Ti ricordi di quel primo maggio? Il nostro fatidico primo maggio? Forse non ho le carte in regola per chiamarlo nostro, ma sai che delle regole non mi è mai fregato un cazzo.
Pioveva e tirava un vento così forte che pensavamo ci buttasse giù casa.
Perché sì, avevamo una casa io e te. Era piena di quadri e aveva pochi specchi, perché a noi non serviva vederci belle in ogni occasione. Sapevi che per me lo saresti stata anche in pigiama e io sapevo che per te lo sarei stata anche con i capelli insaponati sotto la doccia.
Beh, quel giorno erano caduti tanti quadri e si era anche rotto uno specchio. Io ti stringevo con la paura che ci crollasse il tetto addosso e tu, che forse avevi più paura di me, guardavi gli alberi oscillare dalla finestra.
"Ora passa, ora passa.." sussurravi.
E alla fine è passato tutto: compresa te.
-AMercoledì, 22 Giugno
"Il suo nome, prego?"
Mando giù della saliva che mi bagna a malapena la lingua, mentre l'omino dietro il vetro tende l'orecchio verso l'oblò.
"Aurora."
Quello mi sorride gelidamente.
"A-aurora Azzurro."
L'uomo ora annuisce e fa scorrere l'indice su di un elenco che non riesco a vedere. Mentre si accascia di poco sotto la scrivania - seguito dal clic di un pulsante - mi dá delle indicazioni per il primo piano, consigliandomi di non badare alla guardia ai piedi delle scale.
"L'è un po' burbero, ma 'ffa solo il sù lavoro."
Lo ringrazio e scivolo via come un'ombra.
La porta da cui mi avevano sbattuto fuori è ancora lì e io mi ci specchio di fronte trattenendo il fiatone. Due colpi di nocche.
"Avanti!"
Il signor Di Gregorio è seduto alla scrivania, con le gambe distese e i talloni poggiati sul piano. Tiene un giornale sulle ginocchia e una pipa dal manico lungo accanto ad un bicchiere di caffè usa e getta, probabilmente giá consumato.
"È in anticipo." - dice, guardando il costoso orologio da polso- "Il che è apprezzabile ai giorni d'oggi."
Mi fa segno di chiudere la porta, mentre lui si sistema con calma. Ho il cuore che è una batteria.
Di Gregorio si appoggia al tavolo e rabbocca la pipa in silenzio, infilando una mano sotto l'ascella.
"Sa perchè è qui?"
"Mi è stato offerto un servizio."
Lui annuisce mentre il fumo gli appanna gli occhiali. Ha lo stesso colore che prendono i suoi capelli vicino alle orecchie.
"Esatto."
"Ma.." -aggiusto la borsa in spalla- "Ma non mi è stato detto da chi."
La sua bocca si torce in un sorriso - o forse è solo una smorfia di compassione - e io riesco ad intravedergli i denti ingialliti dal tabacco.
"Serve davvero che glielo dica?"
Scuoto la testa e il tamburo che ho al posto del cuore mi martella sul petto. Mi vengono in mente le Merit Gialle e il costume da bagno in copertina. La testa prende a girarmi, così appendo la borsa all'attaccapanni per avere una scusa buona per reggermi.
"Posso.."
Di Gregorio impunta le mani nelle bretelle con la pipa in bocca e mi guarda alzando il mento: non devo proprio andargli a genio.
"Un bicchiere d'acqua, per favore."
Lui sembra un po' spiazzato, ma cammina verso il minifrigo per accontentarmi. Mi porge il bicchiere e io bevo tutto d'un fiato, chiedendone ancora.
Tu, con i tuoi stupidissimi occhi piccoli e i sedili in pelle, cosa vuoi da me?
Soldi? Compagnia? Eppure non sembri averne bisogno.
Forse cerchi solo una storia ridicola da raccontare, ma io non sono l'elemosina di nessuno.
Però, se ci penso bene, ricordo che non mi guardavi come si guardano i barboni fuori dalle chiese. Tu..
Parlo troppo: non mi conosci nemmeno.
"Un ultimo favore." -tossisco- "Se non le dispiace."
Di Gregorio sospira e fissa il tatuaggio che ho sul polso, con lo stesso sguardo con cui si fissa un cadavere.
"Vorrei avere il suo numero."
Lui aspira un'ultima volta prima di posare la pipa in un contenitore di metallo. Chiude il giornale e sistema la scrivania, ricavando lo spazio utile per poggiarvi una grossa valigia di pelle.
"Non sono qui per fare l'agente di nessuno." -ribatte in tono duro dandomi le spalle- "Si spogli ora. I vestiti di prova sono dietro il pannello."
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Tre sono le cose
Roman d'amourLudovica non era come suo padre e neanche come sua madre. Non voleva diventare un'imprenditrice come suo fratello e non voleva rimanere nel grigiore di Como come aveva fatto Davide. Ludovica voleva vivere tra l'arte, sulle copertine, dietro la luce...