia solo cercando di farli tornare marroni il più in fretta possibile.
Mi sistemo contro il cuscino e appoggio le mani aperte sulla copertina rigida del libro. Lei sospira e passa una mano fra i capelli prima di guardarmi rassegnata.
"Tu sai proprio come sfreddare una persona."
La osservo rigida mentre incrocia le braccia e poggia la schiena alla testata del letto: ora guardiamo entrambe il lampadario.
"Non mi frega un cazzo-"
"Aurora.." la interrompo prima che esploda.
"No, Ludo. È passata la vita di quella che si spezza la schiena per aiutarli a sistemare i mattoni. Non voglio abitare nelle loro mura di odio e rancore."
Lascio scivolare la testa su di un lato, in modo che possa guardarla. Solo adesso noto che ha un piccolo tatuaggio dietro l'orecchio, nascosto dagli orecchini luccicanti che gli fanno da scudo. C'è scritto amati.
Se solo l'avessi chiesto, l'avrei fatto io per te.
"Voglio solo vivermi la mia vita, no? Perché non lo capiscono?"
"Capiscono cosa?"
Aurora stringe forte le labbra e i muscoli delle spalle le scoppiano attraverso i tatuaggi. Io do una carezza alla rosa che le profuma il braccio sinistro e lei, piano piano, tira fuori l'aria cattiva dalle narici.
"Io non pretendo che gli altri capiscano. Non siamo tutti fratelli, non siamo tutti figli e non abbiamo la stessa testa, le stesse possibilità di cambiare, di cambiare anche le idee. Non cerco la benedizione degli altri, perché io so che essere diversi non è mai un crimine. E se loro credono che valga di più amare un corpo giusto invece che una bella mente, beh, non posso farci niente. Sono diversi e io li rispetto, perché non posso fare il loro stesso gioco."
Rimane il silenzio a calmare le onde che toccano la sabbia, finchè tutto ritorna piatto in modo che il sole possa specchiarcisi bene sopra. Anche lui deve farsi la barba tutte le mattine.
"Ma i genitori.. Pretendo che loro capiscano. O che non ci capiscano un cazzo, non lo so. Vorrei solo che non rispettassero la diversitá, perchè non c'è davvero bisogno che io mi senta diversa ai loro occhi per essere rispettata."
Lei non piange - non ancora, almeno - ma a me viene spontaneo toglierle una lacrima dallo zigomo con il dorso dell'indice, finchè quella diventa reale.
Solo ora capisco che era meglio annodarmi la lingua con la speranza che la sua me la scogliesse per tutto il pomeriggio.
"Non voglio che tu li conosca, Ludo." -dice dura mentre tira su col naso- "Devi sapere anche questo."
Schiocco la lingua sul palato sentendo il senso di colpa che striscia sotto gli anfratti che il cuore ha lasciato per respirare.
Aurora alza una spalla come se si volesse scusare, così le circondo il corpo con le braccia in modo che possa poggiare la testa sulla mia. È la prima volta che la bacio da quando le nostre labbra si sono scambiate il numero di telefono.
"Sai che c'è? Comincia a farti bella."
"Bella? E perché?"
"Perchè ti farò conoscere le mie amiche." -dico orgogliosa, stampando la bocca sulla sua fronte- "E beh, sai, dovranno rosicare un po'."

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