Ieri sera ti ho scritto. Avevo il pretesto per farlo e l'ho fatto. Niente di più semplice, a parte il fatto che noi, semplici, non lo saremo mai.
Non ti sentivo da un mese, forse ne erano due, e sapevo anche che di venerdì sera avresti preferito fare altro. Però poi ti ho scritto lo stesso.
Prepari un esame ora e io ripenso per un attimo ai miei. È passato del tempo, ma ricordo ancora il presidente con i suoi baffi alla Stalin e il suo menefreghismo accaldato dall'arrivo di luglio.
Non è giusto che non ci sia io lì a darti dei consigli. Su come studiare, quale rimedio usare per prender sonno, in che tonalità urlare la canzone di Venditti sotto la luna e la fronda di un vecchio pino. Di quelli che ci sono allo stadio dietro casa mia.
Tu a casa mia non ci sei mai stata, ma io ieri ti ho vista sul divano mentre aprivi le braccia e mi pregavi di smetterla di fumare.
"Facciamoci caldo insieme." dicevi.
-LVenerdí, 17 Giugno
Fa piuttosto freddo per essere (quasi) estate. C'è un venticello che mi soffia sotto le maniche della camicia e mi fa tremare tra le coste. Alzo lo sguardo e l'insegna della farmacia segna 17/06. Sospiro.
Venerdì 17 non mi è mai piaciuto.
Non sono una persona scaramantica: indosso una vecchia collana con un cornetto magenta come il rossetto che mi regalò Davide dopo aver fatto l'amore, ma lo tengo solo per abitudine.
Venerdì 17, però, è tutta un'altra storia.
Ci sono tre buone ragioni per cui evitare di camminare troppo vicino ai tombini di Firenze, oggi.
Primo motivo: lo scorso venerdì 17 Giugno Davide se n'è andato. Era seduto sui gradini dello stadio e l'orologio gli brillava sotto la luce del lampione che rimaneva ad illuminare il centrocampo e qualche panchina lì intorno.
"Non ce la faccio più a continuare." ripeteva senza specificarne il motivo.
Per un attimo avevo anche creduto che parlasse di suo padre e dell'azienda di famiglia che gli pesava tra capo e collo, come una delle collanine d'oro che portava sempre.
Secondo motivo: sette venerdì 17 fa ho perso le chiavi di casa e i miei genitori hanno avuto la loro prima delusione. Avevo nove anni ma sapevamo che ce ne sarebbero state delle altre.
Terzo motivo: il mio primo venerdì 17 Giugno sono venuta al mondo. E sì, Davide mi aveva lasciato il giorno del mio compleanno.
"Buongiorno signorina, desidera?"
Appunto gli occhiali da sole tra i capelli e il vecchio dietro il vetro mi parla dall'oblò forato come se non mi conoscesse giá.
"Avevo un appuntamento con il fotografo."
L'uomo si inarca sulla sedia di pelle che cigola, quasi volesse guardarmi meglio.
Non sono così nuda per posare?
Gli occhiali gli scivolano sulla punta del naso.
"Nome, prego?"
Sul serio?
Tossisco prima di schiarirmi la voce.
"Ludovica Bianchi."
Intravedo l'indice raggrinzito corrergli lungo una lista che arriva fino al bordo dell'agenda. Lui continua a ripetere il mio nome a bassa voce per fissarlo in testa e io alzo la mia verso l'aria condizionata che mi secca la gola.
"Ludovica Bianchi, eccola qui." -mi guarda di nuovo negli occhi, sorridendomi- "Salga le scale. È la prima porta a sinistra."
Gli accenno un sorriso di cortesia mentre continuo a ripetermi nella testa che tutta questa formalità finirà per farmi impazzire. Il segretario si accascia per premere il solito pulsante sotto la scrivania e accenna con una mossa del capo di farmi avanti, laggiù, verso le scale che sanno di pulito. L'uomo messo a guardia dei piani alti controlla la spia luminosa attaccata alla giacca: quella manda segnali verdi ad intermittenza e io passo indisturbata, come al solito.
Il corridoio è vuoto e gelato. Mi stringo la sciarpa di seta attorno al collo e perdo gli occhi tra tutto quel bianco. Una statua di marmo tirata a lucido mi piange accanto e a me vengono i brividi.
"No, io.."
Tendo l'orecchio: la porta è socchiusa e fa uscire una voce schiumosa che mi dá bollicine alla testa. Mi giro intorno, credendo per un attimo di aver sbagliato luogo, finchè le lamentele di Federico scivolano via dalla serratura.
"S-si." -viene interrotto- "Ma resta il fatto che è qui senza appuntamento."
Stringo flebile la maniglia tra le unghie smaltate e la porta segue il vento più velocemente di quanto pensassi. Federico stira il collo alzando gli occhi al cielo, felice come non mai di vedermi.
La ragazza lì di fianco gli arriva di poco sotto al punto in cui inizia la brizzolatura e da qui riesco a sentire il suo profumo fruttato. Ha i capelli sciolti di un castano legno che si fa via via sempre più chiaro, fino a toccare il platino spento sulle punte. Penso che tutto quel chiarore cozzi un po' con la sua pelle abbronzata, ma in realtà non riesco a pensare a niente.
"Alla buon ora."
"Mi dispiace, pensavo avessi un altro servizio e non ho bussato prima."
Federico alza le spalle e chiude l'agenda, posandola sul tavolo. Ora ha le mani libere per potere accompagnare la ragazza alla porta.
"Devi andare." -sussura sbrigativo- "Ho giá preso un impegno."
Lei sbuffa e cerca di rallentare il passo. Mentre si fa più vicina, noto i tatuaggi che le spuntano da sotto i vestiti: uno le ricopre il polso sinistro, estendendosi all'avambraccio, e altri due le dipingono le cosce toniche.
"Possiamo risentirci per.. Per quella cosa?"
Mi faccio avanti lasciando libero il passaggio, così che Federico possa accompagnarla con veemenza al di fuori della stanza. Il suo viso spunta da dietro la porta prima che lui gliela chiuda in faccia.
"Ci penserò."
Che strano però.
Non avevi gli occhi azzurri.
A\N: non voglio che questa storia abbia molte sezioni del genere, perciò sarò concisa.
Non ho la più pallida idea di cosa farmene di tutte queste idee che mi ronzano per la testa, ma sono convinta di voler provare a rivivere di nuovo quel percorso che mi ha fatto arrivare ad un traguardo di quasi 100k letture. Follia, a pensarci.
Brividi cazzo.
So che richiede del tempo che non ho, delle energie che non ho e della pazienza che perdo sempre più spesso.
Ma voglio raccontarvi una storia. Questa storia.
Perciò vi chiedo solo uno sforzo: se ci credete almeno un po', provate ad andare avanti.
-C
PS: la maggior parte delle immagini allegate ai capitoli sono prese dalla pagina Instagram pinkorgvsm
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Tre sono le cose
Roman d'amourLudovica non era come suo padre e neanche come sua madre. Non voleva diventare un'imprenditrice come suo fratello e non voleva rimanere nel grigiore di Como come aveva fatto Davide. Ludovica voleva vivere tra l'arte, sulle copertine, dietro la luce...